Criminalità

Written by Andrea Di Nicola Monday, 16 January 2012 13:08 Print

La criminologia nel tempo ha studiato diverse forme di criminalità e le loro cause: criminalità appropriativa, violenta, a sfondo sessuale, urbana, economica (o del “colletto bianco”), informatica, organizzata, contro l’umanità.

 

La criminologia nel tempo ha studiato diverse forme di criminalità e le loro cause: criminalità appropriativa, violenta, a sfondo sessuale, urbana, economica (o del “colletto bianco”), informatica, organizzata, contro l’umanità.

Quando si parla di criminalità ci si riferisce a comportamenti vietati dalle norme penali in un dato paese e in una determinata epoca storica. È però vero che in tempi e luoghi diversi sono esistiti ed esistono atti criminalizzati, cioè reati, non perseguiti o puniti in concreto. Questo perché l’opinione pubblica ritiene non siano così gravi come stabilito dal diritto penale. Ad esempio, in alcune zone degli Stati Uniti il gioco d’azzardo è vietato ma non è considerato negativamente dalla maggioranza della popolazione. Allo stesso modo, nell’Italia degli anni Novanta corrotti e corruttori si giustificavano affermando che gli atti di corruzione, anche se scritti nel codice penale, erano comportamenti diffusi e accettati da tutti. Oggi scaricare musica da internet violando il diritto d’autore è un comportamento comune, al quale molti non associano alcun disvalore, nonostante il diritto penale stabilisca diversamente. Specularmente, in tempi e luoghi diversi sono esistiti ed esistono atti non censurati dal punto di vista penale, anche se ritenuti gravi e meritevoli di pena da parte della collettività e considerati reati in altri contesti; oppure atti che la maggioranza delle persone vorrebbe punire più severamente di quanto già non faccia il diritto. In Italia è oggi il caso del falso in bilancio, trattato in modo più mite di quanto molti vorrebbero, in linea con la risposta sanzionatoria più rigorosa di altri paesi.

La distanza che può intercorrere tra reazione ufficiale (le norme penali) e reazione sociale (il sentire della gente su cosa debba essere criminalizzato e quanto) rende palese che quello di criminalità non è un concetto auto-evidente, unitario. È piuttosto relativo, mutando nello spazio e nel tempo. È definito dalla società che lo esprime, attraverso l’interazione e la sintesi di tre elementi: il danno che un comportamento arreca; il con- senso sociale; la risposta ufficiale. Il danno riguarda la natura, la severità e l’estensione delle conseguenze della condotta, come anche il tipo di vittima. Il consenso si riferisce all’accordo che i membri della comunità hanno, in base alle loro percezioni, sull’entità e sulla gravità del danno e sul tipo di vittima. “Risposta ufficiale” significa esistenza di norme che assegnano una sanzione penale a un comportamento che produce danno, così come la loro concreta applicazione. A seconda del tipo di società, del momento storico, del discorso politico o mediatico, della visibilità delle azioni illegali e della capacità di accorgersi del danno, delle percezioni di sicurezza della popolazione, questi tre elementi si combinano e danno forma a ciò che una comunità ritiene criminale e da perseguire, e che è effettivamente perseguito. A tale proposito sono ancora oggi di grande attualità le riflessioni di uno dei più importanti criminologi del secolo scorso, Edwin Sutherland, che negli anni Quaranta sosteneva che la criminalità dei colletti bianchi, e più in generale di chi sta in alto nella scala sociale ed è in apparenza rispettabile, non fosse abbastanza studiata, prevenuta, contrastata proprio perché non ne veniva percepita la pericolosità.

In definitiva, semplificando, quando la società osserva i fenomeni criminali usa un riflettore. L’area illuminata, l’area grigia, poco illuminata, e l’area buia cambiano continuamente. Ci sono società più o meno mature nell’uso di questo riflettore, o fuori di metafora, nella capacità di osservare e comprendere i fenomeni criminali e di definire la criminalità e la relativa agenda politica.

Osservazioni e rappresentazioni distorte dei fenomeni criminali impattano sui tre elementi che abbiamo visto plasmare il concetto di criminalità e incidono sulla capacità di uso di questo riflettore.

Così ad esempio gli studi sono concordi nel ritenere che oggi in Italia i media distorcono le notizie di criminalità rispetto al dato reale, sovrarappresentando reati violenti e sessuali, reati efferati, reati appropriativi con interazione, reati con autori stranieri, reati con vittime italiane e di sesso femminile. Spettacolarizzano le notizie di criminalità violenta. I telegiornali italiani parlano di criminalità, soprattutto violenta e urbana, molto più di quelli stranieri, in termini sia di numero di notizie, sia di tempo a esse dedicato. Il loro registro è allarmistico. In linea con questo allarme l’azione del legislatore, nel corso degli anni, ha perseguito la criminalizzazione e l’inasprimento delle pene soprattutto per alcuni reati violenti, sessuali, di criminalità urbana e predatoria, degli stranieri. Eppure il dato reale dice altro. Le statistiche sulla criminalità evidenziano che i reati denunciati sono pressoché costanti dall’inizio degli anni Novanta. Fonti affidabili suggeriscono che l’Italia, se comparata con altri paesi, è relativamente sicura dal punto di vista oggettivo e poco violenta. Così ad esempio Roma è tra le capitali più sicure; il tasso di omicidi in Italia è tra i più bassi in Europa (rispetto al numero degli abitanti si commettono molti più omicidi in Svezia che da noi). Le stesse ricerche ci dicono che gli italiani sono tra gli europei quelli che si sentono più insicuri. Queste rappresentazioni e percezioni finiscono per incidere sulla nostra definizione sociale di criminalità, che si cristallizza di più sui reati che generano allarme e che al contempo sono altamente visibili. Di meno su forme oggettivamente molto dannose di illegalità, che non sono percepite come tali perché meno visibili o perché si fatica a riconoscere il danno, a identificare le vittime e ad accordarsi sul disvalore. Si pensi, a titolo esemplificativo, all’incontro occulto tra criminali del colletto bianco e criminali organizzati tradizionali (la cosiddetta criminalità economica organizzata), alla delinquenza ambientale, alla delinquenza dei potenti, ai reati di corruzione, e a quelli che danneggiano il patrimonio artistico e culturale. O ancora all’odierna criminalità organizzata, che abbassa il conflitto e la violenza e torna a infiltrare gli appalti pubblici. Alcuni criminologi sono arrivati a dire che la criminalità, proprio come la bellezza, sta negli occhi di chi la guarda. Basterebbe solo imparare a guardare.

Acquista la rivista

Abbonati alla rivista