Saperi in cerca di impiego. La sovraistruzione dei laureati in Italia

Written by Giuseppe Croce ed Emanuela Ghignoni Thursday, 23 March 2017 10:53 Print

Il rischio di sovraistruzione, cioè di ottenere un posto di lavoro per il quale non è necessario il titolo di studio posseduto, non può essere attribuito a un eccesso di laureati né a livelli di reddito esageratamente alti. Il problema, piuttosto, è che il sistema produttivo italiano continua a esprimere una domanda complessivamente modesta di lavoro istruito. Esso non è stato in grado, fino a oggi, di trarre giovamento dalle condizioni favorevoli rappresentate da una crescita ancora sostenuta del numero di laureati e dal costo relativamente basso del lavoro qualificato. Quali misure bisogna allora mettere in campo per invertire questo fenomeno che coinvolge ormai una quota non trascurabile di persone qualificate anche nel nostro paese?

 

ISTRUZIONE E CRESCITA. UNA RELAZIONE (UN TEMPO?) FORTE

La crescita economica, così come l’hanno conosciuta le economie avanzate almeno dalla metà del secolo scorso, ha avuto tra i suoi pre­supposti l’aumento dei livelli di istruzione della popolazione. Que­sto, a sua volta, ha interagito strettamente con l’innovazione tecnolo­gica e le trasformazioni del sistema produttivo. L’evoluzione coerente di domanda e offerta di lavoro qualificato è stata una condizione necessaria della crescita e, al tempo stesso, ha consentito un’adeguata valorizzazione economica dell’istruzione, via via crescente, acquisita da strati sempre più ampi della popolazione.1

Tuttavia non è scontato che nei prossimi anni questo processo conti­nuerà a svilupparsi con lo stesso slancio. Il dibattito in corso sulla na­ tura dell’evoluzione tecnologica in atto, sulle sue prospettive e sulle sue implicazioni per il lavoro, segnala una fase di grande incertezza. Il rallentamento della dinamica della produttività e della crescita ag­grava questa incertezza.2

La sovraistruzione (overeducation) rappresenta forse un sintomo delle difficoltà delle economie avanzate a proseguire lungo il percorso di accumulazione e valorizzazione del capitale umano. Una persona è considerata sovraistruita quando occupa un posto di lavoro per il quale non è richiesto il titolo di studio che essa possiede.

Abbiamo ormai una massa sufficiente di evidenze empiriche per po­ter affermare che questo fenomeno coinvolge una quota non trascu­rabile di persone qualificate in tutte le economie avanzate. E tut­tavia, va riconosciuto con onestà, esso è ancora un fenomeno per più aspetti poco conosciuto. Gli sforzi fin qui prodotti da studiosi ed esperti non hanno portato a individuare un modo affidabile per riconoscerlo e misurarne l’estensione. Né appare facile, nel concreto, distinguere chiaramente le sue determinanti e valutare le sue impli­cazioni per le persone coinvolte e per i sistemi economici nel loro insieme. Su tutti questi aspetti un’ampia letteratura economica non ha ancora raggiunto risultati univoci.3

Il primo allarme di un rischio di sovraistruzione di massa fu lanciato negli Stati Uniti negli anni Settanta del secolo scorso da Richard Freeman, che denunciò le difficoltà dei laureati di veder adeguatamente ripagate nel mercato del lavoro le qualifiche acquisite. Quell’allarme si rivelò ben presto infondato. Negli anni successivi, infatti, i redditi dei laureati presero a correre a un ritmo ben più veloce di quelli di chi era meno istruito. Tuttavia, da allora, è cresciuta l’attenzione e la preoccupazione nei riguardi del fenomeno.

Per inquadrare l’analisi delle sue cause si devono distinguere quelle che si manifestano a livello aggregato da quelle relative al funziona­mento del mercato del lavoro. A livello aggregato si ha sovraistru­zione quando il volume di lavoro istruito in uscita dal sistema for­mativo risulta eccessivo rispetto alle quantità domandate dal sistema produttivo. Tuttavia, anche in presenza di un perfetto bilanciamento tra le quantità domandate e offerte di lavoro qualificato vi può esse­ re sovraistruzione come conseguenza delle difficoltà che lavoratori e imprese incontrano nella ricerca di una combinazione soddisfacente (matching) tra le conoscenze possedute e quelle richieste.

La valutazione del fenomeno è più complessa se si passa da una visio­ne statica, strettamente legata al momento presente, a una dinamica, che tiene conto delle implicazioni per il futuro. Da un punto di vista statico la sovraistruzione si presenta come uno spreco di risorse. Tuttavia essa potrebbe essere solo una situazione transitoria. A livello aggre­gato, un’accumulazione eccessiva di lavoro qua­lificato potrebbe facilitare il cambiamento tec­nologico e lo sviluppo del sistema produttivo. È quanto è avvenuto negli Stati Uniti negli ultimi decenni del secolo scorso. A livello individuale la sovraistruzione potrebbe corrispondere a una fase iniziale della vita professionale in cui si ac­cumulano esperienza e informazioni necessarie a passare a una più soddisfacente occupazione.4 La gravità dei fenome­ni di sovraistruzione, quindi, dipende anche dalla distinzione, non sempre facile da operare sul piano empirico, tra situazioni transitorie e permanenti, tra gli effetti immediati e quelli differiti.

LAUREATI IN ITALIA: POCHI E POCO RETRIBUITI

Stime recenti indicano che in Italia sarebbe sovraistruito il 37% dei laureati (fino ai 64 anni di età).5 Una quota molto elevata ma pari a quella di Germania e Regno Unito. Tuttavia, questa stima è presu­mibilmente distorta per eccesso per effetto della particolare meto­dologia con la quale è ottenuta. Adottando un diverso approccio, la stima per l’Italia scende al 19%. Germania, Francia e Regno Unito in questo caso stanno, rispettivamente, al 18%, 21% e 24%.

Nel decennio 2005-15 la quota di giovani di età compresa tra i 25 e i 34 anni in possesso di un titolo di studio di livello terziario ha continuato a crescere nelle economie avanzate facendo registrare un incremento di 10 punti percentuali.6 In Italia l’incremento è stato quasi di pari ampiezza (+9%). La possibilità di accedere a posti di lavoro qualificati per le nuove coorti di laureati dipende sia dai posti qualificati lasciati liberi dai lavoratori più anziani sia dalla creazio­ne di nuovi posti. In fasi di accentuato cambiamento tecnologico è soprattutto questa seconda componente che dovrebbe assorbire i giovani in uscita dal sistema formativo.

Il confronto con il resto delle economie avanzate smentisce l’ipo­tesi che in Italia si possa parlare di un eccesso di offerta qualificata e, anzi, restituisce un’immagine di segno opposto. Nel 2015 solo il 18% della popolazione italiana tra i 25 e i 64 anni era in possesso di un’istruzione di livello terziario, contro il 35% della media dei paesi OCSE. Solo in Messico e in Turchia tale quota era inferiore, mentre in Germania, un paese in cui l’istruzione accademica ha diffusione relativamente limitata, era comunque al 28% e nel Regno Unito al 43%. La situazione non mi­gliora se si considera la fascia di età più giovane. Tra i 25-34enni il 25% degli italiani è laureato, quindi meno dei giovani tedeschi (30%) e molto meno dei giovani francesi (45%) e inglesi (49%) (la media OCSE è 42%).

Le informazioni relative ai redditi da lavoro offrono ulteriori elementi di analisi. I laurea­ti italiani nel 2015 guadagnavano in media un reddito inferiore del 7% (del 13% per le don­ne) rispetto a quello medio OCSE. Sebbene largamente al di sopra di quello registrato, ad esempio, in Turchia o in Grecia, esso risulta assai inferiore al reddito dei laureati nella gran parte degli altri paesi (ma in Francia e in Spagna i laureati percepiscono in media redditi inferiori a quelli italiani).

In una situazione perfino peggiore si trovano i laureati italiani negli ambiti scientifici e tecnologici, vale a dire la porzione di personale qualificato le cui competenze dovrebbero essere tra le più richieste in un’economia che procede sulla via del cambiamento tecnologico. I laureati in scienze, matematica e informatica guadagnano in Italia il 10% meno dei loro colleghi dei paesi OCSE. La distanza si allarga fino al 17% per gli ingegneri industriali e edili.

In Italia il reddito medio dei giovani laureati è solo il 14% più alto di quello medio dei diplomati. Negli altri paesi il “premio” ottenuto da un giovane in possesso della laurea è ben più ampio: 59% negli Stati Uniti, 49% nel Regno Unito e 36% in Francia, per fare degli esempi. Solo nei paesi scandinavi, che hanno strutture salariali tradi­zionalmente compresse, il differenziale è più stretto.

Per finire, in Italia la laurea rende ai giovani assai meno che ai lau­reati delle generazioni più anziane. Se, come visto, i giovani laureati guadagnano solo il 14% in più dei giovani diplomati, il reddito dei laureati più anziani è 64 punti percentuali più alto dei loro coetanei diplomati. Sebbene questo fatto non sia di per sé sorprendente, anco­ra una volta va notato che l’ampiezza del divario tra giovani e anziani (50 punti percentuali) è maggiore di quella prevalente negli altri paesi (nel Regno Unito è di soli 10 punti, negli Stati Uniti di 19).

L’insieme di queste evidenze indica non solo che la percentuale di lau­reati in Italia è bassa e fortemente in ritardo rispetto a tutti i paesi avan­zati, ma che a ciò si accompagna una debole capacità dell’economia di retribuire il lavoro più istruito, anche delle componenti più diretta­mente coinvolte nella gestione dei processi di innovazione tecnologica.

I livelli retributivi dei laureati, e soprattutto quelli dei giovani, sono inferiori a quanto ci si aspetterebbe dato il loro numero relativamen­te esiguo e appaiono schiacciate verso il basso a confronto con gli altri paesi.

La sovraistruzione, quindi, non può essere attribuita a un eccesso di laureati né a livelli di reddito esageratamente alti. Il problema, piut­tosto, è che il sistema produttivo continua a esprimere una domanda complessivamente modesta di lavoro istruito. Esso non è stato in grado, fino a oggi, di trarre giovamento dalle condizioni favorevoli rappresentate da una crescita ancora sostenuta del numero di laureati e dal costo relativamente basso del lavoro qualificato.

Ciò suggerisce che il processo di cambiamento del sistema produttivo è stato fin qui troppo debole, frenato da un alto grado di persistenza dei suoi caratteri dominanti, probabilmente per effetto di rigidità e ostacoli che rallentano la crescita di attività nei settori a maggiore intensità di conoscenza. Le difficoltà di accesso al credito, la preva­lenza di imprese di piccole dimensioni e a gestione familiare, il bas­so livello di istruzione prevalente tra gli imprenditori, il permanere di posizioni di carattere monopolistico all’interno di diversi settori, sono alcuni dei fattori che possono irrigidire il sistema produttivo e rallentare la creazione di posti di lavoro qualificati.

UN’ANALISI ESPLORATIVA: SOVRAISTRUZIONE E INSODDISFAZIONE TRA I NEOLAUREATI

Nell’indagine sull’inserimento professionale dei laureati svolta dall’I­stat nel 2015 è stato chiesto ai neolaureati occupati: «Per accedere alla sua attuale attività lavorativa era espressamente richiesta la lau­rea?». Gli intervistati potevano rispondere: «Sì, era richiesta; no, non era richiesta ma è stata utile; no, non era richiesta e non è stata utile». Una prima analisi dei dati ci permette di affermare che il fenomeno della sovraistruzione riguarda circa un terzo dei neolaureati, con dif­ferenze di genere estremamente contenute, e con circa un 10% di individui definibili come “fortemente sovraistruiti”, nel senso che ritengono che la laurea non sia stata né richiesta né utile per accedere alla loro attuale posizione lavorativa.

Un altro tipo di informazione ricavabile dal questionario, general­mente ritenuta connessa alla sovraistruzione,7 riguarda il grado di soddisfazione dei neolaureati in merito ad alcuni aspetti della loro occupazione. A tale proposito la Figura 1 riporta la percentuale di individui che attribuiscono un voto da 0 (“per niente soddisfatto”) a 10 (“completamente soddisfatto”) a varie dimensione dell’attivi­tà lavorativa attualmente svolta. Per comodità espositiva, il grafico riporta separatamente le dimensioni che ottengono un punteggio mediamente superiore (Figura 1a) e le dimensioni che riportano in media un punteggio più insoddisfacente (Figura 1b).

Come si può notare, per quanto riguarda il livello di soddisfazione relativo al tipo di mansioni svolte, al grado di autonomia e responsa­bilità sul posto di lavoro e alle possibilità di arricchimento professio­nale, gli istogrammi di frequenza si configurano approssimativamen­te secondo una distribuzione gaussiana, con percentuali più basse sulle code della serie e la moda in corrispondenza di un punteggio pari a 8. Al contrario, per quanto riguarda il grado di soddisfazione relativo alle prospettive di stabilità e sicurezza del posto di lavoro, al grado di utilizzo delle conoscenze acquisite durante il percorso di studi, al trattamento economico e alle possibilità di carriera si nota come la maggioranza relativa degli individui si posizioni su punteggi insufficienti (da 0 a 5) e solo una quota di molto inferiore si dichiari altamente soddisfatta.

 

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In particolare, coerentemente con il dato aggregato, la Figura 1b mostra come quasi il 30% degli intervistati attribuisca un voto in­sufficiente all’utilizzo delle proprie conoscenze nello svolgimento del proprio lavoro.

Sembra utile evidenziare che tra le dimensioni che possiamo definire “dinamiche”, in quanto più direttamente collegate ai possibili svilup­pi futuri nel corso della vita attiva, solo le possibilità di arricchimen­to professionale nell’attuale posto di lavoro vengono valutate posi­tivamente dalla maggioranza degli intervistati. Al contrario, pochi valutano positivamente le proprie possibilità di carriera nell’attuale (instabile) posto di lavoro e molti, non utilizzando a pieno le cono­scenze acquisite, rischiano di perderle o di renderle obsolete.

Esaminando la relazione tra la sovraistruzione e la soddisfazione di­chiarata sul posto di lavoro (si veda la Figura 2) si nota che le dif­ferenze nel grado di soddisfazione tra coloro che dichiarano che il titolo di studio posseduto è stato necessario per accedere al proprio posto di lavoro e coloro che dichiarano che la laurea non è stata richiesta, ma si è rivelata comunque utile per l’accesso all’attuale po­sizione lavorativa, sono trascurabili per (quasi) tutti gli aspetti del posto di lavoro considerato e, di conseguenza, per quanto riguarda il livello di soddisfazione totale.

In particolare si noti che i neolaureati per i quali la laurea non è stata necessaria (anche se utile) per l’accesso al lavoro hanno un grado di sod­disfazione media sugli aspetti di stabilità e sicurezza del posto di lavoro leggermente superiore rispetto a quella di chi occupa un posto di lavoro per il quale la laurea era espressamente richiesta. Questo risultato non è nuovo nella letteratura economica e mette in luce la possibilità che al­cuni individui attuino uno “scambio” tra un buon “match” sul mercato del lavoro e la stabilità/sicurezza del posto di lavoro.8 In pratica, alcune persone potrebbero preferire un posto di lavoro nel quale risultano so­vraistruiti ma che assicura una minore precarietà dell’occupazione.

Per quanto riguarda, invece, i neolaureati “fortemente sovraistuiti” (laurea non richiesta e inutile per l’accesso all’attuale lavoro), si nota una decisa insoddisfazione riguardo a tutti gli aspetti dell’attività la­vorativa. In particolare, il punteggio di soddisfazione media è quasi sempre sotto la sufficienza.

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SOVRAISTRUZIONE E RICERCA DI UN NUOVO POSTO DI LAVORO:A QUALI CONDIZIONI?

Nella letteratura economica non mancano autori che tendono a con­siderare la sovraistruzione, da un lato, un’inefficienza nell’allocazione delle risorse ma, dall’altro, una possibile fonte di benefici sociali. Ad esempio, Felix Büchel, Andries de Grip e Antje Mertens affermano che: «If without this surplus education workers find it more diffi­cult to find any employment and are more likely to be unemployed, overeducation may lead to savings in unemployment benefits and active labour market policies aimed at the insertion of workers in the labour market».9 Gran parte della letteratura, comunque, concorda nel ritenere che la sovraistruzione comporti uno spreco di risorse, sia a livello micro che macroeconomico, e a una perdita di efficienza del sistema economico.

Non a caso, il 49% degli individui “fortemente sovraistruiti” è in cerca di un nuovo lavoro (si veda la Figura 3) contro il 30% di colo­ ro che non sono sovraistruiti, e tra questi la maggioranza relativa (il 47%) lo fa per trovare un lavoro più qualificante e con maggiori pro­spettive di carriera. L’intensità della ricerca, tra coloro che cercano un nuovo lavoro, non sembra molto diversa tra sovraistruiti e non, con quasi il 70% di individui in entrambe le categorie che dichiara di aver fatto almeno un’azione di ricerca negli ultimi 30 giorni.

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Riguardo ad alcune condizioni di lavoro richieste, gli individui “for­temente sovraistruiti” sembrano meno selettivi rispetto ai non sovrai­struiti. In particolare, una quota maggiore di essi si dice indifferente tra un lavoro a tempo pieno o part time, e tra un lavoro autonomo o dipendente. La disponibilità alla mobilità territoriale è invece leg­germente minore per gli individui “fortemente sovraistruiti” rispetto agli altri (si veda ancora la Figura 3). In effetti, solo il 38% di essi (contro il 46% dei non sovraistruiti) sarebbe disposto a cambiare cit­tà (anche al di fuori della Regione di residenza attuale) per accettare un’occasione di lavoro.

In ogni caso le richieste salariali degli individui sovraistruiti in cerca di un nuovo lavoro appaiono più contenute rispetto ai non sovrai­struiti che si trovano nella stessa condizione. Secondo i dati ana­lizzati, il salario (mensile netto) minimo che coloro che abbiamo definito “fortemente sovraistruiti” sarebbero disposti ad accettare è pari a poco più di 1200 euro, inferiore a quello richiesto dagli altri due gruppi (quasi 1400 euro per coloro che ritengono la laurea non necessaria ma utile per l’attuale occupazione, e oltre 1500 per coloro che al momento occupano un posto di lavoro per il quale la laurea è requisito essenziale).

In generale, i dati mettono in evidenza l’esistenza di un nucleo di neolaureati che sperimenta, nella prima fase della propria carriera la­vorativa, una condizione di pesante sovraistruzione e di grave insod­disfazione riguardo alle proprie condizioni lavorative. Gran parte di questi individui sembrano, però, non rassegnati all’attuale situazione e cercano attivamente un nuovo lavoro ponendo condizioni di riserva non particolarmente elevate, che appaiono comunque non riuscire a intercettare la domanda di lavoro. La relativamente ridotta disponibi­lità alla mobilità territoriale potrebbe, però, rappresentare un ostacolo al raggiungimento di una nuova posizione lavorativa più soddisfacen­te e più in linea con la formazione universitaria ricevuta.10

Lo stato delle conoscenze a oggi disponibili ci consente di trarre solo conclusioni provvisorie sul tema della sovraistruzione. Tuttavia, è evidente che il percorso che, attraverso la laurea, porta a un inse­rimento nel lavoro si presenta oggi particolar­mente accidentato. Il rischio di sovraistruzione, cioè di ottenere un posto di lavoro per il quale non è necessaria la laurea, si aggiunge ai rischi di abbandono degli studi prima del consegui­mento del titolo, al prolungamento eccessivo del fuori corso, alla disoccupazione, alla preca­rietà, alla difficile mobilità nel mercato del la­voro. Tutto ciò riduce gli incentivi e aumenta i costi dell’istruzione e può giungere a erodere la fiducia degli italiani nell’istruzione come via per la realizzazione personale. Per fronteggiare questa situazione appare necessario migliorare l’offerta formativa universitaria, aumentare gli investimenti pubblici e privati nell’istruzione e continuare ad am­modernare la regolazione del mercato del lavoro. Ma tutto ciò non può bastare se l’economia italiana non entra in un nuovo ciclo di in­novazione e crescita basato sull’utilizzo delle conoscenze e dei saperi.


[1] C. Goldin, L. F. Katz, The Race between Education and Technology, Belknap Press, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 2010.

[2] OCSE, The Future of Productivity, Parigi 2015, disponibile su www.oecd.org/eco/ OECD-2015-The-future-of-productivity-book.pdf; R. J. Gordon, The Rise and Fall of American Growth: The U.S. Standard of Living since the Civil War, Princeton Uni­versity Press, Princeton 2016.

[3] E. Leuven, H. Oosterbeek, Overeducation and Mismatch in the Labor Market, in E. A. Hanushek, S. Machin, L. Woessmann (a cura di), Handbook of the Econo­mics of Education, vol. 4, 2011.

[4] G. Croce, L’overeducation in Europa e in Italia. Dobbiamo prenderla sul serio?, in “Meridiana”, 71-72/2011, pp. 75-100.

[5] European Commission, Employment and Social Developments in Europe 2015, Publi­cations Office of the European Union, Lussemburgo 2016.

[6] OCSE, Education at a Glance 2015, Parigi 2015; OCSE, Education at a Glance 2016, Parigi 2016.

[7] D. Verhaest, E. Omey, Objective Over-education and Worker Well-being: A Shadow Price Approach, in “Journal of Economic Psychology”, 3/2009, pp. 469-81.

[8] G. Croce, E. Ghignoni, Demand and Supply of Skilled Labour and Overeducation in Europe: A Country-level Analysis, in “Comparative Economic Studies”, 2/2012, pp. 413-39; E. Ghignoni, A. Verashchagina, Educational Qualifications Mismatch in Europe. Is it Demand or Supply Driven?, in “Journal of Comparative Economics”, 3/2014, pp. 670-92.

[9] F. Büchel, A. de Grip, A. Mertens, Overeducation in Europe. Current Issues in Theory and Policy, Edward Elgar, Northampton (Mass.) 2003.

[10] G. Croce, E. Ghignoni, Educational Mismatch and Spatial Flexibility in Italian Local Labour Markets, in “Education Economics”, 1/2015, pp. 25-46.