Liberismo, Stato e Riforma Fiscale al tempo della crisi

Written by Lucrezia Fanti Friday, 16 November 2018 11:44 Print


La crisi finanziaria del 2007, scoppiata negli Stati Uniti e diffusasi nel 2010 in Europa come crisi dei “debiti sovrani”, ha acceso vecchi e nuovi dibattiti intorno alle distorsioni proprie del modo di produ­zione e di accumulazione capitalistico nelle economie avanzate, al ruolo della finanza come motore dell’economia globale e alle con­seguenti e crescenti diseguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza tra classi sociali.

I persistenti effetti della crisi hanno di fatto fornito nuova linfa alla riflessione in campo economico e politico sulle possibili riforme da mettere in campo e sul ruolo che gli Stati possono assumere nell’attuale contesto di oscillazione tra fasi di avanzamento e minacce di arretramento rispetto al processo di globalizzazione, anche alla luce delle sfide imposte da vecchie e nuove questioni quali l’impatto non neutrale del cambiamento tecnologico sui fattori produttivi e sul mercato del lavoro – sia a livello nazionale che in termini di divisione internazionale del lavoro – e il ruolo della finanza come terreno ferti­le per la creazione di rendite slegate dall’andamento della produzione e dell’economia reale nei paesi a capitalismo avanzato.1

Nella fase attuale occorre ancora riflettere sul ruolo che lo Stato può avere in ambito economico, e sullo scontro tra Stato e mercato, os­sia quel doppio movimento di cui ci parlava Karl Polanyi2 tra fasi di predominio del mercato – in senso genuinamente liberista – e fasi di reazione dello Stato caratterizzate da un intervento attivo in econo­mia, al fine di tracciare i confini delle possibili riforme che possano rimettere l’economia italiana su un sentiero di crescita sostenibile e che siano in grado di ridurre le persistenti diseguaglianze senza, tuttavia, perdere la cognizione dell’attuale e complesso contesto eu­ropeo e internazionale.

Su questo terreno, a dieci anni dalla crisi, anche in relazione al rapporto tra Stato, istituzioni sovranazionali e mercato, in Europa – e anche in Italia – ancora oggi vediamo contendersi la scena due liberismi che fanno da supporto teorico alle politiche economiche messe in campo o proposte per affrontare il futuro delle economie nazionali: da un lato, una nuova ondata neoliberista che auspica nei fatti il ritorno a un “naturalismo liberista” attraverso la proposta di ricette economiche ispirate alla cosiddetta “trickle down economics” (un esempio su tutti la flat tax), dall’altro, la resistenza ordoliberista che guarda all’approccio “rigorista” alla finanza pubblica, e quindi alla tenuta dei conti pubblici, come unica prospettiva di convergenza tra “centro” e “periferia” e di mantenimento della fragile struttura dell’Unione monetaria europea.

A tal proposito è bene ricordare come la risposta fornita in termini di politica economica nell’eurozona per far fronte agli effetti della Grande recessione sia stata di fatto incentrata esclusivamente sulle misure di cosiddetta “austerità espansiva”, imposte ai paesi della pe­riferia come strategia di ritorno su un sentiero “virtuoso” di crescita principalmente attraverso tagli lineari alla spesa pubblica e l’impo­sizione di riforme cosiddette “strutturali” di flessibilizzazione e, di fatto, di precarizzazione del mercato del lavoro. Questo tipo di po­litiche sono andate a indebolire e compromettere permanentemente la struttura produttiva dei paesi in difficoltà acuendo gli effetti che la crisi ha provocato sull’architettura fortemente asimmetrica dell’U­nione monetaria, caratterizzata da una tendenza endogena alla pola­rizzazione centro-periferia tra paesi “virtuosi”, esportatori netti e in surplus di partita corrente, e paesi della “periferia” caratterizzati da persistenti deficit pubblici ed esteri. Le politiche di austerità imposte ai paesi debitori, sulla scorta della narrazione mainstream che rintrac­cia le cause degli squilibri tra paesi membri negli eccessi di finanza pubblica e nei gap di competitività – dovuti a una eccessiva rigidità del mercato – si sono innestate all’interno del quadro economico-politico ordoliberista che investe lo Stato – ma soprattutto le istituzioni comunitarie sovranazionali – del ruolo di regolatore del buon funzionamento del libero mercato.

In questo contesto, in molti hanno sottolineato la necessità di ripen­sare alla centralità dell’imposizione fiscale per coadiuvare la ripresa economica, seppure tenendo in considerazione la complessità e le contraddizioni legate alla sua natura per certi versi ancipite: da un lato, strumento di rilancio del ciclo di accumulazione3 e, dall’altro, motore della redistribuzione tra le classi a fronte delle persistenti e crescenti diseguaglianze economiche esasperate dalla crisi.

A questo riguardo, se risulta necessario inquadrare una possibile ri­forma che sia in grado di ridare una struttura organica alle prospettive di ripresa dell’economia italiana, occorre riflettere seriamente sulla direzione che può assumere il processo redistributivo mediante l’im­posizione fiscale – al fine di orientarlo con decisione a favore delle fasce di reddito più deboli – e sulle conseguenze esiziali che il processo di frammentazione e indebolimento dell’impianto impositivo ha provocato in termini di mancato contrasto alle diseguaglianze economiche in Ita­lia negli ultimi anni.

Quello a cui abbiamo assistito, in partico­lar modo nell’ultima legislatura, è stato il dispiegarsi di una tendenza piuttosto coe-rente riguardo alle politiche impositive e che ha comportato

un graduale spostamento del carico impositivo dai patrimoni ai redditi, e dai redditi di impresa ai redditi da lavoro dipenden­te – attraverso, ad esempio, l’abolizione dell’IMU (legge di sta­bilità 2014) o la riduzione dell’aliquota IRES dal 27,5 al 24% (legge di stabilità 2016) – e un frequente ricorso a regimi di tas­sazione separata – come ad esempio quella sui premi di produt­tività (legge di stabilità 2016) o sulle rendite finanziarie – che frammentano la base imponibile rendendo ancora più complicata la realizzazione di un sistema organico di tassazione progressiva.

Sul lato della domanda è stata imposta la “logica dei bonus” come ­ unica misura redistributiva4 e di stimolo dei consumi – di fat­to trascurando le criticità dovute alla maggiore propensione mar­ginale al consumo stimata per le classi di reddito più basse5 – mentre sul lato dell’offerta le misure di stimolo della “competiti­vità” hanno visto rivolgere un’eccessiva, ed esclusiva, attenzione verso la riduzione del costo del lavoro – ad esempio attraverso la diminuzione della base imponibile IRAP (legge di stabilità 2015). Questo dopo anni di retorica sul “sentiero stretto” dettato dai vincoli comunitari imposti da Maastricht e dal cosiddetto “Fiscal Compact” – cui ha fatto seguito l’inserimento del pareggio di bilancio in Co­stituzione (articolo 81) – di cui, ricordiamolo, le stime sull’output gap e, conseguentemente, sull’indebitamento strutturale da correg­gere6 – che ritroviamo nei vari Documenti di economia e finanza (DEF) e nelle Note di aggiornamento e il cui sottostante teorico è rappresentato da una teoria macroeconomica imperniata su assun­zioni assai deboli e problematiche – rappresentano uno degli snodi emblematici.7

La fase politica ed economica che sta attraversando l’Italia è certa­mente complessa, e l’imminente legge di bilancio rappresenta nei fatti, per il nuovo governo, un banco di prova che traccerà la profondità del solco tra vecchie e nuove contraddizioni anche e soprattutto in materia di fisco. A tal proposito, dalla Nota di aggiornamento al DEF 2019 (NADEF), presentata alle Camere in attesa della leg­ge di bilancio 2019, possiamo evincere l’indirizzo che il governo ha intenzione di dare in termini di finanza pubblica negli anni a veni­re seguendo, sul fronte fiscale, i due cavalli di battaglia presentati in campagna elettorale: pace fiscale e una prima forma di flat tax per professionisti e piccole imprese. Certo è che, se occorre ottenere maggiore flessibilità, la priorità va data allo stimolo degli investimen­ti e dei consumi, vale a dire allo stimolo della domanda aggregata, insieme alla creazione di un’occupazione di qualità e alla tutela dei soggetti più a rischio sul mercato del lavoro, e non certo per intro­durre misure regressive come la flat tax.

Dobbiamo ricordare come dalla riforma tributaria del 1973, che in­carnava il dettato costituzionale dell’articolo 53 seguendo i principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione fiscale (non­ché il principio di solidarietà economica sancito dall’articolo 2), il sistema tributario è andato frammentandosi e piegandosi a manovre disordinate dettate da un supporto teorico e ideologico fortemente o esclusivamente orientato a politiche sul lato dell’offerta. Per questi motivi, come risposta a una tendenza politica così chiara e inequi­vocabile (nonché dannosa), occorre necessariamente rilanciare una serie di proposte8 altrettanto chiare che mirino a ripensare l’impianto impositivo del paese in modo organico e fortemente redistributivo. Innanzitutto, occorre osteggiare in ogni modo le proposte riguardan­ti un’imposta dei redditi proporzionale come la flat tax (estremamente regressive), proponendo invece una rimodulazione della struttura del­le aliquote IRPEF per garantire e potenziare la progressività dell’imposta e il rispetto del princi­pio della capacità contributiva, a vantaggio delle fasce di reddito più deboli, che sono tra l’altro quelle con una maggior propensione marginale al consumo, stimolando, dunque, quella com­ponente fondamentale della domanda aggregata rappresentata dai consumi.

A questo andrebbe legata l’eliminazione delle forme di tassazione separata (come la tassazione di rendite finanzia­rie al 26% o sui premi di produttività al 10%) per consentire una ricomposizione della base imponibile seguendo il principio del red­dito comprensivo di tutte le entrate (comprehensive income principle) riconducibile alla progressività dell’imposta.

Inoltre, è necessario pensare seriamente a uno schema di imposizione patrimoniale fortemente progressivo che riesca a tenere conto della dimensione e della tipologia dei patrimoni, anche immobiliari, e che contrasti con chiarezza ed efficacia le crescenti diseguaglianze che caratterizzano la nostra economia, come sottolineato recentemente dall’OCSE nel rapporto dedicato alla tassazione patrimoniale,9 non da ultimo riformando il sistema catastale in modo da poter esercita­re l’azione impositiva sul patrimonio immobiliare senza distorsioni legate alla rendita.

Per concludere, occorre dare un chiaro segnale riguardo alla tassazio­ne dei colossi del web con stabile organizzazione, occulta o meno, in Italia e dunque sulla cosiddetta web tax. Andare in questa direzione sarebbe condizione necessaria, ed è la base di partenza, per poter ri­pensare oggi, nel contesto europeo e internazionale attuale, un fisco più equo. Questo pur tenendo certamente conto del problema, pre­cedentemente discusso, legato alle asimmetrie interne all’eurozona e alla tendenza endogena a generare tali asimmetrie che costringerebbe a pensare con urgenza a un’unione fiscale e a un coordinamento e un’armonizzazione delle politiche fiscali, senza la quale sarà difficile sostenere ancora a lungo l’attuale architettura dell’UME.

 


 

[1] Seppure occorre sottolineare come, seguendo la prospettiva del sistema-mondo for­nita da Giovanni Arrighi – oggi strumento insostituibile di analisi del probabile spostamento del fulcro egemonico dagli Stati Uniti alla Cina e del rischio di caos sistemico connesso alla delicata fase di transizione negli equilibri geopolitici globali che attualmente stiamo attraversando –, le fasi di espansione finanziaria hanno sem­pre rappresentato un momento cruciale per il susseguirsi dei lunghi cicli egemonici nella storia del capitalismo come modo di accumulazione e non rappresentano una mera distorsione del capitalismo contemporaneo. Si vedano a tal proposito G. Ar­righi, Il lungo XX secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo, Il Saggiatore, Milano 2014; G. Arrighi, Adam Smith a Pechino. Genealogie del ventunesimo secolo, Feltrinelli, Milano 2008.

[2] K. Polanyi, La grande trasformazione, Einaudi, Torino 2000.

[3] Si veda a tal proposito la riflessione di Maurizio Lazzarato, a partire dall’analisi pro­posta da Gilles Deleuze e Félix Guattari in Mille Piani (Castelvecchi, Roma 2010), sul ruolo dell’imposta come “apparato di cattura” in grado di mantenere in vita i rapporti di potere, in termini distributivi, nelle fasi di crisi del ciclo di accumu­lazione capitalistico con riferimento alle politiche di austerità adottate durante la crisi dei debiti sovrani nell’eurozona: M. Lazzarato, Il governo dell’uomo indebitato, DeriveApprodi, Roma 2013.

[4] Sugli effetti redistributivi del bonus IRPEF si vedano Ufficio parlamentare di bi­lancio, Rapporto sulla politica di bilancio 2015, disponibile su www.upbilancio.it/ rapporto-sulla-politica-di-bilancio-2015-2/; F. Di Nicola, Bonus 80 euro: facciamo il punto, in “Menabò di Etica ed Economia”, disponibile su www.eticaeconomia.it/ bonus-80-euro-facciamo-il-punto/.

[5] Si veda Banca d’Italia, Indagine sui bilanci delle famiglie italiane 2017, disponibile su www.bancaditalia.it/pubblicazioni/indagine-famiglie/index.html.

[6] Per una discussione sull’output gap e per un confronto tra i diversi paradigmi teorici che hanno animato il dibattito in ambito macroeconomico sulle politiche economi­che adottate, a partire da tali approcci teorici, negli Stati Uniti e in Europa dopo la crisi del 2007 si veda F. Saraceno, La scienza inutile, LUISS University Press, Roma 2018.

[7] Per una critica all’utilizzo dei modelli macroeconomici mainstream per l’implemen­tazione e la valutazione delle politiche economiche si veda L. Fanti, M. Gallegati, Gli incalcolabili danni dell’economia mainstream, disponibile su sbilanciamoci.info/ gli-incalcolabili-danni-delleconomia-mainstream/.

[8] Per un’analisi dettagliata delle proposte, si veda il capitolo dedicato al fisco in Sbilan­ciamoci!, Bilancio di fine legislatura, disponibile su www.sbilanciamoci.org/2018/02/ stiamo-meglio-o-peggio-di-cinque-anni-fa-un-bilancio-di-fine-legislatura/.

[9] OCSE, The Role and Design of Net Wealth Taxes in the OECD, 2018, disponibile su www.oecd.org/ctp/the-role-and-design-of-net-wealth-taxes-in-the-oecd-9789264- 290303-en.htm. Per un commento al rapporto si veda G. Veresani, La ricchezza dei pochi non fa girare il mondo, in “Sbilanciamoci.info”, 2 maggio 2018, disponibile su www.sbilanciamoci.info/la-ricchezza-dei-non-girare-mondo.