In Brasile Bolsonaro ha perso, dando un dispiacere al nostro vicepresidente Salvini, che già aveva in canna il suo tweet grondante giubilo, e sono entrambe buone notizie. Ma il bolsonarismo, autonomizzatosi da Bolsonaro (così come da noi il berlusconismo lo è da Berlusconi), ha impregnato di sé quasi la metà dell’elettorato, sdoganandone le pulsioni più basse, persino quelle più oscene. Qualcosa di analogo successe in Italia a metà degli anni Novanta, quando lo sgretolamento della DC portò a galla, appunto sdoganandole, le pulsioni più nascoste e reazionarie di parte del suo elettorato – congelate nei cinquant’anni di guerra fredda – che, da maggioranza non più silenziosa, divenne massa di manovra dell’assetto di potere berlusconiano post Tangentopoli. Le conseguenze, lo abbiamo visto, arrivano fino ai giorni nostri con i risultati delle ultime elezioni politiche italiane.
Durante la presidenza di Lula il Brasile, che per decenni si è fregiato del poco invidiabile titolo di società più ingiusta e diseguale del mondo, è riuscito a ottenere straordinari risultati economici e politici. Le misure volte a promuovere una certa redistribuzione del reddito e assicurare inclusione sociale e stabilizzazione democratica hanno prodotto esiti importanti, come significativi sono stati gli sforzi per avviare un fondamentale processo di integrazione con il continente sudamericano, culminato nella nascita dell’Unasur. Se le prossime elezioni confermeranno l’attuale presidente Rousseff, però, occorrerà che essa si discosti dalla politica attendista del suo primo mandato per poter affrontare al meglio la sempre più incalzante agenda emisferica del paese.
A fronte di un solido interesse da parte dell’opinione pubblica italiana nei confronti del subcontinente americano, i legami politici tra il nostro paese e quelli latinoamericani sono stati spesso caratterizzati da confronti sporadici e atteggiamenti ideologizzati. Oggi invece tali rapporti istituzionali dispongono di uno strumento importante, rappresentato dal Comitato consultivo per le Conferenze Italia-America Latina, frutto dell’impegno dell’ultimo governo di centrosinistra e della volontà del governo attuale di proseguire su questa via.
Nella sua audizione presso le commissioni esteri riunite di camera e senato, il ministro degli esteri Massimo D’Alema, riaffermando l’esigenza di valorizzare la dimensione multilaterale della nostra politica estera, ha annoverato tra i nuovi grandi protagonisti mondiali a livello continentale l’Asia e l’America Latina, e a livello dei singoli paesi con in sé un potenziale «subcontinentale», la Cina, l’India e il Brasile. Inoltre, esprimendo l’opinione che la politica estera italiana, nei cinque anni passati, non abbia operato a sufficienza in questa dimensione globale, ha indicato la necessità di lavorare per allargare gli orizzonti della nostra politica estera e consolidare i rapporti con le aree e i paesi citati, anche come risposta a fondamentali interessi economici italiani. Il presidente del consiglio Romano Prodi ha ribadito lo stesso concetto davanti a oltre duecento imprenditori brasiliani convenuti a Roma, ai quali ha annunciato il suo prossimo viaggio in Brasile.