Uno strumento di politica estera verso l'America Latina

Di Donato Di Santo Giovedì 29 Aprile 2010 17:07 Stampa

A fronte di un solido interesse da parte dell’opinione pubblica italiana nei confronti del subcontinente americano, i legami politici tra il nostro paese e quelli latinoamericani sono stati spesso caratterizzati da confronti sporadici e atteggiamenti ideologizzati. Oggi invece tali rapporti istituzionali dispongono di uno strumento importante, rappresentato dal Comitato consultivo per le Conferenze Italia-America Latina, frutto dell’impegno dell’ultimo governo di centrosinistra e della volontà del governo attuale di proseguire su questa via.

 

Si deve risalire agli anni Sessanta e all’allora ministro degli Esteri Amintore Fanfani per trovare un avvenimento paragonabile a quanto realizzato durante l’ultimo governo italiano di centrosinistra. Fanfani “scoprì” l’America Latina, e questa scoperta diede un frutto di cui ancora godiamo e apprezziamo l’esistenza: l’IILA, l’Istituto Italo-Latino Americano, organismo unico nel suo genere in Europa.

Nel quarantennio successivo, sul piano politico-istituzionale, poco si fece e il subcontinente tornò nelle nebbie dell’indifferenza italica. Talvolta queste nebbie venivano squarciate da qualche evento transitorio ma, ben presto, finivano per riavvolgere tutto. Tra questi eventi si possono citare, ad esempio, l’impegno civile (che riunì tutte le grandi forze politiche del tempo), a favore della libertà del Cile e degli altri paesi oppressi da sanguinarie dittature militari e l’accoglienza degli esuli provenienti da quei paesi; le nascenti lotte ambientaliste che ebbero nel sacrificio di Chico Mendes un loro grande riferimento; le iniziative − in cui rivestirono un ruolo rilevante anche organismi del mondo confessionale − per la pace in America Centrale (quest’anno ricorre il trentennale dell’assassinio di monsignor Oscar Romero). O, ancora, l’attenzione dei tre grandi sindacati metalmeccanici italiani − a quell’epoca uniti nella Federazione lavoratori metalmeccanici (FLM) − verso fenomeni inediti, e forieri di grandi novità sulla scena internazionale, quali la nascita della Central Única dos Trabalhadores (CUT) e poi del Partido dos Trabalhadores (PT): quando “andava di moda Walesa” il primo che portò in Italia un giovane e sconosciuto sindacalista di nome Lula fu il dirigente dei metalmeccanici Alberto Tridente. Questi eventi (peraltro circoscritti alla sfera politico-sindacale e della società civile), furono sempre puntuali e transitori perché non giunsero mai a scalfire seriamente la corazza istituzionale che avvolgeva l’indifferenza delle istituzioni pubbliche italiane verso il nostro “estremo Occidente”.

Probabilmente accadde anche per una sorta di pigrizia di stampo intellettuale che relegava l’America Latina o nella sfera di ciò che attiene al mondo della emigrazione italiana (in questo caso l’attribuzione è per le correnti di destra, degnamente rappresentate da un esponente quale Mirko Tremaglia), oppure in quella, storicamente più omogenea alla sinistra, in cui reale e meraviglioso si confondono, fondendosi nell’indistinto approccio avanguardista verso processi “rivoluzionari” alieni ma che, per meccanica e soggettiva trasposizione, vengono visti e vissuti come propri (si pensi al viaggio dell’allora segretario del PRC Fausto Bertinotti nei boschi del Chiapas per incontrare il subcomandante Marcos).

Entrambi questi approcci, pur illuminando aspetti autentici del rapporto italiano con i paesi latinoamericani, li cristallizzavano, ideologizzandoli e parzializzandoli, impedendo una visione d’insieme e non manichea. La DC si rapportava con le formazioni omologhe presenti sia in Centro che Sud America. Il PCI, grazie anche allo stimolo intellettuale di un esponente del partito come Renato Sandri, cercava di superare la visione asfittica del mettersi in relazione con i soli omonimi (spesso pochissimo omologhi). Il PSI per un lungo periodo ebbe il monopolio italiano del rapporto con i partiti latinoamericani della Internazionale Socialista, anche se, a livello europeo, la “rappresentanza” politica del subcontinente nella IS era stata affidata dal socialdemocratico tedesco Willy Brandt a Felipe González che, a sua volta, aveva delegato la socialista spagnola Elena Flores. Quest’ultima, per lunghi anni, aveva modellato la trasposizione della Internazionale in America Latina privilegiando forze politiche quali la venezuelana Acción Democrática, il piccolo partito trabalhista di Leonel de Moura Brizola in Brasile, il Movimiento de la Izquierda Revolucionaria (MIR) di Jaime Paz Zamora in Bolivia, il Partido Aprista Peruano (APRA) in Perù, il Partido Revolucionario Dominicano (PRD) nella Repubblica Dominicana, il febrerismo (Partido Revolucionario Febrerista, PRF) in Paraguay, i radicali in Cile, il Partido Revolucionario Institucional (PRI) in Messico ecc.

Tutto ciò, comunque, era la conferma dell’avvenuta delega ai partiti del rapporto con l’America Latina, ed era la sanzione che governo e istituzioni si sottraevano − di fatto − alla sfida, rinunciando a costruire e sviluppare una azione di politica estera organicamente tesa a fare di quell’area non il terreno strumentale di scontro ideologico tra forze politiche italiane, bensì una regione di riferimento, a buon diritto, per l’intero paese. Gli effetti di quell’errore di prospettiva o, se si vuole, di quella scarsa lungimiranza, li stiamo ancora pagando: nella cultura, nella politica, nella economia. Forse si è parzialmente salvata la società civile, sia laica sia confessionale, che storicamente ha mantenuto una propria autonomia di analisi e di approccio.

Per quanto riguarda il PCI-PDS-DS, questa delega ebbe comunque un risvolto positivo. Ad esempio non fu affatto casuale che, nel 1989 a Rimini, Lula partecipasse al Congresso che sancì la fine del PCI e la nascita del PDS. Tra l’inizio degli anni Novanta e la metà dei Duemila alcuni dei segretari e diversi dirigenti nazionali realizzarono un rapporto non episodico e non superficiale con l’America Latina. Nel 1992 Piero Fassino, con lungimiranza, partecipò al Congresso del PT. Lungo un quindicennio Massimo D’Alema (prima come segretario e poi come presidente del Consiglio e ministro degli Esteri) è andato costruendo con l’America Latina un rapporto solido. Per molti anni, nella Internazionale Socialista, furono gli italiani del PDS-DS a fare da ponte fra la tradizione europea e le diverse realtà latinoamericane (dal già citato PT, agli ex guerriglieri di El Salvador, dai socialisti “eterodossi” cileni e uruguayani, al PRD del Messico, alla Unión Patriótica colombiana), anche partecipando dall’inizio al foro de São Paulo, creatura di Marco Aurélio Garcia. Infine Cuba: quando il partito socialista spagnolo ancora si affidava al volontarismo di vertice del rapporto Felipe-Fidel e la parola “dissidenti” era tabù, gli italiani – dall’inizio degli anni Novanta − costruivano con le personalità della opposizione interna, democratica e non violenta, relazioni e attività inedite (quali la permanenza politica a Roma, per cinque mesi, di Manuel Cuesta Morúa, e altre).

Si tratta di pochi e limitati esempi di un lavoro che darà poi corpo e anima a quanto è stato fatto, dal maggio 2006 alla primavera del 2008, nel secondo governo Prodi, che recepì il progetto del ministro D’Alema di porre l’America Latina tra le priorità di politica estera. Insieme alle competenze e intelligenze interne al ministero degli Affari esteri (MAE) e nelle rappresentanze diplomatiche del nostro paese, una piccola ma efficace rete di latinoamericanisti ha collaborato, fornendo un supporto intellettuale di analisi e di conoscenze culturali indispensabili. Ne cito uno per tutti: José Luis Rhi-Sausi, direttore del CeSPI (Centro studi politica internazionale) che fu – a titolo onorifico − consigliere per la politica estera rivolta all’America Latina nei due anni in cui chi scrive ha svolto il mandato di sottosegretario. Tra le tante iniziative realizzate o avviate in quei due anni si ricordano: costruire all’interno delle istituzioni pubbliche italiane (dal governo, al potere legislativo, alle assemblee elettive, alle Regioni, ai poteri locali) un sistema di rapporti con l’America Latina che ampliasse e radicasse l’idea della cooperazione e dell’interdipendenza con quest’area; ristabilire con tutti i paesi latinoamericani una continuità nei rapporti politici e istituzionali (oltre al normale trend garantito dalle rappresentanze diplomatiche), senza alcuna discriminazione ma con forte attenzione al tema dei diritti umani; in questo ambito aumentare intensità e qualità delle relazioni con alcuni paesi (a partire dal BRIC latinoamericano, ossia dal Brasile all’Argentina, dopo la crisi dei bond; da Cuba a Panama, in procinto di realizzare il nuovo Canale ecc.); incrementare le visite ufficiali reciproche; immaginare forme e contenuti attraverso cui favorire la presenza delle imprese e del sistema Italia nel suo complesso, anche agendo sulla leva delle banche regionali di sviluppo − quali la Corporación Andina de Fomento (CAF) − sempre nel rispetto e valorizzazione delle norme della responsabilità sociale e della sostenibilità ambientale; aprire una breccia alla presenza italiana nella struttura ermeticamente chiusa dei vertici iberoamericani; inaugurare una presenza italiana a livello di Commissione e Unione europea che, immediatamente dopo la Spagna, qualifichi il nostro paese come riferimento europeo per l’America Latina; instaurare con i paesi europei “latini” una consuetudine di dialogo sulle tematiche riguardanti l’America Latina; considerare l’emigrazione italiana in America del Sud − ormai integrata a tutti i livelli − come una straordinaria opportunità non per guardare indietro ma avanti; considerare l’immigrazione latinoamericana in Italia sia come leva di sviluppo per i paesi d’origine sia come condizione per la nostra crescita; promuovere nuove forme e contenuti della cooperazione italiana, anche avviando sperimentazioni di tipo triangolare; difendere l’esistenza − messa in pericolo da scelte dissennate − dell’IILA; instaurare un dialogo con gli Stati Uniti sui temi del subcontinente; trasformare le Conferenze Italia-America Latina, da pratica convegnistica a strumento principe di politica estera dell’Italia verso l’America Latina stessa.

Con queste scelte di fondo e con la volontà impressa durante il governo di centrosinistra, la relazione tra l’Italia e i paesi latinoamericani ha imboccato un ritmo dinamico e inedito. Elemento egualmente importante è che, dopo i due anni di governo di centrosinistra, l’attuale governo di centrodestra (ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini, sottosegretario di Stato con delega per l’America Latina, Enzo Scotti) abbia deciso − e non era affatto scontato lo facesse − di non smentire questa linea. A questo punto si può legittimamente affermare che il rilancio dell’Italia in America Latina da politica di governo sia diventata politica di Stato, anche con l’autorevole e alto sostegno del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che l’ha sancita in varie occasioni, tra le quali il solenne discorso del dicembre 2007, al Quirinale, davanti a tutto il corpo diplomatico accreditato a Roma, e con la visita di Stato in Cile del febbraio 2008. Siamo quindi in presenza di una novità di politica estera, che segna una nuova tappa nel rapporto tra l’Italia − e quindi l’Europa − e l’America Latina. E, fatto importante, non solamente con quei paesi (Argentina, Brasile, Uruguay e Venezuela) dove da oltre un paio di secoli è fortissima la presenza di emigrati italiani, bensì con tutte le nazioni del subcontinente americano.

Nel 2006 (in occasione del 40° anniversario della fondazione dell’IILA), alla presenza del presidente Napolitano e del maestro Carlos Fuentes, venne sancita la nuova politica estera italiana verso l’America Latina, «una politica estera – ebbe a dire in quella solenne occasione D’Alema − autenticamente italiana, non di questa o quella parte politica, che vede nella relazione con l’America Latina uno dei suoi capisaldi intramontabili». In questo contesto, cosa rappresentano le Conferenze Italia-America Latina? Sono un vero e proprio strumento di politica estera del sistema Italia verso i paesi latinoamericani. Negli anni si è passati dalle prime due (2003 e 2005), lodevoli occasioni di dialogo radicate a Milano, alla terza (a Roma nel 2007) che ha sancito il salto di qualità, portando l’Italia a piazzarsi subito dopo Spagna e Portogallo per capacità di contatto e di influenza verso l’America Latina, alla quarta (a Milano nel 2009) dove si è confermato che questa priorità e questo nuovo strumento non erano di carattere congiunturale, o legati semplicemente ad una stagione politica, quindi effimeri, bensì erano ormai metabolizzati e divenuti parte integrante della nostra politica estera, sia che governi il centrosinistra sia che governi il centrodestra. Inoltre la quarta Conferenza ha avuto anche la caratteristica di rendere protagonisti i più alti esponenti dei maggiori gruppi imprenditoriali italiani presenti in America Latina: da Telecom Italia a ENEL, da ENI a Finmeccanica, da Pirelli ad ANCE, a FIAT ecc.

La quinta Conferenza, che si terrà nel 2011 a Roma, consoliderà questo processo. Gli assi culturali portanti saranno il rapporto con l’Europa e l’integrazione latinoamericana. Mentre il paese – con il suo presidente, ospite d’onore – sarà il Brasile. Questa decisione, oltre a molte altre motivazioni intuibili, legate soprattutto alle relazioni economiche, valorizza anche il fatto che si sceglie un paese non sulla base di una presunta affinità politica (nessuno sa chi, il prossimo anno, governerà il Brasile), ma sulla base dell’interesse genuino del nostro sistema-paese.

La creazione del Comitato consultivo per le Conferenze Italia-America Latina (proposta da D’Alema e accolta da Frattini), è una ulteriore e significativa conferma del peso che questa area ha iniziato ad avere nella politica estera italiana. È un organismo presieduto dal rappresentante del governo, il sottosegretario con delega Enzo Scotti, ma coordinato da chi scrive, esponente di opposizione ed ex sottosegretario con delega per l’America Latina nel governo di centrosinistra. È la concreta dimostrazione che, quando si vuole, è possibile realizzare iniziative che come riferimento abbiano, davvero, il sistema-paese e non un governo. Del Comitato consultivo, oltre a presidente e coordinatore, fanno parte nove istituzioni: il MAE, rappresentato dal direttore generale per i paesi delle Americhe; l’IILA, rappresentato dal suo segretario generale; la RIAL (Rete Italia America Latina), rappresentata dal suo presidente; il CeSPI, rappresentato dal suo direttore; la Regione Lombardia, rappresentata dal delegato del presidente Roberto Formigoni per i temi internazionali; il Comune di Milano, rappresentato dalla responsabile per le attività internazionali del sindaco Letizia Moratti; la Camera di commercio di Milano; l’Istituto regionale di ricerca (IRER), della Regione Lombardia, rappresentato dal suo direttore; e l’IPALMO (Istituto per le relazioni internazionali tra l’Italia e i paesi dell’Africa, America Latina, Medio ed Estremo Oriente), con il suo presidente. Naturalmente occorrerà essere attenti e vigili per scongiurare “ritorni al passato” che riporterebbero le Conferenze Italia-America Latina da strumento di politica estera, quali sono diventate, a meri esercizi convegnistici; indubbiamente, però, il lavoro del sottosegretario Scotti e la coerenza di cui la Farnesina e tutto il mondo della diplomazia italiana hanno dato prova, confermano la positiva tendenza fin qui descritta.