Un'Italia spaccata in due?

Di Paolo Segatti Mercoledì 01 Marzo 2006 02:00 Stampa

I risultati elettorali delle elezioni del 9 e 10 aprile consegnano un’immagine netta dell’Italia. Due blocchi di elettori di pari dimensioni, che si sono raccolti dietro ai loro generali dopo una lunga e accesa battaglia elettorale. È difficile sottrarsi alle suggestioni di questa cartolina. Del resto la Tabella 1 sembra mostrare esattamente questo. Tanto alla camera che al senato le differenze tra l’Unione e la Casa delle Libertà si misurano in pochi punti percentuali e il bacino di voti delle «terze forze» è completamente prosciugato. Insomma, un testa a testa che non si era visto neanche nelle mitiche elezioni del 1948. Il che fa immediatamente pensare ad un paese spaccato in due o addirittura a due Italie, l’una contrapposta all’altra, come molti giornali hanno sottolineato nei titoli degli articoli sulle elezioni. È facile prevedere che nei prossimi mesi se ne discuterà a lungo. In queste pagine si vuole attirare l’attenzione su alcuni aspetti che non smentiscono l’immagine di un paese diviso in due, ma che forse ne rendono più articolata l’interpretazione, affrontando in particolare tre questioni. La prima, relativa agli elementi di continuità esistenti fra i risultati elettorali delle ultime elezioni politiche e quelli delle elezioni precedenti. Le altre due concernenti invece i segni di discontinuità con il passato.

 

I risultati elettorali delle elezioni del 9 e 10 aprile consegnano un’immagine netta dell’Italia. Due blocchi di elettori di pari dimensioni, che si sono raccolti dietro ai loro generali dopo una lunga e accesa battaglia elettorale. È difficile sottrarsi alle suggestioni di questa cartolina. Del resto la Tabella 1 sembra mostrare esattamente questo. Tanto alla camera che al senato le differenze tra l’Unione e la Casa delle Libertà si misurano in pochi punti percentuali e il bacino di voti delle «terze forze» è completamente prosciugato. Insomma, un testa a testa che non si era visto neanche nelle mitiche elezioni del 1948. Il che fa immediatamente pensare ad un paese spaccato in due o addirittura a due Italie, l’una contrapposta all’altra, come molti giornali hanno sottolineato nei titoli degli articoli sulle elezioni. È facile prevedere che nei prossimi mesi se ne discuterà a lungo. In queste pagine si vuole attirare l’attenzione su alcuni aspetti che non smentiscono l’immagine di un paese diviso in due, ma che forse ne rendono più articolata l’interpretazione, affrontando in particolare tre questioni. La prima, relativa agli elementi di continuità esistenti fra i risultati elettorali delle ultime elezioni politiche e quelli delle elezioni precedenti. Le altre due concernenti invece i segni di discontinuità con il passato.

Tabella 1

 

Un segno di continuità

Le elezioni per il rinnovo dei due rami del parlamento sono quasi sempre elezioni ad alta partecipazione. Il dato dei votanti lo dice con chiarezza: si è recato alle urne l’83,6% degli elettori. Si tratta di un tasso di affluenza che sembra riportarci al 1996, quando votò quasi l’83% degli aventi diritto. L’affluenza del 2006, dunque, è stata superiore di oltre due punti percentuali a quella del 2001. Ma attenzione: l’aumento rispetto al 2001 è da attribuire soprattutto alla legge sul voto degli italiani all’estero. La nuova legge ha determinato, da un lato, una maggiore partecipazione degli italiani residenti all’estero, ma dall’altro ha anche modificato il numero degli aventi diritto al voto in Italia. A quest’ultimo, infatti, sono stati sottratti gli italiani residenti all’estero, modificando così il denominatore del rapporto tra votanti ed elettori e finendo quindi per gonfiare il tasso di affluenza sul territorio nazionale. L’incremento di partecipazione verificatosi un po’ dovunque, ma soprattutto in alcune regioni del Centro e del Sud, come il Molise, è dunque, in misura ancora da accertare, apparente. Il livello di partecipazione al voto del 2006 potrebbe dunque essere inferiore di quello del 2001. Di quanto esso sia diminuito è una questione ancora aperta. Anche se fosse inferiore un punto e mezzo, come ipotizza Paolo Feltrin, saremmo comunque di fronte ad una partecipazione elevata.

Quali sono state le conseguenze sui risultati elettorali di una così elevata partecipazione?

La domanda tocca il punto centrale dell’analisi di queste elezioni. Intanto chiama in causa le aspettative che erano circolate nei due schieramenti nell’anno pre-elettorale. Tali aspettative si erano formate in base alle interpretazioni di quanto era accaduto nelle elezioni svoltesi tra il 2001 e il 2006, in particolare nelle regionali del 2005. Non solo gran parte di quelle competizioni erano state vinte dai candidati di centrosinistra, ma esse avevano evidenziato una profonda insoddisfazione verso il governo Berlusconi. Questi due fatti incontestabili avevano alimentato in ampi settori del centrosinistra la convinzione che lentamente il paese si stesse spostando a sinistra, in parte per la delusione verso l’operato del governo Berlusconi, in parte per l’attrazione esercitata dai candidati di centrosinistra. Da qui il convincimento che la conquista della maggioranza degli elettori alle elezioni politiche fosse a portata di mano, se non già avvenuta mesi prima delle elezioni politiche.

A ben vedere, però, i successi del centrosinistra in tutte le elezioni intermedie svoltesi tra il 2001 e il 2006 sono interpretabili anche utilizzando un’altra chiave di lettura, che non esclude la possibilità che in passato si siano verificati limitati passaggi di voti da un campo all’altro in alcune zone del paese, specie nel Sud, ma che prende in considerazione anche un altro fenomeno: la smobilitazione di una parte dell’elettorato di centrodestra nel Centro-Nord. Secondo questa chiave interpretativa, nelle elezioni regionali del 2005 Berlusconi non era riuscito a mobilitare la parte del suo elettorato più sfiduciata e delusa. Ciò non significa però che questi elettori fossero propensi a punirlo, premiando il centrosinistra. Di qui l’aspettativa del centrodestra che alle elezioni politiche fosse possibile rimobilitare almeno una parte di costoro.

In breve, due erano i fattori che avrebbero potuto influenzare i risultati delle elezioni politiche in senso favorevole al centrodestra: la rimobilitazione del suo elettorato nelle regioni del Nord e la riconquista di almeno una parte di quello che aveva votato per i candidati di centrosinistra nel Sud.

In effetti, sembra sia accaduto proprio questo. Se confrontiamo i risultati dei due schieramenti nelle quindici regioni a statuto ordinario nelle elezioni del 9 e 10 aprile scorso con quelli ottenuti alle elezioni regionali del 2005, l’incremento in voti assoluti delle liste della Casa delle Libertà nelle recenti elezioni è di oltre il doppio rispetto a quello dello schieramento di centrosinistra. Questo accade anche sommando ai voti ottenuti dalla Casa delle Libertà nelle regionali del 2005 i voti presi dalle liste che poi, alle recenti elezioni, sono entrate nella coalizione guidata da Silvio Berlusconi. Insomma, Berlusconi ha vinto la sua scommessa. La strategia attuata durante la campagna elettorale si è rivelata efficace. È riuscito a rimobilitare gran parte degli elettori della Casa delle Libertà, soprattutto nelle regioni del Nord, e forse a riguadagnare una parte di quelli che lo avevano abbandonato nelle regioni del Sud.

Il problema è che in una campagna elettorale non si gioca da soli. L’efficacia di una strategia è anche il risultato della qualità delle azioni della parte avversa. Non c’è lo spazio, in questa sede, per analizzare in dettaglio il dispiegarsi delle campagne dei due schieramenti. Ma un dato va sottolineato: il centrosinistra ha talvolta dato l’impressione di dare una mano alla rimobilitazione dell’elettorato di centrodestra, in particolare nei giorni immediatamente precedenti al voto, con la confusione creatasi intorno alla questione della tassa di successione. Sul «Corriere della Sera» del 12 aprile Renato Mannheimer ha mostrato come, tra coloro che dicono di avere deciso per chi votare solo nell’ultima settimana, una parte importante è costituita da elettori di centrodestra. Si rimanda, a questo proposito, ai risultati degli studi sull’evoluzione delle intenzioni di voto negli ultimi giorni di campagna elettorale del gruppo di ricerca ITANES.

Infine, un ulteriore segno di continuità di queste elezioni con quelle del passato è emerso con chiarezza nelle prime analisi sui flussi elettorali. Paolo Natale, su «La Stampa» del 12 aprile 2006, ha evidenziato che la percentuale di elettori in movimento tra le due coalizioni è ancora modesta e non diversa da quella emersa nel periodo 1996-2001. Ancora una volta i due blocchi appaiono relativamente impermeabili, mentre gran parte del passaggio di voti si sviluppa al loro interno. Sono questi flussi che penalizzano Forza Italia, che ha registrato quasi due milioni di consensi in meno rispetto al 2001, e che alimentano la crescita di oltre un milione di voti dell’UDC. Anche il successo dell’Ulivo si nutre probabilmente di dinamiche dello stesso tipo: ad esempio, elettori che votano Rifondazione Comunista al senato e poi Ulivo alla camera. Questi comportamenti inducono a pensare che per la gran parte degli elettori le questioni che oppongono la sinistra riformista a quella radicale, che giustamente appassionano e preoccupano le minoranze attive, sono secondarie rispetto alla voglia di semplificare la scelta di voto, scegliendo tra due soli partiti. Tra l’altro, il successo dell’Ulivo è la prova che non è più valido il principio secondo il quale unificare due forze politiche sia penalizzante. Questo era vero quando le identità politiche erano radicate a livello di massa, mentre oggi le identità politiche forti si incontrano soprattutto nei dibattiti televisivi o sulle pagine dei giornali.

 

Due segni di discontinuità

Confrontando le percentuali di voto dei due schieramenti nelle ultime tre elezioni per la camera (1996, 2001 e 2006) e avendo cura di inserire nei due blocchi anche i voti proporzionali presi dalle liste che nelle scorse elezioni erano scese in campo da sole – come la Lega nel 1996 o Di Pietro nel 2001 – ne esce un quadro della situazione che, come si evince dalla Tabella 2, mostra con nettezza due cose. La prima riguarda la dinamica bipolare che, già netta in precedenza, si è affermata compiutamente solo nelle ultime elezioni. Sono spariti, infatti, i voti alle «terze forze», fatto singolare alla luce delle nuove regole elettorali proporzionali, anche se con premio di maggioranza alla coalizione. Evidentemente la nuova legge ha disincentivato le sfide al bipolarismo.

La seconda è che, a giudicare dai comportamenti di voto alla camera, il centrosinistra è diventato, anche se di poco, la forza di maggioranza relativa nel paese. Questa è una novità storica che va messa nel giusto rilievo. In che modo è accaduto?

In piccola parte, la crescita è dovuta ai flussi elettorali tra il 2001 e 2006. Il saldo tra i limitati flussi in uscita e quelli in entrata tra i due schieramenti è comunque positivo per l’Unione e negativo per la Casa delle Libertà. Il contributo più rilevante alla crescita dei consensi al centrosinistra è invece da attribuire al ricambio generazionale. Le prime analisi mostrano che la parte più consistente delle oltre due milioni e novecentomila «matricole» del voto nel 2006 è orientata a sinistra ed esprime orientamenti favorevoli alle liste del centrosinistra.

Tabella 2

Gli orientamenti del corpo elettorale italiano stanno dunque cambiando profondamente. Vi è, però, anche un altro segno di discontinuità che solleva qualche dubbio sull’immagine di un paese spaccato tra due blocchi contrapposti e incomunicabili.

Negli stessi giorni delle elezioni politiche in Friuli-Venezia Giulia si è votato anche per le amministrative di importanti città. Ed è accaduto un fenomeno di un certo interesse. Alle politiche la maggioranza degli elettori di Trieste e di Pordenone ha premiato il centrodestra (rispettivamente con il 51,2% e con il 58,5% dei voti), ma allo stesso tempo una parte di costoro ha votato per i candidati sindaco e presidente di provincia del centrosinistra. A Pordenone, il sindaco uscente di centrosinistra è stato eletto al primo turno e a Trieste i candidati al comune e alla presidenza della provincia hanno ottenuto una percentuale di consensi pari o superiore a quelle del sindaco e presidente della provincia uscenti del centrodestra.

Si tratta di un fatto locale, anche se si è già manifestato in altre occasioni, che pone però un problema generale. Evidentemente non è vero che gli elettori sono del tutto congelati all’interno dei loro schieramenti.

Se ne hanno l’opportunità, si prendono la libertà di votare anche in modo difforme e addirittura nello stesso momento. Questo comportamento induce a pensare che l’immagine di due Italie, quasi che esistessero due tipi di italiani antropologicamente diversi, non sia solo un’esagerazione retorica, ma anche un abbaglio. Il paese, banalmente, è diviso in due perché ad essere divisa nettamente in due è l’offerta di voto, e polarizzante è il modo di comunicarla. Varrebbe la pena considerare con qualche attenzione il fatto che un paese si può spaccare in due metà elettorali, apparentemente incomunicabili, perché è polarizzata l’offerta politica, mentre la gran parte dell’elettorato che vota i due schieramenti può non esserlo. Un fenomeno che alcuni studiosi individuano anche in paesi come gli Stati Uniti, e che li porta a denunciare il mito della guerra culturale che opporrebbe gli americani che votano democratico a quelli che votano repubblicano. In definitiva, l’offerta politica ha un ruolo importante nel bloccare o sbloccare il comportamento di voto degli elettori, il che fa pensare che le fortune del centrosinistra in questo paese non dipendono solo dai lenti e molecolari processi di ricambio generazionale, ma anche dalla capacità di innovazione nell’offerta politica. Viene da chiedersi se la vittoria risicata del centrosinistra non dipenda anche dalla timidezza di gran parte del suo ceto dirigente nel procedere lungo la strada dell’innovazione dell’offerta.