Riccardo Lombardi e la fine del Partito D’azione

Di Tommaso Nencioni Giovedì 26 Ottobre 2017 16:38 Stampa

Sono passati settant’anni da quando si è chiusa, anche formalmente, la vicenda del Partito d’Azione. Fu infatti nel novembre del 1947 che la maggioranza del Pd’A decise di confluire nel PSI allora guidato da Lelio Basso, ma egemonizzato da Pietro Nenni e Rodolfo Morandi. Certo, rispetto al peso militare conquistato nella Resistenza dalle brigate Giustizia e Libertà e a quello intellettuale della stessa GL nell’esilio antifascista, già il risultato delle elezioni per la Costituente aveva rappresentato per gli azionisti un severo ridimensionamento delle proprie ambizioni politiche. Tuttavia i limiti delle forze tradizionali del movimento operaio parevano alla dirigenza del Pd’A ancora irrisolti, per cui l’ipotesi dello scioglimento del partito non si pose all’ordine del giorno fino alla scissione del PSIUP di palazzo Barberini. Fu la divisione del socialismo italiano in due tronconi – quello socialdemocratico guidato da Saragat e quello frontista guidato dal trio Basso/Nenni/Morandi – a portare a definitiva maturazione la crisi azionista. Il percorso che condusse alla confluenza nel PSI non fu né lineare né tanto meno esente da traumi e lacerazioni anche personali. Di questi ondeggiamenti fu pienamente partecipe anche il leader riconosciuto del partito, Riccardo Lombardi. Ma se nel mese di novembre si giunse infine alla confluenza – e all’inserimento dello stesso Lombardi e di Alberto Cianca nella direzione socialista, pur senza diritto di voto – fu proprio grazie alla definitiva inclinazione dell’allora segretario del Pd’A verso l’accordo con l’ala sinistra dello schieramento socialista italiano.


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