Il lavoro nella Costituzione europea

Di Gianpiero Golisano Martedì 01 Novembre 2005 02:00 Stampa

L’idea di Europa «Fare l’Europa vuol dire tre cose, vuol dire accettare tre obiettivi: il primo, che ci ipnotizza, è un obiettivo politico-amministrativo; l’altro, su cui stendiamo un velo pudico, è un obiettivo economico-finanziario; il terzo, che trattiamo come un antipasto o come un dessert, è un obiettivo culturale». Le parole di Lucien Febvre (1879-1956), pronunciate nel corso delle lezioni tenute nell’anno accademico 1944-45 al Collège de France e venate di scettico sarcasmo, sembrano purtroppo assai attuali. Tuttavia, il rallentamento del processo di coesione europea, dovuto alla mancata ratifica (frettolosamente definita «bocciatura») del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa da parte di Francia e Olanda, non corrisponde all’estinzione del progetto. Un referendum, in un dato momento storico, può anche risolversi per l’emersione di una maggioranza sfavorevole e irrazionale. Zygmunt Bauman ha chiarito che i numeri grandi hanno autorità per la loro dimensione: il presupposto di base (anche se raramente è dichiarato) è che «tante persone non possono essere dalla parte sbagliata», soprattutto se sono la maggioranza.

L’idea di Europa «Fare l’Europa vuol dire tre cose, vuol dire accettare tre obiettivi: il primo, che ci ipnotizza, è un obiettivo politico-amministrativo; l’altro, su cui stendiamo un velo pudico, è un obiettivo economico-finanziario; il terzo, che trattiamo come un antipasto o come un dessert, è un obiettivo culturale».1

Le parole di Lucien Febvre (1879-1956), pronunciate nel corso delle lezioni tenute nell’anno accademico 1944-45 al Collège de France e venate di scettico sarcasmo, sembrano purtroppo assai attuali. Tuttavia, il rallentamento del processo di coesione europea, dovuto alla mancata ratifica (frettolosamente definita «bocciatura») del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa2 da parte di Francia e Olanda, non corrisponde all’estinzione del progetto. Un referendum, in un dato momento storico, può anche risolversi per l’emersione di una maggioranza sfavorevole e irrazionale. Zygmunt Bauman ha chiarito che i numeri grandi hanno autorità per la loro dimensione: il presupposto di base (anche se raramente è dichiarato) è che «tante persone non possono essere dalla parte sbagliata», soprattutto se sono la maggioranza.3

L’analisi della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, che è la parte propulsiva del Trattato, si è risolta spesso nella critica alle mancanze e imperfezioni del testo, mentre si taceva sulla forza del contenuto. La coscienza europea significa infatti differenziazione dell’Europa, come entità politica, da altre entità, da altri continenti o gruppi di nazioni.4

Il criterio fondamentale di differenziazione dell’Europa è quello della «libertà».5 Non esistono mercati economici laddove manca un sistema continentale di coesione che produca benessere generalizzato e garanzie universali per i cittadini. In termini di politica sociale, la Carta è il tentativo di dare un nuovo disegno ai diritti delle persone, di costituire lo statuto inviolabile di coloro che risiedono sul territorio europeo, indipendentemente dall’occupazione, dall’origine, dal genere, dall’appartenenza di classe, etnica, culturale.

Dal punto di vista ideale, è la continuazione del progetto di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e per usare le parole di Giuliano Amato «non è una missione impossibile. È semplicemente necessaria».6

 

La Carta dei diritti UE e il lavoro

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea costituisce la seconda parte del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa.7 Alcune delle contraddizioni e debolezze nel testo della Carta dei diritti UE8 e nel medesimo pro c e sso della sua adozione sono conosciute sino dai lavori preparatori e risalgono al Consiglio europeo di Colonia del 3 e 4 giugno 1999 che ne decise l’elaborazione.9

La difficoltà di coordinare le politiche sociali è amplificata dall’esistenza di una Unione monetaria i cui paesi aderenti (la cosiddetta area Euro) sono una minoranza interna all’Unione a venticinque membri. È una condizione inevitabile che può essere risolta anche attraverso la cooperazione rafforzata, se si considera che non vi è alternativa a una Unione europea in grado di esercitare un ruolo su scala mondiale.10

La Carta trasforma l’Unione europea, prevalentemente economica e di mercato, in Europa politica. Insieme alla moneta unica europea, l’adozione della Carta è uno tra gli eventi più importanti della storia contemporanea. È bello ricordare che Giovanni Paolo II, dopo l’angelus del 1 gennaio 2002, rivolse «uno speciale augurio di pace e di prosperità ai paesi dell’Unione europea, che oggi, con la moneta unica, raggiungono un traguardo storico. Auspico che ciò favorisca il pieno sviluppo dei cittadini dei vari paesi. Crescano in tutta Europa la giustizia e la solidarietà, a vantaggio dell’intera famiglia umana».11

Il lavoro ha sempre avuto una collocazione centrale nella politica di coesione europea. In questo senso, non si possono interpretare le disposizioni della Carta senza collocarla nel sistema della legislazione europea, poiché questo significherebbe limitarsi al valore formale dell’atto e al suo contenuto letterale senza considerare che un ordinamento giuridico è una unità, come insegnava Santi Romano (1875-1947), «non artificiale o ottenuta con un procedimento di astrazione, ma concreta ed effettiva».12 L’obiettivo della buona occupazione si è tradotto costantemente nell’affermazione che il lavoro di qualità è anche in relazione con la fattispecie contrattuale, con lo schema giuridico di prestazione del rapporto: «I contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il rendimento», dispone una direttiva del Consiglio dell’Unione europea.13 In questo senso, la Carta stabilisce che l’esercizio di una professione e il diritto di lavorare (art. II-75)14 rappresentano un elemento costitutivo della libertà dei cittadini europei, preceduto solo dalla dignità umana (art. II-61)15 e dalla proibizione di tenere la persona «in condizioni» di schiavitù o di servitù come dal divieto di lavoro forzato o obbligatorio (art. II-65).16

Inoltre, il principio che «la parità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione»17 è accompagnato dal riconoscimento espresso del diritto a conciliare la vita familiare e la vita professionale.18 Ancora con il medesimo processo di gradazione e collegamento dei diritti, si stabilisce che «ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose»19 e si chiarisce che «i giovani ammessi al lavoro devono beneficiare di condizioni di lavoro appropriate alla loro età ed essere protetti contro lo sfruttamento economico o contro ogni lavoro che possa minarne la sicurezza, la salute, lo sviluppo fisico, mentale, morale o sociale o che possa mettere a rischio la loro istruzione».20

Nella costruzione dell’ordinamento giuridico europeo, anche rispetto al ruolo e all’importanza che hanno il lavoro e l’occupazione di qualità, non si deve sottovalutare la previsione del diritto a una buona pubblica amministrazione,21 che comprende «il diritto di ogni persona di accedere al fascicolo che la riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale»22 e «l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni».23 Si può certamente discriminare tra norme precettive e norme programmatiche o promozionali, come da sempre accade tra i costituzionalisti, ma la Carta dei diritti fondamentali ha comunque per l’Europa una capacità di aggregazione che ne rappresenta il principale valore giuridico. Il concetto fondamentale della saggezza, da un punto di vista politico, sociale ed economico, è la stabilità. Nulla è sensato se non si può progettare la sua continuità per lungo tempo, senza incorrere in ostacoli insormontabili.24

È importante osservare che la Carta dei diritti non distingue tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, nella predisposizione di tutele fondamentali per la persona che lavora. In questo senso, la Carta è una opportunità per correggere l’uso distorto del diritto commerciale nella regolamentazione del lavoro. La governance di questi processi economici e demografici ha necessità di una costituzionalizzazione, per quanto perfettibile essa sia.25 Il diritto si è generalmente sviluppato sul modello della proprietà, come situazione giuridica soggettiva, assoluta, individuale. L’organizzazione del lavoro ha spesso sofferto di questa costruzio ne soggettiva della posizione del lavoratore, stretta tra la fonte formalmente contrattuale del rapporto e la disciplina a garanzia del suo svolgimento. Bruno Trentin ha posto chiaramente la questione della libertà come presupposto e condizione per la tutela dei lavoratori, comeuna ricerca ininterrotta26 sulla liberazione della persona e sulla sua capacità di autorealizzazione: «La domanda che infatti intendo porre è la seguente: è possibile immaginare una politica estera, della sicurezza e della cooperazione internazionale, in uno Stato o in una unione di Stati e di cittadini, che non dispongono di una forte e solidale politica economica e sociale? E nel caso dell’Unione europea, di procedure di decisione capaci di coordinare le politiche economiche, sociali e ambientali degli Stati membri? Io non lo ritengo possibile, perché si tratta di una contraddizione in termini».27

In senso generale, tutti i paesi dell’Europa occidentale hanno buoni risultati per quanto riguarda la democrazia nel lavoro, i diritti dei lavoratori, la distribuzione del reddito e la protezione sociale, sebbene questo sia pagato con un inferiore tasso di crescita economica e una maggiore disoccupazione rispetto ai paesi anglosassoni, dove al contrario si osserva una consistente polarizzazione della ricchezza e la rinuncia al principio di universalità del sistema di welfare pubblico.28 Sono risultati  importanti, essenziali. È l’eredità dello spazio sociale europeo che dobbiamo all’iniziativa di Jacques Delors alla presidenza della Commissione europea.29

 

Lavoro decente e lavoro di qualità

Il cardine della teoria economica neoclassica è di trattare il lavoro come ogni altro fattore di produzione. Ma il lavoro non è in alcun modo assimilabile alle altre merci. Joseph Stiglitz, in «Occupazione, giustizia sociale e benessere della società», ha ricordato quanto sia importante il lavoro per le persone, «il fatto che qualcuno riconosca il loro contributo mediante un corrispettivo».30

Il lavoro «di qualità» (quality in work; job quality), promosso dalle  politiche per l’occupazione dell’Unione europea,31 ha un corrispondente nel concetto di «lavoro decente»32 o «dignitoso» (decent work; travail decent) che impegna l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). I due principi non sono equivalenti, sebbene abbiano il comune obiettivo di tutelare il lavoratore e migliorare le condizioni in cui il lavoro è prestato. In un certo senso, tutte le nozioni risentono della inevitabile vischiosità del linguaggio giuridico ed economico, dell’incapacità a descrivere un fenomeno con espressioni linguistiche.33

Il concetto di lavoro «decente», apparso inizialmente nel Rapporto del direttore generale dell’OIL alla ottantasettesima sessione della Conferenza internazionale del lavoro nel 1999 è fondato su quattro elementi: occupazione, protezione sociale, diritti dei lavoratori e dialogo sociale.34

Gli indicatori economici, giuridici e sociali del lavoro decente sono le opportunità di lavoro (il tasso di occupazione rispetto alla popolazione), la retribuzione, le condizioni di lavoro, lo sviluppo del sistema di sicurezza sociale, il rispetto dei diritti fondamentali (lavoro coatto o minorile, discriminazione, libertà di associazione), l’ampiezza del dialogo sociale (contrattazione collettiva, democrazia economica, partecipazione alle decisioni politiche).

Gli indicatori necessari a individuare il lavoro «dignitoso» hanno spesso necessità di elementi comparativi. Il fatto che il lavoro sia retribuito non esclude l’uso di indicatori alternativi per valutare l’adeguatezza della retribuzione, come lo stato di nutrizione, l’alfabetizzazione e il grado di istruzione degli adulti, il tasso di mortalità nella prima infanzia o la percentuale di working poors, di «poveri industriosi» secondo la definizione di Marx,35 sul totale della popolazione lavorativa.36 Il principio di solidarietà sociale universale, caratteristica dei sistemi pubblici europei, consente di promuovere un obiettivo più difficile e ambizioso del lavoro decente: il lavoro «di qualità».

La creazione di lavoro dignitoso (decent work) ha per scopo diretto e immediato l’abbattimento o comunque il decremento della povertà. Si tratta di una nozione riferibile alle condizioni minime di dignità della persona umana, una precondizione essenziale per la crescita economica.37 Il concetto di lavoro di qualità (job quality) riguarda una fase superiore delle politiche per l’occupazione: la promozione sociale del lavoratore. In particolare, c’è una relazione negativa tra la quota di lavori di bassa qualità (low quality jobs) e il tasso di occupazione: le persone che ottengono lavori di bassa qualità, specie se prive di opportunità formative, restano ad alto rischio di sprofondare nuovamente nella disoccupazione o nel lavoro sommerso.38 Al contrario, c’è un legame positivo tra la qualità dell’occupazione, la produttività del lavoro e i grandi temi delle politiche a tutela della persona umana: la parità di genere e l’aumento della quota di donne occupate, la lotta alle discriminazioni, la salute e la sicurezza sul lavoro. Sono precisamente i diritti che la Carta ha sancito per l’intera Unione europea.

Le analisi e proposte non debbono sottovalutare la crescente interdipendenza fra i fattori in gioco: un’interdipendenza spaziale, enfatizzata dalla globalizzazione e una funzionale rafforzata dalle nuove tecnologie, specie informatiche.39 Il sistema giuridico europeo può essere inteso in senso deregolativo soltanto se si enfatizza l’esigenza di rendere competitive le imprese, che pure crea occupazione, e si tace sull’obiettivo, espresso con forza anche maggiore, di migliorare la qualità del lavoro.40

 

L’esclusione sociale

A Ginevra, durante la novantatreesima Conferenza dell’ Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), svoltasi dal 31 maggio al 16 giugno 2005, il direttore generale dell’organizzazione ha dichiarato che il divario tra la concentrazione di ricchezza nell’economia globale e la modesta crescita dell’occupazione «pone una crescente minaccia alla sicurezza internazionale, allo sviluppo e alla democrazia».41 In senso radicalmente contrario, nell’Europa a quindici membri la popolazione a rischio di povertà è calata dal 17% del 1995 al 15% del 2001, secondo i dati Eurostat.42 Nel medesimo periodo, l’aspettativa di vita è cresciuta da 77 anni a 78,5 circa.43

Il presidente americano Franklin Delano Roosevelt, nel discorso dell’11 gennaio 1944, disse: «Siamo arrivati a comprendere con chiarezza il fatto che l’autentica libertà individuale non può esistere senza la sicurezza e l’indipendenza economica. Un uomo oppresso dalle necessità non è un uomo libero. La gente affamata e senza lavoro è la materia di cui sono fatte le dittature».44

Una globalizzazione giusta si compie creando opportunità per tutti, con un dialogo tripartito che coinvolga datori di lavoro, lavoratori e governi.45 È interessante notare che il testo inglese del Rapporto prodotto dalla Commissione mondiale sulla dimensione sociale della globalizzazione utilizza la parola worker che indica la categoria generale dei lavoratori, tanto autonomi che subordinati.46

Un livello adeguato di Stato sociale, che è tradizione comune ai paesi europei, rende l’Unione più solida e democratica.47 Non è ravvisabile alcuna correlazione positiva tra le diseguaglianze di reddito, specialmente prodotte dalla compressione verso il basso dell’imposizione fiscale, l’occupazione e lo sviluppo dell’economia. Il PIL può crescere rapidamente nei calcoli statistici, ma non nell’esperienza della gente comune che si trova oppressa da frustrazioni crescenti, da alienazione e insicurezza. Dopo un po’ anche il prodotto nazionale lordo smette di crescere, non a causa di insuccessi scientifici o tecnologici, ma per via di una paralisi strisciante causata dal rifiuto di cooperare, espresso in varie forme di evasione dalla realtà, da parte non solo degli oppressi e degli sfruttati ma anche dei gruppi notevolmente privilegiati.48 I fattori che incoraggiano la crescita dell’occupazione, specialmente nei servizi, sono la diffusione di redditi crescenti, la transizione verso una produzione di alta qualità, l’integrazione delle donne nel mercato del lavoro, lo sviluppo del welfare state, l’introduzione di innovazioni, la riduzione dell’orario di lavoro, la specializzazione nei servizi alle esportazioni.49

A proposito di giustizia distributiva, Giovanni Bazoli interpreta la parabola evangelica degli operai della vigna (Matteo, 20, 1-16), che il padrone remunera tutti con un denaro senza differenza tra quelli che hanno iniziato il lavoro al mattino e gli altri, assunti nel tardo pomeriggio: il fatto che gli operai non avessero in precedenza lavorato, perché nessuno li aveva assoldati, «non descrive pigrizia o ignoranza, bensì una differenza di opportunità, non dipendente dalla volontà dei lavoratori ».50 Sono spesso le disuguaglianze iniziali a materializzare una diversa «resa» degli uomini. La sola alternativa tra l’uguaglianza come «inclusione» e la disuguaglianza come «esclusione» è comunque inadeguata. Una mobilità diffusa verso il basso sarebbe altrettanto minacciosa per la coesione sociale che l’esistenza di una classe ostile di esclusi.51 Per Sigmund Freud il senso sociale poggia «sul rovesciamento di un sentimento inizialmente ostile in un legame caratterizzato in senso positivo, la cui natura è quella di una identificazione».52

Le analisi sulle origini della disoccupazione e della povertà non mancano. Spesso, non sono concordanti, come non lo sono i rimedi proposti. Il semplice potere del mercato economico non risolve il problema, senza la concreta libertà di partecipazione alla vita sociale.53

Gli Stati europei sono tutti troppi piccoli per garantire, da soli, sicurezza e benessere ai propri cittadini. Allo stesso modo, anche le imprese e le persone devono scegliere se consolidare una entità «più alta, più forte e più capace di competere come l’Unione europea».54

In cinquanta anni di costruzione europea, da sei a venticinque membri, l’Unione è l’unico esempio contemporaneo di democrazia sovranazionale. È il risultato di un lungo, paziente dialogo, della continua e sempre rinnovata ricerca dell’interesse comune e superiore, di un equilibrio più alto e stabile.55 Una ricerca di equilibrio e di libertà che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea consolida e promuove, anche nella disciplina del lavoro e dell’occupazione.

 

Bibliografia

1 L. Febvre, L’Europa. Storia di una civiltà, Roma, Donzelli, 1999, p. 284.

2 Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (Gazzetta Ufficiale UE C/310 del 16 dicembre 2004). La ratifica del Trattato è stata autorizzata con la legge 7 aprile 2005 n. 57 (Supplemento ordinario Gazzetta Ufficiale 21 aprile 2005, n. 92).

3 Z. Bauman, La libertà, Troina, Città Aperta Edizioni, 2002, p. 106.

4 F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, (a cura di E. Sestan, A. Saitta), Roma- Bari, Laterza, 1999, p. 23.

5 Ivi, p. 26.

6 G. Amato, Carta UE, due opzioni e il coraggio delle riforme, in «Il Sole 24 Ore», 5 giugno 2005, p. 1 e p. 7.

7 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, in Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, cit., Parte II.

8 S. Gana Cavallo, Le contraddizioni del Trattato europeo, in «MondOperaio», 4-5/2005, pp. 33-36 (spec. p. 34).

9 V. A. Poso (a cura di), Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Pisa, ETS, 2000, pp. 5-7.

10 B. Trentin, La libertà viene prima. La libertà come posta in gioco nel conflitto sociale, Roma, Editori Riuniti, 2004, pp. 95-96.

11 Papa Giovanni Paolo II, Angelus del 1 gennaio 2002, Solennità di Maria Ss.ma Madre di Dio  (35ma Giornata della Pace).

12 S. Romano, L’ordinamento giuridico, Firenze, Sansoni, 1951, p. 12.

13 Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 (GU L. 175 del 10 luglio 1999).

14 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, in Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa,  Parte II, Titolo II (Libertà), art. (II)-75, p. 45.

15 Ivi, Parte II, Titolo I (Dignità), art. II-61.

16 Ivi, Parte II, Titolo I (Dignità), art. II-65.

17 Ivi, Parte II, Titolo III (Uguaglianza), art. II-83.

18 Ivi, Parte II, Titolo IV (Solidarietà), art. II-93.

19 Ivi, Parte II, Titolo IV (Solidarietà), art. II-91.

20 Ivi, Parte II, Titolo IV (Solidarietà), art. II-92, comma 2.

21 Ivi, Parte II, Titolo V (Cittadinanza), art. II-101.

22 Ivi, Parte II, Titolo V (Cittadinanza), art. II-101, comma 2.

23 Ivi, Parte II, Titolo V (Cittadinanza), art. II-101, comma 2.

24 E. F. Schumacher, Piccolo è bello. Uno studio di economia come se la gente contasse qualcosa,  Milano, Mondadori, 1978, pp. 21-22.

25 S. Velluti, La costituzionalizzazione di nuove forme di EU Governance. La strategia europea per l’occupazionee la sua implementazione tramite il metodo di coordinamento aperto, in «Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale», 2/2005, pp. 431-457.

26 B. Trentin, op. cit., p. 36.

27 Ivi, p. 94.

28 D. Ghai, Decent work: Concept and indicators, in «International Labour Review», 2/2003, pp. 113-145.

29 S. Velluti, op. cit., pp. 431-457.

30 J. E. Stiglitz, Employment, social justice and societal well-being, in «International Labour Review», 1-2/2002, pp. 9-29.

31 Commissione CE, COM, 728 final, Improving quality in work: a review of recent progress, Bruxelles, 26 novembre 2003.

32 OIL, Decent work, in «Report of the Director-General», 87ma sessione, Ginevra, giugno 1999.

33 H. G. Gadamer, Verità e metodo, Milano, Bompiani, 2004, pp. 783-997.

34 D. Ghai, op. cit., pp. 113-145.

35 K. Marx (a cura di E. Sardella), Il capitale, Roma, Newton, p. 546, nota 248.

36 D. Ghai, op. cit., pp. 113-145.

37 OIL, Press release, 22 gennaio 2004, ILO/04/01.

38 Commissione CE COM (2003) 728 final, op. cit., p. 6.

39 T. Treu, Proposte di riforma del lavoro, in «Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale», 2/2005, pp. 417-430.

40 M. Roccella, T. Treu, Diritto del lavoro della Comunità europea, Padova, Cedam, 2002, pp. 131-137.

41 OIL, Press release, 6 giugno 2006, ILO/05/26.

42 European Communities, Eurostat Yearbook 2004. The statistical guide to Europe, 1992-2002, 2004, p. 27.

43 Ivi, p. 29 e pp. 57-59.

44 Franklin D. Roosevelt, Discorso sullo stato dell’Unione, in «Quale Stato», 2/2005, pp. 224-237.

45 OIL, A fair globalization. The role of the ILO, Report of the Director-General on the World Commission on the Social Dimension of Globalization, International Labour Conference (92ma sessione, 2004), pp. 14-18.

46 Cfr. fra le altre OIL, International Labour Office, The World Commission on the Social Dimension of Globalization, A fair globalization: creating opportunities for all, 2004, p. 65, dove si afferma il «riconoscimento che la spinta a una maggiore efficienza e produttività deve essere equilibrata nei confronti dei diritti dei lavoratori alla sicurezza e alla uguaglianza di opportunità».

47 P. Leon, Lo Stato sociale universale, in «Quale Stato», 2/2005, pp. 79-86.

48 E. F. Schumacher, op. cit., p. 20.

49 G. Bosch, Do we need more income differentiation to increase the employment rate in Europe?, in «Economia&Lavoro», 1/2004, pp. 47-63.

50 G. Bazoli, Giustizia e uguaglianza. Modelli biblici, Brescia, Morcelliana, 2005, pp. 35-65, p. 52per la citazione.

51 A. Giddens, La terza via. Manifesto per la rifondazione della socialdemocrazia, Milano, Il Saggiatore, 2001, pp. 101-125, p. 103 per la citazione.

52 S. Freud, Il disagio della civiltà e altri saggi, Torino, 1977, pp. 89-95.

53 J. Delors, Disoccupazione e povertà: cause e rimedi, in A. Genovesi (a cura di), Per un’Europa migliore. A dieci anni dall’uscita del Libro bianco di Delors, l’Unità, 2003, pp. 137-142.

54 R. Prodi, Europa: il sogno, le scelte,