Giorgio Resta

Giorgio Resta

insegna Diritto privato comparato all’Università di Bari.

Beni comuni

“Beni comuni” è una formula che, pur vantando una nobile tradizione nella cultura giuridica occidentale, sembrava sino a poco tempo fa caduta nell’oblio o, comunque, destinata a una sostanziale irrilevanza pratica. Pochi ricordano, ad esempio, che il Code Napoléon del 1804 dedica alla categoria delle choses communes un’apposita disposizione, l’articolo 714, la quale sancisce l’esistenza di «cose che non appartengono ad alcuno e il cui uso è comune a tutti», rimettendo alle lois de police il compito di regolamentarne le modalità di fruizione. Tale norma è rimasta a lungo avvolta in un cono d’ombra, tanto da meritare non più di qualche cenno fugace da parte di commentatori e trattatisti. Ciò, ovviamente, non è il frutto di mera disattenzione, ma è il rifl esso puntuale e coerente di un preciso assetto istituzionale, figlio della modernità giuridica, incentrato sulla riduzione dei modelli di appartenenza a due schemi fondamentali,
simmetrici e contrapposti: la proprietà pubblica e la proprietà privata.

L’Europa, i diritti e i limiti del mercato

  I nostri sistemi politico-giuridici sono oggi chiamati a confrontarsi con due questioni di primaria rilevanza: quella dei limiti della proprietà quale strumento di allocazione in forma esclusiva di beni, di natura materiale o immateriale, e quella dei limiti del mercato quale meccanismo istituzionale preordinato a regolarne la produzione e lo scambio. Una cultura progressista che voglia confrontarsi seriamente con questi problemi non può prescindere dal fondamentale precetto di salvaguardia della dignità umana, inteso sia come limite esterno alla brevettabilità, e quindi come limite alla commercializzazione, sia come strumento di salvaguardia contro i fenomeni di esclusione sociale derivanti dalla generalizzazione delle logiche mercantili.

I beni pubblici in tempo di crisi

Anche nell’interesse delle generazioni future, la politica deve tenere conto delle odierne esigenze sociali ed economiche, inserendo in agenda la riorganizzazione del sistema della proprietà pubblica. È tempo di accrescere investimenti e tutele anche per tutti quei beni immateriali, come paesaggio, cultura e conoscenza, rimasti finora nascosti nelle pieghe del regime dei beni pubblici e di quelli privati.

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