Un ruolo per le fondazioni nell'innovazione e nello sviluppo locale

Written by Giovanni Ferrero Monday, 01 September 2003 02:00 Print

«Politici e manager senza visione del futuro hanno trasformato l’Italia in una colonia industriale. Per recuperare terreno occorre una politica economica orientata verso uno sviluppo ad alta intensità di lavoro e di conoscenza». «(...)Tutto rivela una discrepanza tra la realtà e il nostro modo di interpretarla. Senza una lingua per il futuro viviamo in una società mondiale del rischio».

«Politici e manager senza visione del futuro hanno trasformato l’Italia in una colonia industriale. Per recuperare terreno occorre una politica economica orientata verso uno sviluppo ad alta intensità di lavoro e di conoscenza».1 «(...)Tutto rivela una discrepanza tra la realtà e il nostro modo di interpretarla. Senza una lingua per il futuro viviamo in una società mondiale del rischio».2

Queste brevi citazioni ben rappresentano le preoccupazioni e le speranze presenti oggi in Piemonte, in una regione, cioè, che più di ogni altra nel nostro paese ha conosciuto la realtà della ascesa e del declino dell’industria, e in particolare della grande industria.

Lo sviluppo della ricerca, la capacità di formare ed attrarre in Piemonte persone con alte competenze è indispensabile per contrastare quanto avviene a seguito della fine dell’Olivetti, della crisi FIAT e delle scelte di Telecom Italia e RAI, i cui effetti si fanno sentire soprattutto nell’indotto dell’ICT, della comunicazione e, più in generale, nel settore dei servizi innovativi. Questi temi sono rilevanti e pesano nella concretezza delle scelte quotidiane. Difficilmente, però, troveranno soluzione se la comunità regionale, impegnandosi ad affrontarle, non saprà costruire una classe dirigente adeguata, capace di operare con coraggio sul territorio e di concorrere efficacemente all’elaborazione delle scelte nazionali. Non ci troviamo, infatti, di fronte a un astratto problema di accesso all’innovazione e alla conoscenza. Molte volte nonostante la conoscenza sia disponibile, oggi si direbbe su Internet, per utilizzarla in modo innovativo e vantaggioso sono indispensabili persone formate con processi lunghi e costosi di ricerca. Processi che non possono essere affidati solo alla scuola, ma che richiedono uno sforzo complessivo per rivisitare la tradizione e saggiare la validità dei valori che essa esprime, per riproporre una cultura socialmente accettabile, ricca di valori e operativamente efficace.

Non si possono importare modelli altrui sperando in un impossibile balzo in avanti, ma occorre invece lavorare duramente per la riorganizzazione delle risorse disponibili, in primo luogo quelle intellettuali, utilizzando in modo originale le istituzioni. In particolare quelle istituzioni non ancora irrigidite dalla loro storia o, invece, attualmente in crisi per essere diventate soggetti fuori del tempo. È triste dover constatare che in Italia nulla muore mai per davvero: costoso miracolo della democrazia nostrana, non certo fatta per favorire il cambiamento, ma quasi per assicurare vita eterna ad ogni interesse costituito.

Soggetti relativamente nuovi sono, a livello di molte aree locali, le fondazioni ex bancarie, che offrono risorse accumulate in passato dalle comunità di cui sono espressione. Una ricchezza che può essere oggi utilizzata quale supporto per preparare il futuro. Si tratta di soggetti nuovi ed interessanti, perché, al di là di illusorie mitizzazioni, per ora dotati di risorse finanziarie non completamente ipotecate dalla rigidità della struttura dei costi dei servizi, come invece sovente avviene per le risorse degli enti locali. In Piemonte le erogazioni complessive delle fondazioni bancarie superano i duecento milioni di euro annui.

Le considerazioni che seguono nascono anche dalla riflessione sulle iniziative di una fondazione consapevole, come quasi tutte peraltro, dell’importanza di investire per la redditività ma anche per lo sviluppo locale, e desiderosa di sostenere la propria comunità fornendo aiuto alle molte voci che la compongono e organizzando progetti che abbiano massa critica sufficiente per ottenere risultati di rilievo.

La necessità di contribuire attivamente allo sviluppo economico, attraverso politiche interne ai settori di attività possibili per le fondazioni ex bancarie, ha portato da tempo la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino (Fondazione CRT) a privilegiare le politiche culturali, e in particolare quelle di restauro e riutilizzo degli edifici storici. In primo luogo il circuito delle residenze sabaude e delle collezioni e dei musei ad esse connesse che colgono, attraverso la storia, elementi di identità delle comunità locali da poter utilizzare per costruire il loro futuro.

Un analogo e significativo impegno è da sempre proprio dell’altra grande fondazione torinese: la Compagnia di San Paolo. La Fondazione CRT ha scelto di agire in particolare in un settore di frontiera fortemente innovativo: quello dell’arte contemporanea. L’attività è svolta attraverso una fondazione che ha lo scopo di sostenere, con circa quattro milioni di euro ogni anno, l’incremento delle collezioni e le connesse attività espositive del Castello di Rivoli e della Galleria di arte moderna di Torino che, nel loro insieme, costituiscono la più significativa presenza museale italiana in questo settore.

Il forte radicamento nel contemporaneo, la valorizzazione dell’eccellenza, la proiezione verso orizzonti internazionali, con lo sguardo rivolto verso il futuro attraverso un sostegno della produzione artistica, la collaborazione con gli enti pubblici, le istituzioni culturali e non ultimo il mercato, sono divenuti sempre più gli elementi costitutivi delle politiche di erogazione della Fondazione. Si è perseguito l’obiettivo di evitare i due principali rischi, che non possono che incombere su istituzioni giovani e, almeno finora, danarose: quello di diventare un centro di potere autonomo e autoreferenziale (una sorta di assessorato senza un meccanismo di legittimazione che derivi direttamente dal consenso popolare e dal controllo democratico) e quello, non meno grave, di essere un soggetto a cui venga richiesto di ripianare gli scoperti o di soddisfare le voglie di potentati politici esterni. Molte delle richieste appartengono a queste tipologie, poiché è certamente più difficile riformare i processi di spesa che trovare, almeno per un breve periodo, un pagatore supplementare. Va detto però che il pericolo più grave in tal senso, almeno in Piemonte, non è rappresentato dalle richieste locali, con le quali la dialettica è sempre stata positiva, ma dalle arroganti istanze di Tremonti. Per fortuna tali pressioni, volte a favorire la maggioranza politica che sostiene Berlusconi, non sono per ora riuscite a raggiungere il loro scopo dichiarato.

Vale la pena, invece, soffermarsi su di un progetto avviato negli ultimi anni: il progetto ICT. Nato come banco di prova della possibilità di dare supporto al processo di riforma del sistema scolastico avviato dal precedente governo e per valutare la concreta fattibilità di interazioni locali, moltiplicative e non semplicemente additive di risorse, tale progetto ha portato la Fondazione CRT a meglio collaudare il modello di cooperazione sopra delineato. Il fatto che esso sia stato coronato da pieno successo e che al consenso e alla partecipazione locale si siano recentemente accompagnati riconoscimenti nazionali da parte di questo governo e inoltre l’onore di essere uno dei quindici progetti di e-government che, a livello di Comunità europea, abbiano avuto un pubblico riconoscimento nel recente meeting tenutosi a Cernobbio nel mese di luglio, inducono ad esaminarne alcuni aspetti che lo rendono un progetto che ha segnato una svolta nelle modalità di azione della Fondazione e che può rappresentare un modello d’intervento per il futuro. Esso costituisce di fatto un contributo metodologico la cui validità si estende al di là del caso concreto, e che può essere utilizzato a livello nazionale ed internazionale. È infatti alla base di un progetto di collaborazione con l’America Latina, recentemente finanziato dalla Comunità europea (ALIS).

La regione Piemonte, sulla base di un’intesa tra i diversi livelli istituzionali che promuovono politiche di sviluppo dell’informatica e di sostegno delle infrastrutture di telecomunicazione per il comparto pubblico, si è da tempo dotata di un consorzio, il CSI Piemonte, che, con un bilancio di oltre cento milioni di euro, impegna direttamente o indirettamente circa 1.300-1.400 specialisti. È il centro tecnico della Rete regionale delle pubbliche amministrazioni locali (RUPAR), garantisce una connettività diretta con le tratte Internet internazionali, gestisce un sistema di identificazione, firma e sicurezza digitale e la popola di servizi.

L’estensione di questo sistema alle oltre duemila sedi in cui si articola il sistema scolastico piemontese (dalla scuola dell’obbligo alle superiori) è stato il primo elemento che la Fondazione CRT, attraverso il progetto ICT, ha sostenuto. Non quindi una scelta innovativa ma scoordinata, piuttosto la decisione di fare sistema, di favorire la collaborazione interna alla pubblica amministrazione, tra scuole ed enti locali, e la collaborazione della pubblica amministrazione con gli studenti e con le loro famiglie, con il territorio e con il sistema economico locale.

È risultato così ovvio quale dovesse essere il secondo elemento del progetto: quello di sostenere, attraverso il finanziamento di progetti che risultassero vincitori di bandi pubblici, il rinnovarsi dell’amministrazione della scuola e il sostegno e la valorizzazione delle migliori proposte didattiche. I bandi richiedevano che le scuole non si limitassero ad avanzare idee e proposte, ma che dovessero formulare progetti, per lo più pluriennali, che individuassero le modalità organizzative previste per assicurare il conseguimento di risultati misurabili e, tra l’altro, le fonti di finanziamento capaci di coprire almeno la metà dei costi. L’obiettivo era quello di sviluppare la capacità progettuale della scuola.

Il terzo elemento consisteva nell’individuazione di ventitre istituti superiori a cui affidare, in collaborazione con un centro di ricerca, il CSP, l’attività di supporto e animazione verso gli altri istituti scolastici. Questo elemento di stimolo e organizzazione del sistema ha reso possibile lo sviluppo di servizi innovativi basati sugli strumenti di TLC (larga banda, WI-FI, satelliti digitali) e sulle possibilità di efficace multimedialità delle applicazioni resa possibile dalla disponibilità di strumenti digitali a basso costo.3 In sintesi questa esperienza suggerisce alcuni spunti di riflessione: un progetto è efficace se la dimensione è sufficiente a superare la massa critica, se, cioè, è capace di innescare una reazione a catena. In questo caso l’investimento aggiuntivo della Fondazione è stato di ventitre milioni di euro e ha attivato ulteriori risorse per un valore almeno uguale; la percentuale di risorse aggiuntive messe in campo nei tre anni di durata del progetto non supera il cinque per mille del costo del sistema scolastico piemontese nello stesso periodo. L’effetto non deriva quindi dall’aver speso di più, ma dal fatto che la presenza di risorse libere, cioè di risorse realmente investibili, ha reso molto più efficace il sistema stesso; il progetto non è nato per accedere a risorse disponibili, ma per affrontare esigenze reali e avvertite.

Prima della decisione tutti i soggetti coinvolti avevano già sottoscritto un’intesa non solo sulle finalità, ma anche sui modi per conseguirle; a problemi vecchi e pesanti si addicono soluzioni moderne, innovative e leggere; la conclusione dei progetti deve creare un mercato più ricco di opportunità e di risorse, deve riuscire a convincere nuovi soggetti a intervenire affinché l’allargamento del «mercato» produca risorse e opportunità, e non aumenti invece la dipendenza del sistema da risorse ad esso esterne.

Il progetto ICT fa parte di uno sforzo in cui si collocano iniziative di grande peso, tra cui Torino Wireless, gli incubatori universitari, i parchi tecnologici, iniziative di marketing territoriale quali ITP, che sono state messe in campo per affrontare il tema dell’innovazione e quello della qualità della forza lavoro.

È innegabile infatti che l’Italia occupi da tempo (troppo) posizioni di retroguardia nella spesa per ricerca e sviluppo (R&S): gli investimenti sono il 30% di quelli della Germania, il 47% della Francia e il 56% della Gran Bretagna. Secondo gli studi dell’OCSE l’Italia è al ventunesimo posto a livello mondiale (undicesimo tra i paesi dell’Unione europea) nella classifica della spesa per R&S in rapporto al PIL, con un modesto 1,05%. Un divario impressionante ci divide da nazioni come la Svezia (3,07%) e la Finlandia (3,11%), ma i dati dimostrano che siamo anche dietro a paesi non certo paragonabili all’Italia a livello di sviluppo economico, come ad esempio la Repubblica Ceca (1,26%).

In estrema sintesi sono individuabili due ragioni fondamentali di questo divario: la ridotta dimensione media delle imprese italiane (il fattore dimensionale e la scarsa presenza delle imprese italiane nei settori science based) e una prevalenza in settori a «tecnologia matura» (fattore settoriale). In Piemonte questa situazione è aggravata dal fatto che l’impegno prevalente nel settore della ricerca è principalmente nel privato (13.500 addetti nel 1999), e pertanto soggetto alla crisi della grande impresa. Il settore pubblico è assai debole (2.500 addetti nel 1999 negli atenei, 1.000 altrove) e pertanto fortemente soggetto alle recenti misure restrittive imposte dal Governo. Al riguardo basti pensare che le richieste di contributi alla Fondazione CRT nel campo della ricerca scientifica sono state, nel 2003 più di dieci volte quelle avanzate nel 2002!

Si tratta allora di formulare politiche capaci, attraverso l’introduzione di modelli organizzativi e di contenuti scientifici nuovi, di produrre effetti moltiplicativi sul sistema. Il tentativo, infatti, di sopperire con risorse pubbliche o private reperite localmente a restrizioni derivanti da scelte del Governo e del sistema industriale e finanziario, in un momento di congiuntura di mercato sfavorevole, sarebbe del tutto illusoria.

In questo contesto la Fondazione CRT ha recentemente promosso il «progetto Lagrange», che ha come significativo sottotitolo «la ricerca del futuro» e come partner scientifico la Fondazione ISI (Istituto per l’interscambio scientifico), uno dei maggiori centri di ricerca nel mondo sui temi della complessità che da venti anni opera a Villa Gualino, sulla collina torinese. Fortemente radicato nella tradizione scientifica di Torino e del Piemonte, della quale il grande fisico torinese è scelto come simbolo, il progetto si propone di sostenere dottorati triennali presso gli atenei piemontesi e borse di ricerca biennali presso il sistema delle imprese più innovative sui temi connessi alla teoria della complessità. Da diversi anni la ricerca scientifica sta vivendo un importante processo di trasformazione determinato da una parte da profonde crisi ideologiche di alcuni settori scientifici e dall’altra da una diversa attitudine della società. La scienza della complessità si pone come nuova relazione tra scienza teorica e scienza applicata e, attraverso l’interdisciplinarietà, tenta di rispondere ai quesiti posti da una scienza usando i concetti di un altra e introduce un nuovo linguaggio e nuove grammatiche che consentono di pervenire a nuove forme di integrazione.

Il progetto Lagrange-Fondazione CRT dispone di un primo, significativo, stanziamento di sette milioni di euro. Accanto al sostegno a giovani che, quale che sia la loro provenienza, devono operare in Piemonte durante lo svolgimento del progetto di ricerca, esso prevede contratti specifici con ricercatori esperti («post-doc»), che possano integrarsi per periodi sufficientemente lunghi con quelli già presenti. Si vuole così costituire un contesto creativo di idee nuove, e pertanto stimolante e formativo, e la permanenza di scienziati insigni capaci di costituire un’occasione, altrimenti impossibile, di incontri di eccezionale livello e momenti di motivazione, non solo all’interno dell’ambito strettamente disciplinare. Lo sforzo di costituire una pluralità di circoli virtuosi è evidente: la triangolazione tra giovani, imprese e mondo della ricerca a livello locale; tra docenti di prestigio, idee nuove e giovani motivati sempre a livello locale; tra la ricerca e la tecnologia della nostra regione e gli stimoli che provengono dal mondo, senza indulgere in atteggiamenti esterofili o subalterni. Non si tratta di mandare necessariamente i nostri giovani all’estero, ma di creare con l’estero un polo locale di interscambio paritario.

Sono già partite le prime ventuno borse di dottorato e a novembre verranno bandite le prime borse di ricerca, che coinvolgeranno in modo ancor più diretto le imprese.

Sono inoltre allo studio iniziative di raccordo con la scuola, dando seguito al progetto ICT, e attività di divulgazione scientifica verso la comunità piemontese, anche attraverso idonee attività editoriali.

In conclusione, sono fortemente convinto che per costruire un futuro di sviluppo del Piemonte ogni attore del sistema (sistema educativo, pubblica amministrazione, imprese, banche) debba compiere uno sforzo di ripensamento critico del proprio modo di agire, rilanciando con forza l’idea che soltanto una crescita degli investimenti in R&S e il sostegno attivo ai processi di innovazione e di internazionalizzazione delle piccole e medie imprese può contrastare una prospettiva di lento ma inesorabile declino del nostro sistema produttivo. Si tratta cioè, ancora una volta, di creare un circolo virtuoso, in questo caso non più limitato alle istituzioni, ma tra imprese e istituzioni. L’idea di partire dalle proprie eccellenze per apprendere da quelle altrui.

 

 

Bibliografia

1 Cfr. L. Gallino, La scomparsa dell’Italia industriale, Torino, Einaudi 2003.

2 Cfr. U. Beck, Un mondo a rischio, Torino, Einaudi 2003.

3 Una completa informazione sul progetto è disponibile su Internet. Cfr. www.scuole.piemonte.it e www.dschola.it.