All'origine delle migrazioni: fattori di espulsione e rotte migratorie

Written by Jean-Léonard Touadi Monday, 20 January 2014 10:44 Print

I flussi migratori sono un fenomeno di portata planetaria e costituiscono l’altra faccia della globalizzazione, della quale svelano contraddizioni e ingiustizie. Il massiccio flusso di persone, in costante crescita negli ultimi anni, non risparmia nessun continente e anzi sarebbe sbagliato pensare che il ricco Occidente ne rappresenti l’unica meta, dal momento che l’Africa è attraversata da travolgenti ondate migratorie interne. L’aspetto che però viene generalmente trascurato dalla politica e dall’opinione pubblica, anche italiane, è il contesto nel quale avviene il fenomeno, di cui vanno considerati, per una sua valutazione complessiva, non solo il punto di arrivo, ma anche i fattori di espulsione – povertà, guerra e instabilità politica, cambiamenti climatici e dissesti idrogeologici – e le rotte seguite, che costituiscono le tappe di un intenso e vergognoso traffico umano.

L’Italia si trova nell’epicentro europeo del vorticoso flusso migratorio globale di 192 milioni di persone, circa il 3% della popolazione mondiale. Un fenomeno planetario che costituisce la cifra della nostra contemporaneità, una spia rossa delle contraddizioni della globalizzazione, connotata da una crescita disuguale, senza giustizia sociale, senza stabilità politica e attraversata da molteplici conflitti.

Un “sesto continente”, come lo definiscono gli esperti, che esprime processi e dinamiche in continua trasformazione. Mutano le tipologie migratorie, i soggetti individuali e le categorie sociali migranti, le rotte, le intermediazioni, le destinazioni e le politiche d’accoglienza e di respingimento. Un dato rimane certo, quello della crescita della popolazione immigrata, oltre 45 milioni ogni anno dal 1965 al 1990. Uomini e don- ne che solcano i mari e gli oceani, che attraversano i deserti, le foreste e le savane alla ricerca della salvaguardia della propria incolumità fisica, che cercano condizioni di vita migliori per sé e per la famiglia rimasta in patria. I migranti nel mondo sono 232 milioni, ma, includendo anche le migrazioni interne, raggiungono quasi un miliardo. In tredici anni sono aumentati di 57 milioni. Il “Dossier Statistico Immigrazione 2013” della Caritas nota come «tutti i paesi del mondo sono contemporaneamente aree di destinazione, origine e transito. La stessa Europa, da un lato accoglie il 31,3% dei migranti nel mondo, dall’altro è l’area di origine di un altro 25,3%».

Nessun continente del pianeta è al riparo da un flusso così imponente. Anzi, giova ricordare un dato di fatto, spesso trascurato nel dibattito italiano ed europeo sull’immigrazione, ossia che gli immigrati che scelgono l’Occidente ricco sono solo una piccola frazione rispetto alle travolgenti migrazioni interne al continente africano. Come scrive in uno studio Massimo Ruggero, dell’Università di Genova: «Oggi, in appena un decennio, il tasso annuale di crescita dei movimenti migratori, comprese le molteplici tipologie migratorie interne al Continente nero, si è assestato in modo rapido e preoccupante ben oltre il 3,5%». L’Africa è il continente più “mobile del mondo”. «Negli ultimi anni i flussi migratori all’interno del continente africano sono aumentati fortemente a causa delle gravi condizioni socio-politico-economiche e per l’aumento costante della pressione demografica; inoltre la chiusura delle frontiere operata dai paesi europei e da alcuni del Nord Africa ha costretto milioni di migranti a modificare le tradizionali rotte e i progetti migratori con ulteriori gravi conseguenze».

Un fenomeno di tale portata deve, quindi, essere colto in tutta la sua complessità e in tutte le sue sfaccettature. La percezione italiana – quella della politica, dei media e dell’opinione pubblica – si ferma spesso a considerare solo il punto terminale dell’immigrazione. Lo sguardo dovrebbe, invece, abbracciare tutta la filiera migratoria: dai cosiddetti “fattori di espulsione” alle rotte seguite; dagli attori individuali e collettivi alle aree di destinazione. Lo scopo fondamentale è quello di contestualizzare il fenomeno, evitando di considerare solo l’albero costituito dal singolo immigrato senza scorgere la foresta delle concause che lo spingono a spostarsi.

I FATTORI DI ESPULSIONE

Le sperequazioni economiche Il primo fattore di espulsione è costituito dalle condizioni strutturali di povertà all’interno di numerosi paesi dell’Africa subsahariana. Sebbene da un punto di vista demografico non sia questa la regione più vasta, la forza di attrazione verso il basso esercitata dalla povertà dell’Africa subsahariana, spiegano i dati ONU sulla povertà, è forse quella più pervasiva. In quest’area, in generale, il progresso sociale non è stato in grado di andare di pari passo con l’elevata crescita della popolazione o di mantenere le proprie posizioni di fronte al disastro economico, che per di più è spesso in connessione con conflitti armati e con il degrado ambientale. L’Africa subsahariana detiene il più grande numero dei cosiddetti “paesi meno sviluppati”, espressione coniata dalle Nazioni Unite per descrivere le «più povere ed economicamente più deboli tra le nazioni in via di sviluppo, con enormi problemi economici, istituzionali e di risorse umane, che si combinano spesso con handicap geografi ci e disastri sia naturali che causati dall’uomo». Al momento in cui venne formulata, c’erano ventuno paesi che rispondevano a tale definizione, mentre oggi il loro numero è cresciuto sino a raggiungere la quota di quarantotto nazioni, trentatré delle quali sono in Africa. Povertà rurale e povertà urbana “misurate” con il valore statistico di un reddito inferiore a uno o due dollari al giorno. Soprattutto l’esodo di masse di popolazione dalle campagne verso la città – nel 2030 quasi 800 milioni di africani, pari al 55% della popolazione, vivranno nelle metropoli – costituisce il bacino di reclutamento principale dei candidati all’immigrazione verso l’Europa. Nel senso che le aspettative deluse dell’esodo verso la città fanno maturare le condizioni per la ricerca di un altrove extra-africano. In Africa, secondo l’ONU, la povertà è rimasta indifferente alla crescita economica. Infatti, mentre la performance macroeconomica è migliorata dagli anni Novanta, l’impatto sulla disoccupazione sembra essere minimo. Dire immigrazione significa accendere un faro sulla disuguale distribuzione della ricchezza. In effetti, ben il 95% delle strutture produttive è posseduto da un sesto della popolazione mondiale. Con un reddito pro capite di circa venti volte inferiore a quello dell’UE, l’Africa subsahariana dispone solo del 2,1% della ricchezza mondiale. Condizioni economiche incapaci di soddisfare i bisogni essenziali (che sono diritti essenziali secondo l’ONU sulla base del principio “basic needs are basic rights”) diventano fattori di espulsione verso l’eldorado europeo. Bisogni essenziali ma, per una minoranza di giovani africani, un eldorado europeo che attira anche milioni di “avventurieri” sedotti dagli stili di vita e dai modelli di consumo veicolati dai network globali. Attrazione fatale per la “Western way of life” che i loro territori di nascita non riescono a soddisfare e che li spinge verso la fonte di ogni consumo con brand standardizzato e assimilato anche nelle più remote regioni del pianeta.

I conflitti armati e l’instabilità politica Vi è un nesso, molto approfondito dagli esperti, tra le condizioni di povertà e l’instabilità politica che sfocia in conflitti di più o meno alta intensità. Paul Collier ritiene che una guerra civile in un paese povero costi mediamente 50 miliardi di dollari all’anno, cioè il 250% del PIL di un paese a basso reddito prima del conflitto. L’ONU esemplifica in dettaglio le conseguenze indirette dei conflitti sulle popolazioni: «tutta la comunità soffre delle conseguenze indirette. Per esempio, i bambini non possono frequentare la scuola se volano pallottole e i conflitti per l’uso delle limitate risorse idriche vengono esacerbati se si ricorre all’uso delle armi. Le armi vengono usate per le deportazioni forzate e dentro i campi profughi, dove le persone sono spesso sottoposte a maggiore violenza e a ricatti con la minaccia delle armi. I conflitti sono la causa principale della maggior parte dei flussi di rifugiati».

Gli immigrati che giungono sulle nostre coste sono una mappa vivente di un’Africa senza pace. Hanno stampato sui loro corpi e volti le deflagrazioni sanguinose che affliggono, a volte da decenni come in Somalia e in Sudan, i loro territori d’origine. Ma ci sono anche le guerre a cosiddetta “bassa intensità”, che non fanno notizia sui media mainstream, ma producono vittime, stupri etnici, bambini soldato, sfollati, devastazioni ecologiche e milioni di profughi. Sudan, Somalia, Eritrea, Congo Democratico, Mali sono i gironi infernali dai quali sfuggono in cerca della soddisfazione del primo dei diritti, il diritto alla vita.

Il fattore ambientale Ancorché spesso trascurati, i cambiamenti climatici e i dissesti idrogeologici stanno diventando tuttavia una causa di fuga dal continente africano. Secondo Myers, uno dei massimi analisti ambientalisti al mondo, citato da Massimo Ruggero, «i rifugiati in generale lasciano le loro case per paura, non per opportunità. Il caso africano è emblematico: da un recente rapporto dell’UNEP, si evince che ben 10 milioni di persone negli ultimi venti anni sono state sfollate a causa dell’espansione dei deserti e dei dissesti idrogeologici nel continente. Per il 2010 si stima che il mondo dovrà fare fronte a circa 40 milioni di persone in fuga per cause ambientali. E nel 2050, secondo le ultime stime dell’ACNUR, saranno oltre 150 milioni i possibili profughi dell’Africa». Quest’ulteriore fattore di espulsione rende assai irrilevante la distinzione concettuale tra profughi che scappano da guerre e da conflitti e immigrati economici spinti a spostarsi dalla povertà. Ci troviamo dinanzi a una nuova categoria di persone vittime della natura e della gestione dissennata della mano dell’uomo. La desertificazione progressiva del Sahel, il conflitto potenziale sulla gestione delle risorse del Nilo, il lento prosciugamento del lago Ciad, la lenta agonia del delta del Niger causata da uno sfruttamento selvaggio dei pozzi petroliferi in Nigeria, la deforestazione in Costa d’Avorio e nel ricco bacino del fiume Congo si traducono in aumento di persone candidate all’immigrazione verso l’Europa.

 

LE ROTTE

Secondo i dati del nuovo “Dossier Statistico Immigrazione” Caritas- Migrantes, sono 5 milioni gli africani che vivono nell’Unione europea, dei quali circa un quinto è insediato in Italia. Sono tante e diversificate le rotte utilizzate dagli immigrati per raggiungere il Nord Africa e l’Europa. Esse sfruttano le antiche rotte precoloniali che collegavano l’Africa occidentale con il Maghreb e la penisola arabica – le rotte transahariane –, inventando nel contempo nuove rotte in grado di adattarsi con puntualità alle strategie di contrasto dei paesi di accoglienza. Pur nella diversità delle rotte seguite, vi è una costanza di destinazione: il Marocco, l’Algeria, la Tunisia e, a partire dagli anni Novanta, l’intensificazione della rotta libica con caratteristiche peculiari. Un’indagine dell’Agenzia Fides del 2009 offre una mappa precisa delle rotte migratorie dall’Africa verso il Nord Africa e l’Europa.

Le rotte del traffico L’indagine di Fides evidenzia che le rotte principali dell’immigrazione legale e illegale (e del conseguente traffico di esseri umani) sono quelle del deserto del Sahara, tappa intermedia verso l’Europa. Il Sahara è al centro di un intenso traffico di esseri umani gestito da bande criminali ben organizzate. Uomini stipati in camion strapieni che affrontano le escursioni termiche tipiche del clima desertico. Uomini, donne e bambini sottoposti alle angherie e alle razzie dei corpi di polizia dei paesi attraversati, delle formazioni ribelli presenti lungo la rotta e degli stessi autisti. È quasi impossibile, scrive Fides, «stabilire quante persone muoiono ogni anno nel tentativo di attraversare il deserto del Sahara. La località desertica di Agadez in Niger è l’epicentro di questo traffico. Da Agadez, le rotte migratorie si biforcano verso le oasi di Sebha in Libia e verso quella di Tamanrasset nel sud dell’Algeria. Dalla Libia meridionale, i migranti giungono a Tripoli e ad altre città costiere o in Tunisia; dalla costa, gli immigrati effettuano il viaggio in barca verso Malta o le isole italiane di Lampedusa, Pantelleria e la Sicilia».

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