Italianieuropei 1/2006

il Sommario

l' Editoriale

Le grandi scelte per un governo di centrosinistra

Italianieuropei Tra i nodi strategici che l’Italia dovrà sciogliere nella prossima legislatura ci saranno quelli legati al rapporto con l’Europa: il risanamento dei nostri conti pubblici, il rapporto con i vincoli europei anche alla luce degli impegni che il governo Berlusconi ha assunto scaricando sul futuro la responsabilità delle sue politiche. Ma l’Italia dovrà confrontarsi anche con la crisi europea, frutto della battuta d’arresto del processo di integrazione. Cosa si può fare oggi per rilanciare l’Europa? Come riprendere in mano il tema costituzionale? Come rilanciare concretamente l’azione dell’Unione alla luce di un compromesso mediocre sulle prospettive finanziarie che il Parlamento ha bocciato? E come fare tutto questo in un quadro di incertezze, in cui, per esempi, la Francia non appare in grado di esercitare il suo ruolo tradizionale almeno fino alle elezioni? In un momento così delicato l’Italia, uno tra i grandi paesi fondatori, potrebbe giocare un ruolo importante. Quali sono le risposte che il centrosinistra italiano può dare per permettere al nostro paese di ritrovare un protagonismo nella sua politica estera?

 

gli Articoli

Americana

Una strategia contro il terrorismo

of Carlo Pinzani

I documenti che seguono costituiscono un rilevante contributo alla elaborazione di una politica internazionale e di sicurezza delle forze progressiste delle due sponde dell’Atlantico. Il primo, sottoscritto da ventidue esponenti ed esperti democratici americani, si prefigge di definire una politica sicurezza nei confronti della minaccia terroristica che è stata ed è tuttora considerata capace di portare colpi catastrofici in tutto il mondo. Il secondo riassume egregiamente un seminario svoltosi a Roma ai primi di novembre con la partecipazione di politici ed esperti europei e americani.

 

Americana

Combattere il terrorismo: una strategia di sicurezza per gli Stati Uniti

of Redazione

Gli Stati Uniti hanno bisogno di una strategia a tutto campo e di lungo termine per combattere la minaccia gravissima che incombe sul popolo americano: quella degli estremisti violenti, che agiscono spesso in nome dell’Islam e perseguono i loro obiettivi attraverso il terrorismo. L’America è pronta ad affrontare una minaccia del genere? E più specificamente, ha messo a punto politiche e strutture adeguate a condurre questa lotta e a dare sicurezza al paese? Siamo sulla via giusta per affrontare la più cruciale delle sfide alla sicurezza nazionale, o stiamo forse sbagliando strada? Qualche mese fa, prima degli uragani Katrina e Rita, nel pieno della débacle in Iraq, alcuni membri del Congresso americano hanno sottoposto questi interrogativi ad alcuni esperti e ad importanti esponenti del panorama politico nazionale. Dalle loro conclusioni appare chiaro che gli Stati Uniti non hanno una strategia contro il terrorismo in grado di proteggere efficacemente la popolazione, e non sono sufficientemente preparati a rispondere alle minacce provenienti da gruppi estremisti violenti.

Americana

Ripensare la sicurezza internazionale

of Federica Caciagli

Lo scorso 4 novembre si è tenuto presso la Fondazione Italianieuropei il seminario «Rethinking security, or how to deal with insecurity», in occasione del quale leader politici progressisti europei hanno affrontato insieme ad analisti di relazioni internazionali e di politiche di sicurezza e ai rappresentanti di alcuni dei maggiori think tank democratici statunitensi – già consiglieri di Bill Clinton durante le sue presidenze – le principali questioni relative alla sicurezza internazionale e al futuro delle relazioni transatlantiche, riflettendo sulle possibili linee di una strategia politica condivisa dalle forze progressiste europee e statunitensi. Dalla discussione è emerso un confronto ampio e costruttivo sugli scenari critici che minacciano la sicurezza internazionale e le ragioni che ne sono all’origine, sulla cui analisi si dovranno impostare in futuro le basi della cooperazione transatlantica.

 

Policy Network

Perché all'Europa serve più giustizia sociale

of Roger Liddle

Dalla pubblicazione del Libro bianco di Delors sull’occupazione, l’Europa ha ripetutamente manifestato il bisogno di una «riforma economica». A questo ha fatto seguito l’avvio della Strategia europea per l’occupazione nella seconda metà del 1997, e infine l’approvazione della Strategia di Lisbona, a marzo del 2000, in cui si prometteva di «fare dell’Europa l’area economica basata sulla conoscenza più dinamica e socialmente più inclusiva del mondo entro il 2010». La maggior parte di queste iniziative ha conseguito unicamente un successo parziale. Nei paesi fondatori della Comunità europea l’impatto sulle performance economiche è stato percepito solo in minima parte.  

Policy Network

Il futuro del Modello sociale europeo?

of Anthony Giddens

Il Modello sociale europeo (MSE) è – o è divenuto – un elemento fondamentale di ciò che l’Europa rappresenta. Non è unicamente europeo, non è puramente sociale e non è neanche un modello. Se MSE significa avere istituzioni di welfare efficienti e ridurre le ineguaglianze, qualche paese industriale è più europeo di alcuni Stati dell’Europa. Per esempio, l’Australia e il Canada superano il Portogallo e la Grecia – per non parlare dei nuovi Stati membri dell’UE dopo l’allargamento. Il Modello sociale europeo non è puramente sociale, poiché, comunque lo si definisca, dipende in misura sostanziale dalla prosperità economica e dalla redistribuzione. Né è un modello unitario, considerate le ampie divergenze che esistono nei paesi europei in termini di sistemi di welfare, livelli di ineguaglianza, ecc.

 

Policy Network

Bilancio, commercio, servizi. L'Europa delle occasioni perdute?

of Pier Carlo Padoan

Tutti sanno che l’Europa, da anni, cresce sempre meno, sia in termini effettivi che di crescita potenziale. Tutti sanno che nel 2000 l’Unione europea decise di lanciare una nuova strategia di crescita, la Strategia di Lisbona, basata sugli investimenti in innovazione e conoscenza. Molti si sono resi conto che, dopo cinque anni dal vertice di Lisbona, questa strategia ha prodotto ben pochi frutti e, anche per questo, è stata recentemente sottoposta a revisione. Il montare della competizione globale e lo stato di insoddisfazione dei cittadini europei nei confronti delle istituzioni, espresso dai referendum, dovrebbe far pensare che i governanti dell’Europa, almeno quelli che dicono di credere nel progetto europeo, dovrebbero essere pronti a cogliere qualunque occasione per invertire questo stato di cose, rilanciare seriamente la Strategia di Lisbona, e con essa la crescita, per cercare di riconquistare, almeno da questo punto di vista, il consenso perduto. Eppure non sembra che sia così. In questi mesi l’Europa ha perso, o rischia di perdere, non una ma almeno tre occasioni per dare una scossa positiva molto significativa al torpore della sua economia: l’accordo sulle prospettive finanziarie 2007-2013 (il bilancio), la conclusione del Doha Round, il completamento del mercato interno dei servizi.

Policy Network

Europa: un bilancio deludente

of Gianni Pittella

Molti hanno cantato vittoria per l’accordo raggiunto tra i 25 governi dell’Unione sulle «Prospettive finanziarie 2007-2013». Ma questo entusiasmo è, onestamente, fuori luogo. L’intesa trovata non ci mette nelle condizioni di poter parlare di un ilancio che rappresenti un punto di svolta, o uno strumento politico di artenza, per la costruzione dell’Unione del futuro. La battaglia negoziale svoltasi a Bruxelles è apparsa, tanto agli addetti ai lavori quanto a quella parte di opinione pubblica che segue con attenzione tali vicende, più una competizione feroce tra interessi nazionali e privilegi tanto consolidati quanto inaccettabili, che un momento storico fondamentale per rilanciare un processo di integrazione che
appare vivere una preoccupante fase di stallo se non di arretramento.

Policy Network

Rilanciare l'Europa dei cittadini: per un'iniziativa della sinistra progressista europea*

of Redazione

La crisi dell’Europa Il non francese e il nee olandese hanno messo a nudo la profonda crisi che attraversa l’Europa. Oggi, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni dei critici del trattato costituzionale, non esiste un «Piano B». D’altro canto, anche sottoporre un testo tale e quale ai popoli che già si sono espressi negativamente non è un’opzione verosimile. Inoltre, in un’Europa dominata da forze conservatrici non c’è alcun margine di manovra per la rinegoziazione a breve termine di un altro trattato che meglio interpreti le opinioni della sinistra progressista europea. È l’Europa nella sua forma attuale ad essere messa in questione in modo fondamentale. Il «no» al referendum ha sprigionato forze centrifughe e agli egoismi nazionali si è dato campo libero. Questa non è una crisi «salutare»: è invece quanto mai dannosa perché alla fine potrebbe portare ad un indebolimento sostanziale dell’intero progetto europeo, se non addirittura farlo finire in naftalina. Ma come cambiare questa situazione, che in effetti è la più grave mai attraversata dall’Europa? E come rilanciare il progetto europeo?

 

Economia

La politica industriale non è bipartisan

of Alessandro Aronica e Andrea Vecchia

Esiste una «politica per la competitività» bipartisan? Un pezzo di quel programma di politica economica su cui potrebbero convergere da subito, secondo gli auspici di Mario Monti, gli opposti schieramenti, alla luce di una raggiunta pacificazione liberale? Viene da rispondere positivamente, almeno sul piano delle possibilità astratte, se con «politica per la competitività» si intende tutto ciò che contribuisce a elevare la qualità del «contesto» economico produttivo: le infrastrutture, l’investimento del paese in ricerca scientifica e tecnologica, l’investimento in istruzione e formazione, le liberalizzazioni. Oggi, su questi terreni sembrano davvero non sussistere distanze incolmabili che derivino da punti di vista fortemente differenziati. Le divaricazioni tra i due schieramenti si producono in punto di fatto, in quanto ci si allontana dai principi enunciati per ragioni contingenti di opportunità politica (è quanto succede, per esempio, al centrodestra in materia di liberalizzazioni) o perché il generico accordo sui principi non si traduce meccanicamente in accordo sulle priorità (si pensi ad alcune scelte di infrastrutturazione). L’ipotesi di un accordo pre-elettorale appare quindi di difficile praticabilità, ma tutt’altro che implausibile.

 

Economia

Riformismo e impresa

of Giulio Sapelli

L’impresa è la possibile libertà dei moderni: associazione di persone, può costituire lo strumento fondamentale per la realizzazione umana e non soltanto il principale attore creatore della ricchezza sociale, quale che sia la formazione economicosociale dominante. Questo principio è uno dei valori fondativi del moderno riformismo.

Le Città

Il «modello Roma»

of Walter Veltroni

Poco più di un anno fa, all’inizio del 2005, all’Auditorium di Roma organizzammo un convegno di due giorni per riflettere, insieme a tutti gli «attori» presenti sulla scena romana, della città che verrà da qui ai prossimi dieci anni. Fu un’occasione, quel convegno, per osservare e per comprendere la direzione dei mutamenti in corso, per individuare le scelte strategiche in grado di continuare ad animare una politica amministrativa intelligente e progettuale. Fu un’occasione, al tempo stesso, per tornare a sottolineare la nostra idea di città, e quindi gli obiettivi ai quali tende, quotidianamente, il lavoro che questa amministrazione porta avanti da ormai quasi cinque anni.

 

Le Città

Roma, città molteplice e multiforme

of Rita Borioni

Roma è una metropoli molteplice, composta da tante diverse città che si affiancano nello spazio e che si sono sovrapposte nel tempo. Nel medesimo perimetro si fiancheggiano e si affastellano la capitale della Repubblica e la Città del Vaticano, la sede di governo e parlamento, le rappresentanze diplomatiche, i ministeri, la regione, la provincia e il comune, oltre a una miriade di enti, aziende e organismi nazionali e internazionali, pubblici e privati. A questa mappa orizzontale si aggiunge quella verticale che corrisponde alla sedimentazione delle città che si sono susseguite – senza mai sostituirsi completamente alla precedente – nei millenni. Non si può parlare di Roma senza volgere lo sguardo al suo passato, e al suo essere diventata capitale malgrado la mancanza di un vero progetto per la sua crescita e per il suo sviluppo (non solo immobiliare). Queste deficienze hanno impedito per decenni che si realizzasse un sistema per la cultura capace di inverare un’idea partecipata e risolta di città e di capitale.

Le Città

Roma: una capitale per la nuova Italia

of Umberto Marroni

Roma si trova a un bivio cruciale della sua storia e del suo rapporto con il paese. Tredici anni di buongoverno delle amministrazioni di centrosinistra hanno promosso e avviato la rinascita di una città che era stata messa profondamente in crisi dal declino e poi dal crollo del vecchio assetto dello Stato centralistico, del relativo modello di sviluppo, del compromesso sociale e del sistema politico della cosiddetta «prima Repubblica». Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, la sinistra romana ha saputo ridefinire il proprio ruolo ed elaborare un progetto originale per il futuro di Roma, fondato sulla scommessa che l’esaurimento della vecchia funzione di centro amministrativo dello Stato aveva reso gli elementi tradizionalmente portanti del modello economico-sociale della capitale una gabbia che ne frenava le potenzialità di sviluppo e di progresso. Una gabbia da cui Roma doveva essere «slegata», investendo sulle proprie risorse e ripensando se stessa. La partita di una inedita e duratura centralità politica della sinistra si è giocata e vinta sulla capacità culturale e politica del PDS-DS di essere il perno e il motore di un’ampia alleanza politica e sociale, che ha promosso e guidato la transizione dalla Roma della burocrazia e della rendita fondiaria, a una moderna metropoli dei servizi e della cultura nella nuova economia dell’informazione.

 

Le Città

Roma e il sistema delle sue università

of Guido Fabiani

È mia convinzione che l’università abbia giocato un ruolo essenziale, certamente non unico, nel determinare la brillante performance economica della città di Roma di cui tanto e giustamente si parla. L’università, infatti, sostenuta dal governo della città, si sta sempre più proponendo come componente di un sistema di relazioni culturali, economiche e istituzionali che irrobustisce il complesso tessuto socio-economico cittadino e contribuisce in modo significativo a configurare il «modello Roma». In una recente indagine condotta dal Censis, tra i cittadini romani, Roma viene presentata come «una città che crede nel proprio futuro». Ed è significativo che, dall’elaborazione dei questionari relativi all’indagine stessa, risulti che l’università è posta in cima alla graduatoria dei soggetti che possono maggiormente incidere sullo sviluppo della città. Al di là del dato, che deve far riflettere di per sé, questo è un segno chiaro del fatto che i rapporti tra la città di Roma e le sue università sono fortemente cresciuti e migliorati negli ultimi anni.

Flat/Bit World

Monsieur Travet nel cyberspazio

of Antonio Cordella e Fabio Scacciavillani

Cominciamo da un esempio. Ho sporto denuncia per lo smarrimento del passaporto in un commissariato di polizia. Il poliziotto ha acceso un computer, ha inserito i miei dati personali e le mie dichiarazioni in un modulo elettronico, poi ha stampato il documento su carta e ha quindi archiviato il documento cartaceo in un faldone pieno di altre denunce, riponendolo in un armadio. Infine, ha consegnato a me una copia (su carta) e ha cancellato il file della mia denuncia dalla memoria del computer. In questo esempio c’èun condensato di come la pubblica amministrazione (PA) utilizza oggi l’information technology (IT).

 

Flat/Bit World

Società delle reti, governance e qualità intrinseca del lavoro

of Paolo Botta

Il fenomeno della globalizzazione sta determinando delle profonde trasformazioni negli assetti sociali, economici e culturali. Sul piano socio-economico, a fronte di una crescita dei livelli di competitività internazionale, si assiste a processi di adeguamento delle economie alle nuove esigenze attraverso un’intensificazione dell’innovazione a tutti i livelli: tecnologico, organizzativo, nei processi, nei prodotti. Ciò vuol dire optare per modelli produttivi post-fordisti fondati su una continua valorizzazione delle risorse umane al fine di migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi in un mercato aperto e tendenzialmente non monopolistico. Il modello di produzione fordista è caratterizzato da una logica che potremmo definire «verticale», di tipo top/down, in coerenza con il contesto di monopolio della grande azienda, che impone ad un vasto mercato i propri prodotti standardizzati e una sostanziale atomizzazione della società, con scarsi collegamenti e interazioni poco significative. Il modello post-fordista, che si fonda invece su una logica che potremmo definire «orizzontale», prevede unità di produzione distribuite in maniera capillare su tutto il territorio di riferimento (geografico, economico e sociale), che si distinguono per una ricerca generalizzata della qualità sia nei processi sia nei prodotti sia a livello tecnologico.

Esteri

Bolivia: la lunga transizione dall'utopia armata al socialismo comunitario

of Alberto Filippi

La lunga e ostacolatissima marcia dell’aymara Evo Morales – e degli oltre cinquanta movimientos sociales che lo hanno accompagnato – attraverso le istituzioni è giunta al punto cruciale di svolta: l’inizio del suo governo, con un programma quanto mai originale e ambizioso. Fra le priorità vi è quella di indire entro sei mesi un’Assemblea costituente che «rifondi politicamente e costituzionalmente» la Bolivia, generando le condizioni e le regole istituzionali per porre fine al Estado colonial e iniziare la lotta per la «seconda Indipendenza», dopo quella combattuta contro l’Impero borbonico tra il 1810 e il 1825, guidata da José de San Martín e Simón Bolivar e che diede vita alla República de Bolivia nel 1826.

 

Esteri

Le prospettive di sviluppo in India

of Mountolive

Nel 2050 – stando ad un recente rapporto della CIA – Stati Uniti, Cina e India saranno le prime tre economie mondiali e l’Asia terrà le chiavi degli equilibri globali. Per buona parte dell’establishment indiano è come se le cose stessero già così e, sopratutto, come se il paese fosse legittimato a scontare questa realtà futura nei suoi comportamenti, anziché riferirsi alla realtà attuale, ben più problematica. Gli indiani hanno una straordinaria capacità di proiettare il domani nell’oggi. Dimenticano che il paese, potenza nucleare dotata del secondo maggior esercito di terra del mondo, ha un PIL leggermente inferiore a quello dell’Italia e un reddito pro-capite che non raggiunge i 500 dollari annui. Le punte di eccellenza nell’Information Technology e i modernissimi campus tecnologici di Bangalore, convivono con una realtà rurale contrassegnata da un’economia di mera sussistenza.

Comunicazione e Politica

Vista da un altro punto di vista. La lezione delle primarie

of Sara Bentivegna

A distanza di qualche mese dall’inedita quanto positiva esperienza delle elezioni primarie può essere utile tornare a riflettere su quell’avvenimento, individuandone e analizzandone aspetti che, in prima battuta, hanno ceduto il passo a un approccio di natura più propriamente politica, in primis, quello che ha elaborato i passi necessari alla costruzione del Partito democratico. D’altro canto, il processo immediatamente avviato a chiusura delle urne non è che la più evidente conseguenza dell’azione di quel «meccanismo ad altissima politicità» costitutivo delle elezioni primarie. Proprio in virtù del loro essere un meccanismo ad elevata politicità, in grado cioè di svolgere una molteplicità di funzioni utili agli elettori, ai partiti e alla democrazia, le elezioni primarie hanno contribuito a fare emergere altri fenomeni, spogliandoli di quella opacità che li rendeva difficilmente individuabili e leggibili. Tra questi, può senz’altro essere annoverata la fine della stagione dell’antipolitica. Dopo aver soffiato costantemente e fortemente per più di un decennio, il vento dell’antipolitica sembra aver iniziato a placarsi.

Comunicazione e Politica

Le novità sociali per la politica

of Carlo Carboni

Questo scritto non riprende l’analisi sociologica, in prevalenza descrittiva, delle novità sociali che hanno caratterizzato i mutamenti del paese negli ultimi quindici-venti anni. La sua ambizione è, semmai, compiere un passo avanti rispetto a quell’analisi, richiamandone le novità emergenti per la dimensione politicoistituzionale e, soprattutto, cercando di sviluppare un approccio interpretativo normativo dei mutamenti sociali. Richiamerei quattro idee che sorreggono quell’analisi sociologica. Innanzitutto, la tesi, diffusa in letteratura secondo la quale negli ultimi dieci anni, nelle società postfordiste più avanzate, si sono andate affermando sia una nuova economia che una nuova società, come manifestazioni di una nuova modernità tecnologica e globale, per la quale conoscenza e tecnologia assumono una centralità in ambito sociale (relazione) ed in quello economico (transazione).

Le storie

Diario americano 7

of Giulio Sapelli

Ritorno. Eccomi di nuovo qui. Sono uscito presto dall’albergo e sono stato scaricato da un taxi dinanzi alla decrepita chiesa cattolica dell’Università di New York. Lo stesso odore stantio di quei tempi che sentivo quando entravo la domenica presto, prima della messa, quando studiavo nella città terribile e incantata nei mesi in cui ero invitato come ospite dal Remarque Institute, che è chiuso. Lascio, allora, al portiere che non è più lo stesso, un biglietto per il direttore e l’adorabile segretaria e me ne vado. Ma a quell’odore fa riscontro, in un’immaginifica lotta, il profumo dei fiori raccolti in modestissimi vasi di plastica che sono posti in tutti gli angoli e a capo dell’altare. Fiori umili e sempre freschi, odorosi di quell’indefinibile pneuma che è ben più del soave profluvio della natura: è già un inno alla mortificazione e alla cristiana letizia insieme. E questo perché sono fiori modesti, in sé raccolti, ed estranei, in definitiva, al rutilante girare del mondo che si snoda appena esci dal sagrato e ti immergi in Washington Square e quindi nell’universo-mondo dell’economia monetaria in cui vivono le persone, qui più di ogni altro luogo. Attorno a me nessuno.

 

Archivi del Riformismo

L'esperienza riformista del New Deal nella Banca mondiale (1949-1954)

of Michele Alacevich

Quando alla conferenza di Bretton Woods, nel 1944, vennero alla luce la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale, le due istituzioni multilaterali su cui si sarebbe fondato l’ordine economico postbellico, la missione principale che venne affidata alla Banca fu quella di sostenere l’Europa devastata dal conflitto bellico nell’opera di ricostruzione – il nome esatto di questa istituzione era infatti Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo. L’avvento del Piano Marshall nel 1947, di fatto, obbligò la Banca a riconvertirsi – ben prima di quanto era stato inizialmente ipotizzato – alla sua seconda missione: gli aiuti allo sviluppo nei confronti dei paesi più arretrati. Nonostante l’iniziale oggettiva incompetenza verso questo nuovo compito, la Banca intraprese un percorso di crescita che la portò nel giro di pochi anni a diventare un’istituzione particolarmente solida e rispettata.