Nadia Urbinati

Nadia Urbinati

insegna Teoria politica alla Columbia University di New York.

Lo spazio europeo di una democrazia senza scorciatoie

di Nadia Urbinati

In pochi anni l’umanità si è trovata di fronte a eventi carichi di segnali contrastanti, indicativi di trasformazioni negli equilibri sociali e istituzionali degli Stati democratici, nelle relazioni internazionali e nella cultura e mentalità politiche. Non si può non cominciare dalla crisi finanziaria del 2008, che oggi sembra un reperto storico ma che ha avuto implicazioni nefaste tutt’altro che residuali e passate. Ha impresso un’impennata sorprendente alla crescita della diseguaglianza che non è mai più stata riassorbita dalle società democratiche; ha esaltato il potere di organismi opachi; ha accellerato la formazione di monopoli, i veri vincitori nella competizione globale.

Il campo ideologico della sinistra

In questo contributo vorrei cercare di delineare le coordinate del campo ideologico della sinistra nell’età del declino dell’ordine sociale e politico che ha accompagnato l’edificazione della democrazia costituzionale nel secondo dopoguerra e il protagonismo della sinistra. Per comodità di sintesi, denoto quell’ordine come “democrazia sociale”. Questa ha prodotto stabilità dinamica fino a quando è riuscita a tenere insieme l’eguaglianza sostanziale e l’eguaglianza politica, giustizia sociale e libertà. La sinistra del dopoguerra ha avuto centralità e consenso fino a quando è riuscita a imporre al regime economico proprietario di tollerare una relazione funzionale tra le due eguaglianze. L’esito è stato la promozione di un benessere diffuso e l’effettiva partecipazione dei cittadini alla vita politica.

 

L’invidia da passione mobilitante a detonatore di rivolta

Vincitori e vinti sono categorie portanti della storia dell’umanità, che potrebbe essere scandita secondo i mezzi e le forme delle lotte e delle competizioni che hanno prodotto vincitori e vinti. La civiltà liberale alla quale apparteniamo produce e riproduce vincitori e vinti sul campo di battaglia del mercato, per mezzo del denaro e con l’ambito traguardo di una distribuzione dei beni soddisfacente (dove la soddisfazione è mutevole in ragione del mutamento dei bisogni). Nella sua ricca e suggestiva ricognizione dell’ordine liberale mondiale nel quale annaspiamo oggi, Salvatore Biasco suggerisce di riprendere in mano la categoria marxiana della “contraddizione” che si sorregge su un impianto architettonico fatto di fondamenta e sovrapposizioni.

Democrazia oltre la divisione destra/sinistra

Molto è stato detto e scritto sull’esito delle elezioni del 4 marzo scorso, una sconfessione senza appello dei piani di chi aveva voluto questa legge elettorale. Quella che è conosciuta come Rosatellum è stata concepita in vista di due obiettivi: la formazione di una maggioranza certa e, come piano B, una possibile alleanza tra Forza Italia e Partito Democratico, con l’obiettivo nemmeno troppo implicito di mettere nell’angolo il Movimento 5 Stelle, la lista più temuta sia da Silvio Berlusconi che da Matteo Renzi. Temuta non soltanto perché il M5S ha dimostrato di essere in grado di ottenere una progressione di spettacolari risultati, ma anche perché si è rivelato capace di attirare lo scontento proveniente da ogni parte, grazie a una calcolata retorica anti establishment. I timori di Renzi e Berlusconi erano realistici. Le elezioni del 4 marzo sono state un terremoto dal quale entrambi avranno difficoltà a risollevarsi. Se Berlusconi ha perso essenzialmente a destra, con un travaso di voti alla Lega di Matteo Salvini, il partito di Renzi ha perso su entrambi i fronti, cedendo voti a destra e ai pentastellati. Una Caporetto senza all’orizzonte il riscatto eroico di un esercito entusiasta con alla guida un Diaz.

Paura

Le due più importanti decisioni democratiche del 2017 – la Brexit e l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca – sono state dominate dalla retorica della paura: dell’immigrazione nel primo caso, e del declino del benessere senza apparente via d’uscita nel secondo. Una retorica alimentata ad arte dai politici e dagli esperti di comunicazione per conquistare l’audience e rastrellare voti. La paura del terrorismo islamico, e quella più indistinta di essere invasi dai disperati che giungono alle nostre porte, domina l’opinione pubblica e le politiche dei governi nei paesi occidentali. Complici gli effetti di quella che è la più distastrosa e lunga crisi economica dopo la Grande depressione, la paura può essere cattiva consigliera. Come dimenticare le descrizioni manzoniane della folla affamata e inferocita che assaltava i forni o di quella debilitata dalla peste che favoriva il contagio reagendo irrazionalmente alla paura del contagio?

Verso una democrazia cesaristica

La riforma della Costituzione avviata dal Partito Democratico, unita alla nuova legge elettorale, che la completa, rischia di portare l’Italia verso una democrazia di stampo cesaristico. Quale sicurezza può darci un assetto istituzionale privo del contrappeso al potere costituito rappresentato dal bicameralismo, con una diminuita prerogativa del diritto di suffragio e ostaggio del potere del leader, dell’esecutivo e della sua maggioranza?

 

Da iscritti a contribuenti, ovvero l'ideologia e la pratica dell'antipartito

La politica dell’antipartito è diventata nel corso degli ultimi due decenni l’ideologia e la pratica dei partiti e dei movimenti vincenti, il passaporto per entrare di prepotenza nell’opinione mediatica e conquistare il gradimento elettorale. È questa la cornice che occorre tener presente quando si voglia cercare di capire la resistenza radicata nel Parlamento e fuori contro il finanziamento pubblico dei partiti, poiché la forma partito e la sua sussistenza economica sono intimamente connesse. È quindi dall’identità del partito (e dagli effetti della forma antipartito sul partito) che si deve procedere per inquadrare la questione del finanziamento dei partiti.

Quale liberalismo?

La crisi della sinistra e la fortuna dell’ideologia liberalista si riflettono nel trasferimento dell’universalismo dalla società politica alla società civile e nell’attuale situazione di vantaggio della libertà individuale sulla libertà politica. Ma è proprio nel solco di quello che è stato il suo nemico naturale che la sinistra deve cercare un rilancio e provare a vincere la sua battaglia, impostando una lettura del liberalismo diversa da quella egemone, per la quale lo Stato e le leggi costituiscono degli ostacoli al dispiegarsi delle libertà individuali, anche quando essi sono manifestazioni di un sistema democratico. Questa revisione liberista deve essere più attenta alle circostanze, interpretando la libertà come capacitazione degli individui di vivere il tipo di vita a cui danno valore, e dunque come occasione di sviluppo, e considerando le varie libertà non distintamente, ma come un tutto solidale.

Il dopo-elezioni: confrontarsi con i risultati

La nomina a senatore a vita di Monti voluta da Napolitano nel novembre 2011 gettava le premesse per un governo tecnico ritenuto allora indispensabile per evitare all’Italia il calvario della Grecia. Una scelta che non è servita ad avviare la riforma più urgente, quella elettorale. Inoltre il compassato economista si è lasciato vincere dalle emozioni e ha deciso di candidarsi, con la conseguenza di infondere nuovo vigore in Berlusconi, spingendolo a ricandidarsi, e di agevolare il M5S. E gli esiti elettorali hanno dimostrato che i cittadini hanno prestato ascolto alle forti emozioni aizzate da Grillo e Berlusconi, ai populismi di destra e di sinistra. L’unica strada per poter sfruttare la sua risicata maggioranza e così intraprendere le riforme necessarie è che il PD sfugga all’amo della grande coalizione lanciato da Berlusconi e cerchi un dialogo con gli eletti del M5S.

La rinascita della poltica

La crisi della politica nel nostro paese è crisi dei partiti politici. In primo luogo, di quelli che si collocano nella parte ideologica di centrosinistra e rappresentano le idealità democratiche in un senso che è comune a tutti i paesi a democrazia consolidata. È necessario tenere insieme ragioni nazionali e sovrannazionali, poiché la crisi attuale di progettualità politica è l’esito di una costellazione di fattori che sono difficilmente disaggregabili. Se in Italia la crisi della politica democratica è così pronunciata è perché alla crisi di progettualità è corrisposta anche una crisi strutturale e organizzativa, ovvero la scomparsa fisica dei partiti tradizionali della sinistra.