Manifesto per la democratizzazione dell’Europa

Martedì 15 Gennaio 2019 12:14 Stampa

Pubblichiamo di seguito il “Manifesto per la democratizzazione dell’Europa”, parte di una articolata proposta per la rifondazione democratica, sociale e ambientalista del progetto europeo avanzata da un gruppo di economisti, giuristi e politologi costituito intorno a Thomas Piketty.

Noi, cittadini europei, provenienti da contesti e paesi diversi, lanciamo oggi un appello per una profonda trasformazione delle istituzioni e delle politiche europee. Questo Manifesto contiene proposte concrete, in particolare un progetto di Trattato di democratizzazione e un progetto di Budget che possono essere adottati e applicati nella loro forma attuale dai paesi che lo desiderino, senza che nessun altro Stato possa bloccare quanti aspirano ad andare avanti. Può essere firmato online (www.tdem.eu) da tutti i cittadini europei che in esso si riconoscono. Può essere inoltre modificato e migliorato da qualunque movimento politico.

Dopo la Brexit e l’elezione di governi antieuropeisti a capo di diversi paesi membri, non è più possibile continuare come prima. Non possiamo limitarci ad aspettare le prossime uscite o un ulteriore smantellamento senza apportare cambiamenti radicali all’Europa di oggi.
Attualmente il nostro continente è stretto da un lato da movimenti politici il cui programma si limita a dare la caccia agli stranieri e ai rifugiati; un programma che ora hanno iniziato a mettere in atto. Dall’altro, da partiti che si definiscono europeisti, ma che in realtà continuano a ritenere che il liberalismo duro e puro e la concorrenza estesa a tutti (Stati, imprese, territori e individui) siano sufficienti a definire un progetto politico, senza rendersi conto che è proprio questa mancanza di ambizione sociale ad alimentare la sensazione di abbandono. Alcuni movimenti sociali e politici stanno cercando di porre fine a questo dibattito mortifero e tentando la strada di una rifondazione politica, sociale e ambientale dell’Europa. Perché dopo un decennio di crisi economica non mancano le criticità specificamente europee: scarsità di investimenti strutturali nel settore pubblico, in partico­lare nel campo della formazione e della ricerca, aggravamento delle diseguaglianze sociali, accelerazione del riscaldamento globale e crisi dell’accoglienza di migranti e rifugiati. Tuttavia, questi movimenti spesso faticano a formulare un concreto progetto alternativo, ossia non riescono a delineare con precisione il modo in cui intendono organizzare l’Europa del futu­ro e il processo decisionale democratico al suo interno.

Noi, cittadini europei, con la pubblicazione di questo Manifesto, del Trattato e del Budget, stia­mo formulando proposte precise. Non sono per­fette, ma hanno il merito di esistere: ciascuno ha la possibilità di coglierle per migliorarle. Si basa­no su una semplice convinzione: l’Europa deve costruire per i suoi cittadini un modello origina­le di sviluppo sociale, equo e duraturo. L’unico modo per convincerli è quello di abbandonare le promesse vaghe e teoriche. L’Europa si riconcilierà con i suoi cittadini solo dimostrando concretamente di essere in grado di ristabilire la solidarietà tra gli europei facendo in modo che coloro che hanno tratto vantaggio dalla globalizzazione contribuiscano al finanziamento dei beni pubblici di cui oggi l’Eu­ropa ha disperatamente bisogno. Ciò significa far sì che le grandi aziende contribuiscano in misura maggiore delle piccole e medie im­prese e che i contribuenti più abbienti paghino in misura maggiore di quelli più poveri, cosa che oggi non avviene affatto.

Le nostre proposte si basano sulla creazione di un Budget per la de­mocratizzazione che verrebbe discusso e votato da un’Assemblea eu­ropea sovrana, che consentirebbe finalmente all’Europa di disporre di un potere pubblico in grado di far fronte immediatamente alle crisi nel continente e di produrre un insieme di beni pubblici nel quadro di un’economia duratura e solidale. In questo modo si potrà finalmente dare un senso alla promessa fatta nel Trattato di Roma di “livellamento nel progresso delle condizioni di vita e di lavoro”. Il Budget, se l’Assemblea europea lo desidera, sarà finanziato attra­verso quattro grandi imposte europee, segni tangibili di questa soli­darietà europea. Esse si applicheranno agli utili delle grandi imprese, ai redditi più alti (oltre 200.000 euro all’anno), ai patrimoni più consistenti (oltre 1 milione di euro) e alle emissioni di anidride car­bonica (con un prezzo minimo di 30 euro per tonnellata). Se fissato al 4% del PIL, come proponiamo, questo bilancio potrebbe finan­ziare la ricerca, la formazione e le università europee, un ambizioso programma di investimenti per trasformare il nostro modello di crescita economica, finanziare l’accoglienza dei migranti e sostenere gli atto­ri della trasformazione; potrebbe inoltre ridare sostegno a coloro che si occupano di attuare la transizione. Potrebbe infine ridare un margine di manovra ai bilanci degli Stati membri per ridur­re l’imposizione fiscale regressiva che grava sui salari e sui consumi.

Non si tratta di creare una “Europa dei trasferi­menti” che cerchi di prendere denaro dai paesi “virtuosi” per darlo a coloro che lo sarebbero meno. Il progetto per un Trattato di democratiz­zazione lo afferma esplicitamente, limitando il divario tra le somme prelevate e quelle versate da un paese a una soglia dello 0,1% del suo PIL. La vera sfida è altrove: si tratta innanzitutto di ridurre le diseguaglianze all’interno dei diversi paesi e di investire nel futuro di tutti gli eu­ropei, a cominciare naturalmente dai più giovani, senza favorire un paese piuttosto che un altro.

Poiché dobbiamo agire rapidamente, ma dobbiamo anche far usci­re l’Europa dall’attuale solco tecnocratico, proponiamo la creazione di un’Assemblea europea che permetta di discutere e votare queste nuove imposte europee come anche il Budget per la democratizza­zione senza che sia necessario modificare subito l’insieme dei Trattati europei esistenti.

L’Assemblea europea dovrà naturalmente dialogare con gli attuali organi decisionali (in particolare con l’eurogruppo in seno al quale i ministri delle Finanze della zona euro si riuniscono informalmente ogni mese) ma, in caso di disaccordo, l’Assemblea avrebbe l’ultima parola. In questo starebbe la sua capacità di essere il luogo in cui si forma un nuovo spazio politico transnazionale in cui partiti, movi­menti sociali e ONG possano finalmente riprendere in controllo. Allo stesso modo, metterebbe alla prova la sua reale efficacia, dal momento che si potrebbe così liberare finalmente l’Europa dall’eter­na situazione di stallo dei negoziati intergovernativi. Non dobbiamo dimenticare che la regola dell’unanimità fiscale in vigore nell’Unione europea blocca da anni l’adozione di qualsiasi imposta europea e so­stiene l’eterna fuga verso il dumping fiscale a favore dei più ricchi e dei più mobili, una pratica che continua ancora oggi nonostante tut­ti i discorsi fatti e che continuerà fino a quando non saranno stabilite altre regole decisionali.

Dal momento che questa Assemblea europea avrà la capacità di adot­tare le imposte e di entrare nel cuore del patto democratico, fiscale e sociale degli Stati membri, è importante coinvolgere realmente i parlamentari nazionali ed europei. Conferendo loro un ruolo cen­trale, di fatto le elezioni nazionali e parlamentari si trasformerebbero in elezioni europee: i deputati nazionali non potranno più limitarsi a scaricare la responsabilità su Bruxelles e non avranno altra scelta che spiegare agli elettori i progetti e i bilanci che intendono difendere in seno all’Assemblea europea. Riunendo i parlamentari nazionali eu­ropei in un’unica Assemblea, si creeranno abitudini di co-governance che al momento esistono solo tra i capi di Stato e i ministri delle finanze.

Ecco perché proponiamo nel Trattato di democratizzazione disponi­bile online che l’80% dei membri dell’Assemblea europea sia com­posto da membri dei Parlamenti nazionali dei paesi che aderiranno al Trattato (in proporzione alla popolazione dei paesi e dei gruppi po­litici) e il 20% dai membri dell’attuale Parlamento europeo (in pro­porzione ai gruppi politici). Questa scelta merita un’ampia discus­sione. In particolare, il nostro progetto potrebbe funzionare anche con una percentuale minore di parlamentari nazionali (ad esempio il 50%). Ma se questa percentuale diventasse troppo bassa, l’Assem­blea europea potrebbe allora rischiare di essere meno legittimata agli occhi dei cittadini a intraprendere la via di un nuovo patto sociale e fiscale, e i conflitti di legittimità democratica tra elezioni nazionali ed elezioni europee potrebbero minare immediatamente il progetto.

Ora dobbiamo agire rapidamente. Se da un lato è auspicabile che tutti i paesi dell’Unione europea aderiscano prontamente a questo progetto e benché sia preferibile che i quattro maggiori paesi della zona euro (che insieme rappresentano oltre il 70% del PIL e della po­polazione della zona euro) lo adottino fin dall’inizio, il progetto nel suo complesso è stato concepito per essere adottato e applicato sotto il profilo legale ed economico da qualsiasi sottoinsieme di paesi che lo desiderino. Questo punto è importante perché consente ai paesi e ai movimenti politici che lo desiderano di dimostrare la loro volontà concreta di andare avanti adottando fin da subito questo progetto, o una sua versione migliorata. Invitiamo ogni uomo e ogni donna ad assumersi le proprie responsabilità e a partecipare a una discussione articolata e costruttiva per il futuro dell’Europa.