Peppino Caldarola

Peppino Caldarola

Giornalista.

Vittorio Vidali, un rivoluzionario tenace e spietato

Vittorio Vidali è stato un rivoluzionario di professione negli anni dell’Internazionale comunista. Patrick Karlsen, un giovane e bravissimo storico genovese, gli ha dedicato una documentatissima biografia che ha come sottotitolo “Vita di uno stalinista (1916-1956)”. Come si vede già dal titolo definire Vidali è difficile perché bisogna districarsi nei meandri di una vita d’avventure che lo portò da Trieste negli Stati Uniti, di lì in Messico e in Francia e soprattutto nella guerra civile spagnola.

Un racconto della fuga dal Comunismo

Leggendo le rievocazioni di quel momento ho capito che quasi tutti i giornalisti e gli intellettuali italiani hanno visto il muro di Berlino ed erano lì a picconarlo quando ci fu l’annuncio che si poteva passare dall’altra parte. Abbiamo letto ricostruzioni in cui ci è stato raccontato ciò che l’intellettuale limpidamente anticomunista e quello pentitissimo stavano facendo mentre i Vopos assistevano senza più sparare alla fuga, direi al trasferimento, di berlinesi dell’Est verso l’Ovest. Nel giornalismo moderno l’“io c’ero” ormai è stato sostituito da “che facevo quel giorno in cui accadeva il prodigio?”. Non si finisce mai di imparare.

Un racconto controcorrente del socialismo di De Martino

Marco Zanier ha pubblicato per Biblion edizioni una raccolta di scritti e discorsi di Francesco De Martino degli anni compresi tra il 1944 e il 2000. Una scelta, quella dell’autore e dell’editore, coraggiosa e in controtendenza. In cosa consiste l’essere controcorrente di questo volume, del suo curatore e dell’editore?
In primo luogo nel restituire al dibattito politico-culturale un protagonista di primissimo piano, un intellettuale di straordinario valore, che si occupò di diritto romano creando una vera “scuola”, un socialista senza se e senza ma. Viviamo un tempo – di cui non dobbiamo smettere di lamentarci – in cui la cultura e i suoi protagonisti sembrano appartenere a un passato che le nuove correnti politiche vorrebbero cancellare.

Tre buone ragioni per leggere “M. il figlio del secolo”

Ci sono molte buone ragioni per leggere “M. Il figlio del secolo” di Antonio Scurati. Io ne sottolineo tre. La prima è che siamo di fronte a un libro di letteratura storica scritto in modo così eccellente da allargare la platea dei lettori. La seconda è che la lettura che Scurati dà dell’ascesa del fascismo – “resistibile” avremmo detto da giovani citando Brecht – aiuta la comprensione della crisi italiana fra le due guerre. La terza è che questo racconto biografico sembra in gran parte anche un bagno sull’attualità con un effetto sicuramente non voluto dall’autore.

Un esempio di storia controcorrente

Altro che il Libretto Rosso di Mao. Per intere generazioni di giovani comunisti, anche di quelli arrivati al PCI dopo il Sessantotto, lo studio dei discorsi e dei testi di Palmiro Togliatti costituì non solo una grande esperienza culturale ma una vera disciplina del “fare politica”. Negli anni successivi, e soprattutto dopo la caduta del Muro di Berlino, l’intera storia del PCI venne travolta da giudizi sommari e la figura di Togliatti assimilata a quella di Stalin di cui apparve un fedele secutore. Se viviamo ora in una stagione politica in cui la sinistra fatica tanto a riprendersi e a darsi una fisionomia, molto si deve alla demonizzazione della storia precedente.

Pecore diventate lupi

Giuseppe (Peppino) Caldarola ha molti anni tutti trascorsi a sinistra. Ha fatto prevalentemente il giornalista e sarebbe rimasto a “l’Unità” fino a novant’anni se non gliela avessero chiusa. Uomo fazioso, non appartiene però ad alcun gruppo e anche il suo dalemismo è una simpatica trovata giornalistica. Oggi guarda alla sinistra tutta intera, tranne quella violenta, nella convinzione che la sinistra non morirà mai. Della sinistra non sopporta molti, però quando guarda la destra i suoi gli sembrano tutti belli.

Il punto di partenza

Pubblichiamo nelle pagine successive lo scambio di lettere fra Giuliano Amato e Massimo D’Alema che pose le basi culturali per la nascita della rivista che state leggendo.
Era il 2001, l’anno della sconfitta elettorale dell’Ulivo nelle elezioni vinte per la seconda volta da Silvio Berlusconi. Alle spalle della neonata rivista c’era stata tre anni prima l’irruzione della Fondazione Italianieuropei, cui nel febbraio del 1998 Amato e D’Alema avevano dato vita riunendo intorno ad essa molti intellettuali della sinistra e no. Il 1998 poi portò, verso l’autunno, alla crisi del governo Prodi e alla nascita del governo D’Alema, il primo esecutivo guidato da un ex comunista, con Giuliano Amato ministro delle Riforme istituzionali. Fu, quel 1998, un anno importante, ma anche un annus horribilis, perché la crisi del governo Prodi trascinò con sé, e trascina tuttora, dietrologie attorno a fantomatici complotti che avrebbero intralciato la strada del professore bolognese fino all’exitus del suo governo.

Una sola domanda

Il governo Lega-Movimento 5 Stelle è all’opera da alcuni mesi. In che cosa consista questa opera lo si sta capendo giorno dopo giorno. Il dato impressionante è stato, fin dalle prime settimane, l’impronta di destra che ha voluto dargli Matteo Salvini, alla ricerca della leadership incontrastata della nuova destra e socio fondatore dell’Internazionale nera.

Diario del Sessantotto di periferia

Il diario del Sessantotto di una città di periferia del Sud racconta con ironia i Sessantotto minori, che sono stati tanti e hanno cambiato le vite di molti dei protagonisti e delle loro città: centinaia e poi migliaia di giovani che venivano da tutto il Mezzogiorno. Abbondavano calabresi, molisani, lucani oltre ai figli dei nuovi borghesi dei centri agricoli della Puglia che speravano nel salto sociale della prole. Ecco come alcuni ragazzi di periferia entrarono nel mondo.

Dal sogno alla realtà: la crisi morale nel mondo di Drieu La Rochelle

Quando le società vanno in crisi, alcuni scrittori ti aiutano a capire quel che può accadere o che è già accaduto. Anche se le crisi che hanno vissuto e raccontato loro sono lontane, di un altro tempo e loro stessi sono di un altro tempo e talvolta così lontani da te politicamente. Ho letto solo recentemente il romanzo “Piccoli borghesi” di Drieu La Rochelle ripubblicato, dopo ottanta anni dalla prima edizione francese, da Theoria, rinata casa editrice.
Pierre Drieu La Rochelle ha una biografia inquietante per un lettore di sinistra. Fa parte di quella generazione fra le due guerre che volle mettere assieme fascismo e socialismo ma che sposò infine la causa della destra fino agli anni della collaborazione col governo di Vichy e il sostegno finale ai nazisti che stavano avviandosi verso la sconfitta definitiva. Morì suicida. Le cronache raccontano la vita di uno scrittore un po’ dandy, pieno di inquietudini, sconvolto, come tanti giovani della sua generazione, dalla Prima guerra mondiale, affascinato dai modelli palingenetici del socialismo e del fascismo.