Casta

Di Antonio Menniti Ippolito Martedì 22 Novembre 2011 18:51 Stampa
Casta Illustrazione di Emanuele Ragnisco

Così come nel subcontinente indiano per definire un gruppo sociale chiuso i cui membri sono uniti da comunanza etnica, di nascita, di religione e di mestiere s’affermò la parola portoghese casta (“stirpe”, “razza”), più modestamente in Italia non avrebbe senso utilizzare tale termine al singolare. Il concetto di casta vive e s’afferma lì dove i gruppi chiusi sono molteplici e pure collocati in un contesto gerarchico.

 

Così come nel subcontinente indiano per definire un gruppo sociale chiuso i cui membri sono uniti da comunanza etnica, di nascita, di religione e di mestiere s’affermò la parola portoghese casta (“stirpe”, “razza”), più modestamente in Italia non avrebbe senso utilizzare tale termine al singolare. Il concetto di casta vive e s’afferma lì dove i gruppi chiusi sono molteplici e pure collocati in un contesto gerarchico. Non ha senso insomma parlare di caste se non esistono quelle alte e quelle basse anche in presenza di qualcuno escluso dal sistema. Gruppi chiusi, consolidati dall’endogamia, ma non immobili. In India la società castale si è caratterizzata per un costante processo di mobilità tanto di interi gruppi quanto di singoli clan familiari; i senza casta hanno ampio ruolo nel boom economico in atto così come nella politica e nell’India di oggi i bramini, vertice del sistema castale, vivono in parte la stessa situazione disagiata dei patrizi veneziani poveri negli ultimi tempi della Serenissima Repubblica di Venezia.

Sarebbe inopportuno seguire qui gli aspetti dell’evoluzione del significato di casta dall’India vedica fino ad arrivare a questo nostro tempo. Basterà citare due elementi: l’esistenza di una discriminazione positiva a favore delle caste svantaggiate, che tra l’altro hanno preteso che l’indicazione della casta di appartenenza fosse contenuta (per la prima volta e con grande imbarazzo dei liberals anticastali!) nell’ultimo censimento, a sottolineare la forza e l’influenza delle stesse; la dichiarazione di indifferenza nei confronti della condizione castale espressa nella formula “caste no bar” contenuta nell’attacco di molti annunci matrimoniali pubblicati nei quotidiani indiani. Essa esprime la sempre più diffusa opinione nei confronti delle caste che si rivela in quelle città dove presto si troverà a convivere il 50% di quell’enorme popolazione. L’economia in crescita e l’estrema mobilità privilegiano formazione, capacità, intraprendenza allo status, alla nascita.

Ma veniamo a noi. La tristezza infinita della scena politica italiana e lo straordinario successo editoriale del volume di Stella e Rizzo del 2007 hanno rilanciato, al singolare, la fortuna del termine.1 Inutile ricordare anche le inchieste dei due giornalisti (e di tanti altri) regolarmente pubblicate sul “Corriere della Sera”, rivelatrici di scandali, privilegi, sprechi destinati (essi stessi, non le inchieste che li denunciano) ad alimentare la cosiddetta antipolitica almeno finché la politica non troverà la forza, il coraggio, l’indispensabile disposizione necessari a eliminare quel tantissimo che non va. Questo sembra però ben lontano dal poter avvenire: ancora si deve assistere allo spettacolo di un consigliere della Regione Lazio o Sicilia (per fare esempi legati a recenti inchieste), di qualsiasi partito, che chieda di rinunciare al bonus da doppio incarico (perché i consiglieri del PD non lo fanno, e subito?); gli esiti di alcune votazioni in Parlamento su misure moralizzatrici in materia di vitalizi parlano da sé e sono motivo di vergogna, così come l’enumerazione delle frequentissime promesse inevase d’impegno per rimediare a tutto ciò.

Ma non è che in ogni altro ambito professional-castale ci si comporti in modo diverso. Cosa vieterebbe ad esempio alle strutture universitarie d’adeguarsi ai migliori modelli esistenti? Nulla o almeno poco, ma fa tanto più comodo perpetuare profittevolmente gli orrori addebitandone le responsabilità alla politica.

Il terrore di perdere privilegi grandi o talvolta minimi blocca da sempre l’Italia, paese non della casta, ma delle caste e ciò si esprime quotidianamente, in ciascuna componente della popolazione. Il sistema appare formato da sottosistemi ciascuno dei quali vive come asserragliato in un fortino. Sottosistemi che accomunano privilegiati da sempre intoccabili (e che bisognerebbe infine toccare) e chi avrebbe assai poco da difendere: notai, giornalisti, imprenditori del genere particolare fiorito in Italia più o meno apparentemente monopolisti e protetti (titolari di concessioni autostradali o tassisti...), ma esistono anche caste di precari a diverso titolo che difendono con i denti quel nulla che hanno. E poi una realtà dove il mestiere si trasmette per via dinastica e questo avviene per gli impieghi minori, ma pure per ruoli di responsabilità (chi scrive rappresenta del resto la quarta generazione di universitari nella propria stirpe). La stessa politica ha mostrato di tendere al modello della trasmissione per via di consanguineità della responsabilità rappresentativa. E ci si ferma qui.

Perché la percezione del sistema, che pure è tanto generoso per molte categorie, è oggi per molti così insopportabile? Non solo per l’apparire e per la permanenza della crisi che rendono ancor più inaccettabili gli sprechi e le rendite di posizione, ma soprattutto perché la sensazione di un paese immobile, dove tutto si perpetua, caratterizzato dall’inamovibilità, risulta oggi ancor più odiosa alla luce di ciò che accade altrove.

Le caste si consolidano di fronte al fondato rischio di discesa sociale e in misura maggiore chi alle caste non appartiene si vede così preclusa ogni via per farne parte. Ma se riuscisse a entrarvi rinuncerebbe a sottrarsi alla comoda logica del gruppo? Le esigenze indispensabili di modernizzazione sono state sacrificate in ogni periodo, anche in quelli oggi rimpianti (ed è facile nella situazione odierna rimpiangere di tutto), alla logica del “tengo famiglia” che porta ad affrontare oggi i problemi di ieri e mai a pensare a quelli di domani, quelli che avranno i figli o i nipoti. Si consolida un sistema bloccato, senza concorrenza, senza mobilità, senza progetti, che fa indignare moltissimo (magari finché a essere denunciate sono le magagne che riguardano gli altri e non le proprie), che vede trasformato all’italiana anche un istituto tutto sommato dinamico quale la casta così come sviluppatasi in India.

Ma non ci si deve rassegnare e la politica, la casta tra le caste, a tutti i livelli, dall’alto in basso, deve dare un segnale forte in tal senso.

Se è vero, come dice il presidente Napolitano, che la politica siamo tutti noi, essa deve essere la parte dignitosa e responsabile di quel che noi siamo. Se non riuscirà a esserlo il futuro sarà nero.


[1] S. Rizzo, G. A. Stella, La casta. Così i politici sono diventati intoccabili, Rizzoli, Milano 2007.

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