La passione per la libertà. A proposito di socialismo, totalitarismo e Giuseppe Saragat

Di Federico Fornaro Sabato 01 Giugno 2002 02:00 Stampa

Socialismo e Totalitarismo appare, il 6 gennaio 1940, sulle colonne del «Nuovo Avanti», quindicinale del Partito socialista italiano, stampato a Parigi. La seconda guerra mondiale era iniziata da pochi mesi con l’invasione tedesca della Polonia ed era stata preceduta dalla firma, nell’agosto 1939, di un patto di non aggressione tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica staliniana. Quando Saragat apprende del sorprendente accordo tra Hitler e Stalin ne rimane letteralmente scioccato e scrive a Nenni che «il tradimento russo è consumato. Non abbiamo più il diritto di bendarci gli occhi. Penso che questa è anche la tua opinione.

 

Socialismo e Totalitarismo appare, il 6 gennaio 1940, sulle colonne del «Nuovo Avanti», quindicinale del Partito socialista italiano, stampato a Parigi. La seconda guerra mondiale era iniziata da pochi mesi con l’invasione tedesca della Polonia ed era stata preceduta dalla firma, nell’agosto 1939, di un patto di non aggressione tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica staliniana. Quando Saragat apprende del sorprendente accordo tra Hitler e Stalin ne rimane letteralmente scioccato e scrive a Nenni che «il tradimento russo è consumato. Non abbiamo più il diritto di bendarci gli occhi. Penso che questa è anche la tua opinione. È la fine della Terza Internazionale ed è forse il principio di un nuovo movimento socialista a cui devono affluire i militanti comunisti stomacati e delusi. Penso che è in questo senso che dobbiamo affrontare la situazione nuova e terribile che si apre».1

Durante gli anni dell’esilio iniziato nel novembre del 1926, Saragat, dopo essere stato tra i fautori dell’unificazione nel 1930 tra riformisti e massimalisti, si era mosso all’interno del PSI in piena sintonia con Nenni sostenendo lealmente l’unità d’azione con il Partito comunista, sancita dal congresso di Parigi (giugno 1937), in aperto contrasto con le posizioni anticomuniste di Giuseppe Emanuele Modigliani e di Angelo Tasca. In dissenso con quest’ultimo, in quell’assise Saragat aveva difeso l’esperienza russa sottolineando come «sorta dalla guerra come rivoluzione marxista, la fisionomia della Russia sarebbe oggi del tutto diversa se avesse potuto universalizzarsi. La tragedia della Russia sta nella incapacità dei proletari occidentali a fare ed a portare a termine la loro rivoluzione. Di tale incapacità i comunisti portano parte considerevole di responsabilità. Ma ci sono anche le nostre responsabilità.(…) Si tratta quindi di creare uno stato d’animo propizio al processo dell’unità e della formazione di un’ideologia nuova che faccia tesoro dell’esperienza russa e l’arricchisca dei motivi umanistici del socialismo occidentale».2

La sua adesione alla politica unitaria è peraltro fortemente influenzata dall’amara riflessione che «il socialismo democratico europeo di fronte alla tragedia spagnola non è stato all’altezza della situazione»,3 anche se non aveva esitato ad associarsi ad Otto Bauer nel definire «sciagure del proletariato» i processi staliniani del 1937-38.4 Saragat vive dunque, al pari di molti esuli antifascisti, come un vero e proprio tradimento politico e ideologico il patto di non aggressione russo-tedesco, un avvenimento che provoca un vero e proprio «terremoto» nello stesso PSI. Il 25 agosto 1939, assente Nenni, la direzione socialista dichiara decaduto il patto d’unità d’azione con i comunisti perché, si legge nel documento conclusivo, «lungi dal denunciare e deplorare tale collusione, il CC del Partito comunista d’Italia ne ha fatto l’apologia ed ha tentato di difenderlo con argomenti che in breve volgere di ore, sono stati distrutti dalla stessa diplomazia sovietica e dal cinismo con cui questa ha troncato le trattative politiche e militari per la formazione del fronte della pace».5 Nenni, ritenuto troppo indulgente nei confronti dei comunisti, il 28 agosto, è messo in minoranza e costretto a dimettersi dalla segreteria. Il 2 settembre viene nominato un comitato di reggenza composto da Oddino Morgari, Angelo Tasca e lo stesso Saragat. Nel dicembre del 1939 la direzione del PSI vota a larghissima maggioranza un documento durissimo, opera di Tasca e Saragat, in cui il contrasto tra comunisti e socialisti è posto nei termini di una vera e propria «incompatibilità morale». Il Partito comunista italiano è apertamente accusato di essere una «milizia al servizio dello Stato russo, tenuta insieme o dal fanatismo o dalla corruzione» e quindi in grado di «tradire da un momento all’altro gli impegni presi o addirittura passare nel campo nemico, qualora ne riceva l’ordine da Mosca».6

In questa fase Saragat, d’intesa con Buozzi, si adopera per evitare l’espulsione di Nenni, fortemente voluta dalla componente riformista più intransigente rappresentata da Modigliani e Faravelli, e sembra preferire alle lotte intestine una riflessione ideologica e politica di più ampio respiro nel tentativo di ridare un nuovo slancio alla lotta contro il fascismo e al tempo stesso una nuova prospettiva strategica allo stesso socialismo italiano. In Socialismo e totalitarismo la critica all’esperienza bolscevica è radicale. Per Saragat sia il fascismo – un sistema caratterizzato dal predominio della borghesia sul proletariato, che il bolscevismo – a ruoli invertiti, nella loro evoluzione statuale hanno visto una progressiva sostituzione del «politico» con una nuova «classe burocratica», con la conseguente trasformazione dello Stato in organo «di tutte le forme di oppressione e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo». Un’analisi, che sebbene sottovaluti il ruolo e l’importanza del leader/dittatore nella costruzione di uno Stato totalitario, anticipa molte delle critiche che in epoca successiva verranno formulate dalla sinistra europea rispetto all’esperienza bolscevica, soprattutto in ragione del dominio esercitato da parte di una casta burocratica oppressiva e liberticida.

L’accusa che Saragat rivolge allo Stato bolscevico è quella di aver finito per percorrere un «ciclo diametralmente opposto a quello tracciato dalla dottrina marxista» generando «un nuovo tipo di oppressione umana in cui le forme sfruttatrici proprie del capitalismo apparentemente negate, sono in realtà trasferite su un piano più diretto e brutale». La responsabilità della degenerazione del sistema sovietico non sarebbe però imputabile agli errori del solo Stalin, ma risiederebbe nella stessa ideologia bolscevica, priva di quella che Saragat brillantemente definisce «passione per la libertà», in questo contrapponendosi a coloro, ad esempio Trockij, che avevano sostenuto che la rivoluzione d’ottobre fosse stata «tradita» dalla burocrazia staliniana.7 Di fronte al fallimento dell’esperienza sovietica e all’aggressività militare del nazismo, l’obiettivo prioritario dei socialisti europei diventa quello della lotta agli Stati totalitari – «il problema rivoluzionario per eccellenza» – ed è quindi dall’esito dello scontro democrazie-dittature che «dipende la vita o la morte del Socialismo».

Riprendendo temi già espressi nel suo libro L’Humanisme marxiste, edito a Marsiglia nel 1936,8 Saragat si dichiara infine convinto, in aperto contrasto con i comunisti italiani, che soltanto in un regime di libertà i lavoratori potranno trovare la soluzione ai loro problemi e che quindi i due grandi obiettivi da perseguire, in coerenza con gli insegnamenti di Marx, siano appunto la libertà e la giustizia sociale: unici e veri strumenti per l’emancipazione totale dell’uomo dall’oppressione economica e politica. «Il nostro socialismo ha per fondamento la libertà umana – aveva già scritto nel marzo del 1939 – alla base stessa delle lotte di classe noi individuiamo questo sforzo secolare dell’uomo per distruggere tutte le limitazioni della sua personalità deformata dalle forze da lui stesso create. Il senso profondo della lotta di classe è, quindi nello sforzo liberatore contro tutto ciò che mutila, sfigura la personalità umana».9

 

Giuseppe Saragat

La guerra che insanguina il mondo, per le cause che ne hanno reso inevitabile lo scoppio e soprattutto per la trasformazione totale dei rapporti umani che è legata ai suoi sviluppi e alle sue conclusioni ripropone alla coscienza dei socialisti il riesame di tutti i problemi politici, storici, umani, la cui soluzione costituisce la ragione d’essere delle loro lotte. Il criterio permanente dell’azione socialista. Il socialismo, che si è sviluppato da oltre un secolo come l’espressione più alta della civiltà e come l’affermazione più concreta di tutti i valori umani, pone come criterio assoluto della sua critica e come norma imperativa della sua azione il principio e la pratica della libertà. L’esame e la soluzione di tutti i problemi, e in primo luogo la condotta che esso deve assumere nella presente guerra, devono essere dominati dal criterio fondamentale della difesa della libertà politica, economica, umana, in cui si identifica l’essenza stessa del socialismo e in cui si riassume la sua specifica e immutabile missione nella storia del mondo. Come negazione assoluta di tutto ciò che costituisce la ragione d’essere del socialismo, come antitesi radicale della sua coscienza, si pone l’oppressione e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Questo sfruttamento e questa oppressione possono assumere volta a volta o contemporaneamente il carattere di oppressione economica, di dittatura politica e infine, forma suprema di coercizione, quello di guerra di rapina.

Il tratto essenziale degli Stati fascisti. Gli Stati fascisti sorti dalla lotta della borghesia contro il proletariato, e quello bolscevico sorto dalla lotta del proletariato contro la borghesia, sono venuti a mano a mano perdendo il carattere di classe condizionato dalle forme dell’economia capitalistica da cui sono stati generati. Il fatto essenziale che emerge da questi nuovi tipi sociali e politici è in ciò, che la volontà di potenza esercitatasi nel quadro dell’economia liberistica attraverso l’oppressione di una classe economica su un’altra classe economica lungi dallo scomparire si accentua e si trasforma e si trasferisce ai gruppi umani detentori dell’apparato statale. Questo processo è in fondo logico. Nella misura in cui l’apparato statale non è che la soprastruttura politica della società economica, è chiaro che esso non può essere in ultima analisi che il comitato d’affari della classe dominante. Ma nella misura in cui l’apparato statale accentra in sé le funzioni economiche e diviene totalitario, accentra pure in sé tutto il potere oppressivo delle vecchie classi economiche dominanti, e i gruppi umani che in esso si incorporano agiscono nei confronti dei gruppi umani inquadrati da esso esattamente come la borghesia nei confronti del proletariato. In altri termini, la volontà di potenza di particolari gruppi umani trova negli Stati totalitari nuove e più gravi condizioni di oppressione e di sfruttamento.(…) Alla vecchia classe economica si sostituisce la nuova classe burocratica e lo Stato da Stato politico, ossia da puro strumento di coercizione materiale, diviene l’organo di tutte le forme di oppressione e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Lo Stato bolscevico. Questo processo di burocratizzazione totale delle forze oppressive, che negli Stati fascisti è largamente sviluppato, trova la sua espressione estrema nello Stato bolscevico. Sorto attraverso la lotta rivoluzionaria del proletariato urbano e rurale, lo Stato bolscevico ha seguito un criterio diametralmente opposto a quello tracciato dalla dottrina marxista. L’assoluta mancanza di passione, di libertà e di coscienza di classe dei ceti giunti al potere, ha determinato lo scatenamento di una inaudita volontà di potenza che ha avuto come coronamento la subordinazione di tutta la società economica alle esigenze della burocrazia dominante. Mentre nella società borghese lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo ha una forma essenzialmente economica e si esprime nel profitto, nella società bolscevica lo sfruttamento e l’oppressione assumono un carattere diretto e brutale nel rapporto tra burocrazia onnipotente e classi lavoratrici subordinate. Allo Stato gendarme si sostituisce lo Stato che è a un tempo gendarme e padrone.(…) Insomma, lo Stato bolscevico offre l’esempio di un nuovo tipo di oppressione umana in cui le forme sfruttatrici proprie del capitalismo apparentemente negate, sono in realtà trasferite su un piano più diretto e brutale. Alla volontà di potenza dei capitalisti manifestatesi attraverso l’azione economica, esso sostituisce la volontà di potenza di determinati gruppi politici manifestatesi attraverso l’esercizio dispotico di uno Stato onnipotente.

Lo Stato fascista: il nemico principale. Gli Stati fascisti sorti dalla lotta della borghesia contro il proletariato hanno subito un processo di burocratizzazione analogo per molti aspetti a quello dello Stato bolscevico. Tuttavia l’elemento capitalistico rimane come residuo delle loro origini, interviene nei rapporti tra burocrazia e classi popolari, non già per limitarne il carattere oppressivo ma per rivendicare l’esercizio dell’oppressione in nome e per conto proprio. Mentre nello Stato bolscevico l’oppressione capitalistica è sostituita totalmente dall’oppressione burocratica, in quello fascista l’oppressione è esercitata a mezzadria dalla burocrazia e dalle oligarchie plutocratiche. Ciò conferisce alla società fascista un aspetto più simile a quello delle società borghesi tradizionali. Mentre nella società bolscevica la lotta di emancipazione non può assumere altro carattere che quello di una lotta contro lo Stato leviatano e la burocrazia che se ne serve come strumento oppressivo, in quello fascista la lotta è a un tempo lotta di classe nel senso tradizionale e lotta contro lo Stato oppressore. Lo Stato fascista riesce così a combinare tutte le forme di oppressione possibili nel mondo attuale. In questo senso esso si pone come il nemico principale della classe lavoratrice e del socialismo. L’elemento oppressivo nuovo che emerge dalle dittature del dopoguerra, siano esse di origine borghese o di origine proletaria, è il potere senza limiti dello Stato. Da ciò il nuovo carattere delle lotte di emancipazione e i nuovi doveri delle classi lavoratrici.(…)

La guerra d’aggressione. Di tutte le forme di oppressione dell’uomo sull’uomo la più caratteristica è la guerra di aggressione. Tutti i rapporti oppressivi si esprimono attraverso una coercizione. Ma questa coercizione trova la sua espressione culminante nella violenza delle armi.(…) Tendenza alla guerra e oppressione sono sinonimi. Uno Stato che nei rapporti umani non si pone come limite il fatto della violenza materiale contro un altro Stato, salvo nel caso della difesa, non può porre alcun limite all’oppressione perché ne ha già valicato tutte le frontiere. La guerra è il luogo di convergenza di tutte le tendenze reali o virtuali di un sistema ed essa offre quindi il criterio storico per giudicarlo. Possiamo quindi concludere che un sistema sociale è tanto più lontano dal socialismo quanto più è suscettibile di accogliere la guerra come mezzo politico.

Stati fascisti e Stati democratici. La guerra provocata dagli Stati fascisti con la fredda complicità di quello bolscevico comprova, per le reazioni che ha suscitato negli Stati democratici del mondo, l’immensa superiorità politica, storica ed umana di questi ultimi su quelli totalitari. Tra l’atteggiamento delle grandi democrazie e quello degli Stati totalitari si traccia una linea di demarcazione assoluta in cui i socialisti riconoscono la barriera che separa il mondo in cui il socialismo può trovare l’atmosfera adatta al proprio sviluppo e quello in cui ogni forma di umanità è stata distrutta e non regna che la forza, la barbarie e l’oppressione. Certo le democrazie che hanno dovuto affrontare la lotta che fu loro imposta difendono i loro interessi immediati e hanno accettato la lotta solo nella misura in cui i loro interessi immediati sono minacciati. Ma che prova ciò? La superiorità di un sistema sociale è precisamente in ciò, che difende certi interessi generali proprio nell’atto in cui non pensa di difendere che i propri. Oggi le democrazie difendono i loro interessi ma implicitamente difendono tutti i valori umani che gli Stati totalitari negano e cercano di distruggere. Per questa ragione i partiti socialisti si schierano con tutte le loro forze a fianco delle democrazie contro gli Stati totalitari per salvare le condizioni di esistenza della civiltà e le premesse di una rinascita socialista. La lotta di classe, che è essenzialmente una lotta politica, si trasfigura oggi in una lotta delle democrazie contro le dittature e dall’esito di questa lotta dipende la vita o la morte della civiltà, la vita o la morte del Socialismo.

Compiti e doveri dei partiti socialisti. Se la democrazia rappresenta nel conflitto attuale la causa della civiltà, ciò si deve ai valori universali ed umani di cui è l’espressione al di là delle sue limitazioni capitalistiche. Certo il capitalismo costituisce una formidabile ipoteca gravante sulla realtà democratica, ma nonostante questa ipoteca la democrazia afferma di fronte alla dittatura la potenza del suo contenuto umano e per ciò stesso rivela il suo assoluto primato storico. Compito supremo del socialismo è pertanto la difesa della democrazia dalla violenza totalitaria e la sua liberazione dalle limitazioni capitalistiche che la imprigionano.(…) In questo senso la nostra solidarietà attuale con la democrazia nella lotta contro gli Stati totalitari trova la sua naturale barriera precisamente in ciò che costituisce per essa un freno e un ostacolo a questa lotta, ossia il suo carattere capitalistico. Appunto perché il socialismo ha la consapevolezza dell’immenso pericolo che l’aggressione totalitaria fa correre alla civiltà, esso si schiera con tutte le forze che in questa lotta convergono, ma lungi dall’adeguare ad esse la propria azione le subordina ai suoi fini universali: di libertà e di giustizia sociale. Questi fini mentre si valorizzano per il contributo concreto che il socialismo saprà dare alla lotta in corso, si definiscono attraverso la sempre più chiara consapevolezza delle classi lavoratrici di fronte alla loro missione storica. Soltanto in un regime di libertà i lavoratori troveranno la soluzione ai loro problemi. Lottare per la libertà quindi è lottare per il Socialismo, ossia per l’emancipazione totale dell’uomo.

Da «Il Nuovo Avanti. Le Nouvel Avanti», 6 gennaio 1940.

 

Chi è Giuseppe Saragat? Dopo aver partecipato alla Prima guerra mondiale entra nel Partito socialista unitario di Turati e Matteotti ed è esule, negli anni del fascismo, in Austria e Francia. Presidente della Costituente, guida nel gennaio 1947 la scissione di Palazzo Barberini da cui si origina il Partito socialdemocratico. Più volte Vicepresidente del Consiglio e quindi Ministro degli Esteri negli anni del primo centrosinistra, è Presidente della Repubblica dal 1964 al 1971.

 

 

Bibliografia

1 Lettera di Giuseppe Saragat a Pietro Nenni, Parigi, 22 agosto 1939, Archivio Fondazione Nenni.

2 «Il Nuovo Avanti», 10 luglio 1937.

3 Ibid., 28 agosto 1937.

4 Ibid., 19 marzo 1938.

5 Ibid., 31 agosto 1939.

6 Ibid., 23 dicembre 1939.

7 Sulla critica di Trockij allo stalinismo e più in generale sull’evoluzione storico-filosofica del concetto di totalitarismo vedi S. Forti, Il totalitarismo, Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 15-17 e sgg.

8 G. Saragat, L’umanesimo marxista, Baldini&Castoldi, Milano 1998.

9 «Il Nuovo Avanti», 11 marzo 1939.