Inoltre dobbiamo sottolineare che mai come in questa campagna elettorale i Democratici si sono presentati con un programma chiaro. La tesi secondo cui nella politica americana i due partiti principali in fondo dicono le stesse cose, che non ci sia una grande differenza, si è rivelata sbagliata. Il programma di Obama ha rappresentato una chiara inversione di rotta sui due fronti della politica internazionale e della politica interna. In politica estera, infatti, si vuole ridare prestigio agli Stati Uniti, uscendo dall’unilateralismo e avviando una politica di disimpegno graduale dalla guerra in Iraq e un ripensamento della strategia di lotta al terrorismo. A cominciare dall’impegno per la chiusura di Guantanamo e dal pieno rispetto dei diritti umani. In politica interna, invece, Obama propone un programma che, non a caso, è stato definito polemicamente “socialista”: tasse per i ricchi, riduzione della pressione fiscale sulle classi medie e sulla working class, redistribuzione del reddito.
In definitiva, si tratta di un programma di grande forza, che punta sulla pace, sul multilateralismo e sulla riduzione delle disuguaglianze sociali. Tutto questo, naturalmente, è accompagnato dal fortissimo rilancio del sogno americano e della funzione globale degli Stati Uniti, del soft power americano, che lo stesso Obama impersona: è l’immagine della società aperta. In Italia il figlio di un immigrato keniano starebbe a fare la fila alla prefettura per il rinnovo del permesso di soggiorno. In America, quello stesso figlio è diventato presidente degli Stati Uniti. La differenza è che mentre l’Europa continua a temere l’immigrazione, l’America ha saputo gestirla come una risorsa vitale per accrescere il dinamismo della sua società. [Leggi tutto]