Le rivoluzioni della dignità

Written by Leila El Houssi Friday, 04 February 2011 15:32 Print
Le rivoluzioni della dignità Foto: Christopher Belsten

Il dissenso dei giovani tunisini ed egiziani, che da giorni manifestano per le strade, riflette il rifiuto verso regimi corrotti e liberticidi che in Occidente, però, venivano comunemente definiti moderati. Eppure non sono ancora emerse delle valide alternative politiche a questi governi. Il rischio è il vuoto politico.

 

«Pane e dignità»! Attraverso questo slogan, nelle ultime settimane, si è espresso con tenacia e determinazione il dissenso di migliaia di giovani tunisini ed egiziani lungo le strade e le piazze dei propri paesi. Giovani con un alto tasso di istruzione che conoscono le lingue occidentali e che attraverso la rete dei social network reclamano i loro diritti. Giovani che colpiti da una disoccupazione crescente non tollerano più un sistema corrotto e che spontaneamente decidono di togliere dalla propria bocca quel bavaglio che troppo a lungo è stato loro imposto. Giovani che, nella stragrande maggioranza, non appartengono ad organizzazioni sindacali o politiche. Sono semplicemente “persone ai cui occhi il regime appariva come qualcosa di arcaico e disconnesso dalle loro aspirazioni. Un regime che si fondava sull’equazione sicurezza-redistribuzione sociale non convince più i giovani del Ventunesimo secolo.

Agitare lo spauracchio dell’estremismo islamico causando privazione delle libertà fondamentali non funziona più nel momento in cui risulta impossibile concedere compensi sociali e salariali in un contesto di crisi economica mondiale. La demagogia insita in questo pensiero è venuta alla luce e ha repentinamente prodotto nel popolo la volontà  di dire basta a questi regimi che usufruivano della complicità di un Occidente per lo più conciliante.

Un Occidente spesso condiscendente verso regimi arabi definiti “moderati” che agivano operando uno sbarramento dell’estremismo islamico al fine di garantire la tranquillità sulla sponda sud del Mediterraneo. L’obbiettivo del contenimento dell’islamismo è sembrato rendere l’Occidente cieco di fronte alle violazioni dei diritti fondamentali che venivano costantemente perpetrate da questi regimi. In effetti, non ci si preoccupava che lo “sbarramento” si manifestasse attraverso una minuziosa censura di tutto ciò che potesse anche lontanamente ricondurre a forme di opposizione. In questi paesi si è così prodotta una progressiva crescita della corruzione e un eccessivo controllo da parte delle forze di polizia, che ha provocato nelle popolazioni una perdita di fiducia nei confronti della politica.

Il risultato è che l’asse nord-sud dell’area mediterranea sembra oggi crollare come un castello di carte perché nessuno degli attori coinvolti aveva previsto che dietro ad una destabilizzazione del Mediterraneo potesse esservi non l’Islam politico, bensì il vuoto politico.

Il contesto attuale vede due paesi quali Tunisia ed Egitto condividere un’esperienza che segnerà la storia e che rappresenta un primo passo verso la democrazia. Tuttavia all’interno di questi paesi non si intravedono, per il momento, forze organizzate che siano in grado di svolgere un ruolo dirigente nella costruzione di un percorso democratico.

L’Unione europea potrebbe aiutare queste popolazioni nella transizione lungo un percorso democratico puntando a concretizzare i progetti dell’Unione per il Mediterraneo con lo scopo di rendere quest’area un soggetto democratico economicamente indipendente. Una condizione necessaria di questo aiuto appare la costruzione di un nuovo dialogo capace di incidere sul cambiamento parlando, come suggerisce lo scrittore Tahar Ben Jelloun, «la lingua dei valori della sponda sud».

I giovani tunisini o egiziani sono scesi nelle strade riscoprendo il sapore e il valore della dignità umana e della libertà dall’oppressione. Sentimenti e valori che irrorano le radici culturali dell’Europa democratica. Al di là di differenze religiose, certo presenti ma troppo spesso strumentalizzate per interesse politico, si scopre dunque una koiné culturale su cui forse sarà possibile tessere in futuro la trama di rapporti pacifici e fecondi tra le due sponde del Mediterraneo.

 

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Foto di Christopher Belsten