Oltre la crisi: un approccio diverso per il settore penale

Di Claudio Castelli Martedì 09 Febbraio 2010 20:04 Stampa
La crisi della giustizia penale non è senza speranza. Una politica di recupero dell’arretrato è fondamentale a fronte di uffici giudicanti ormai in grado di esaurire lo stesso numero di procedimenti sopravvenuti. Nessuna azione è di per sé risolutiva, e occorre operare su diversi piani: risorse adeguate finalizzate a progetti organizzativi, un intervento penale ricondotto a extrema ratio, mirate modifiche processuali, estensione delle pratiche virtuose già in atto.

Illusioni da superare e ricette possibili Il quadro disastrato e senza speranza che viene attribuito alla giustizia italiana è, in larga parte, falso. Come per qualsiasi problema occorre partire dai dati e dalle realtà di fatto e bisogna abbandonare i luoghi comuni sia sul quadro attuale sia sulle ricette per affrontarlo. È chiaro che si sta vivendo una crisi della giustizia, dal punto di vista dei tempi, come qualità e come rapporto con i cittadini, ma le risposte tradizionali si sono sinora dimostrate non risolutive e sarebbe inutile continuare a seguire queste strade. Le risposte più semplici e accreditate fino ad ora hanno puntato sull’aumento delle risorse umane e materiali, da un lato, e proposto la modifica delle regole e norme che disciplinano il settore, dall’altro. Due interventi che, non accompagnati da misure organizzative, sono di per sé deboli e illusori. Sia il mero aumento di risorse (peraltro inevitabile a fronte dei tagli selvaggi degli ultimi anni) senza il suo inserimento in progetti organizzativi sia gli interventi normativi – dispiegatisi negli ultimi anni nei campi ordinamentale e processuale – rischiano di avere effetti incomparabilmente inferiori a quelli sperati.

Per ottenere dei risultati apprezzabili bisogna abbandonare l’illusione che un singolo intervento o un singolo canale di intervento possano essere risolutivi e agire su diversi piani, nessuno dei quali, probabilmente, decisivo di per sé, ma che, se uniti in un progetto organico, possono davvero cambiare radicalmente l’attuale quadro della giustizia penale.

I terreni su cui intervenire sono un adeguamento delle risorse inquadrato nella realizzazione di progetti organizzativi; il controllo e il contenimento della domanda di giustizia penale per garantirne praticabilità ed effettività; alcune modifiche del processo; la valorizzazione e l’estensione delle pratiche virtuose già in atto in molti uffici giudiziari italiani. Quest’ultimo terreno è quello più inconsueto, ma uno dei più preziosi. Alcuni studiosi di organizzazione si sono spinti addirittura a sostenere che la giustizia è il settore pubblico ove sono in atto maggiori fermenti di innovazione, oltre che l’unico piano nazionale di mutamento con il Progetto interregionale/ transnazionale “Diffusione di best practices negli uffici giudiziari italiani”, finanziato dal Fondo sociale europeo, cui partecipano oltre sessanta uffici giudiziari. E, in effetti, già oggi esistono in alcuni uffici giudiziari esperienze di eccellenza a livello europeo, mentre si diffondono a macchia di leopardo sul territorio nazionale e vengono praticati progetti di innovazione.

I numeri

Onde evitare catastrofismi, che fanno apparire ogni intervento inutile, è opportuno partire dai dati. I numeri assoluti delle pendenze e sopravvenienze negli uffici giudiziari penali sono impressionanti, trattandosi di milioni di fatti e di relativi fascicoli. Bisogna andare oltre la superficie per avere un quadro meno drammatico e per verificare alcuni elementi di fondo preziosi al fine di individuare una strada che consenta di trovare delle soluzioni.

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In primo luogo, l’Italia ha una presenza non paragonabile a nessun altro paese d’Europa per quanto concerne la grande criminalità (Tabella 1): il CEPEJ (European Commission for the Efficiency of Justice) parla di criminal law cases (severe criminal offences) da porsi a confronto con i misdemeanour cases (minor offences).

In secondo luogo, il trend ormai consolidato nel settore giudicante penale, che presenta limitate variazioni ogni anno (come si evince dalla Tabella 2), parla di un numero di definizioni che a livello nazionale sta ormai raggiungendo (e a livello locale in molti distretti ha ormai superato) le sopravvenienze per il primo grado, mentre risultano maggiormente in sofferenza le Corti d’appello.

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In terzo luogo, il problema centrale degli uffici giudiziari sia a livello civile sia a livello penale è quello dell’arretrato formatosi, a fronte di uffici che nella loro stragrande maggioranza sono in grado di affrontare e definire le sopravvenienze in tempi ragionevoli (Tabella 3).

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Infine, l’esito dei giudizi e la congrua percentuale di assoluzioni – Tabella 4 – nega ogni luogo comune su appiattimenti dei giudici sui pubblici ministeri. Tra l’altro questi dati riguardano unicamente la fase dibattimentale, ove parte rilevante dei procedimenti, stimabile intorno al 15-20%, riguardano procedimenti con rito direttissimo, conseguenti ad arresti in flagranza di reato.

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Da ciò dovrebbero conseguire due grandi direttrici. In primis, un impegno particolare e complessivo nei confronti della criminalità organizzata, che oggi condiziona intere zone del paese. Questo significa, anzitutto, interventi sociali e preventivi e la necessità di accompagnarli con l’impegno “militare” e giudiziario. In secondo luogo, una politica a termine di “aggressione” dell’arretrato, che progressivamente possa consentire di ridurre e quindi di abbattere i tempi morti che sono attualmente una delle principali cause dell’eccessiva durata dei processi. Occorre darsi l’obiettivo di eliminare l’arretrato in tempi ragionevoli (l’ipotesi contenuta anche in disegni di legge della passata legislatura parlava di tre anni), attraverso diverse soluzioni alternative o cumulabili: aumenti temporanei e riassorbibili dell’organico del personale e dei magistrati, utilizzo ragionato e organico della magistratura onoraria, digitalizzazione dei processi, monitoraggi periodici, responsabilizzazione dei dirigenti degli uffici e coinvolgimento di tutti i protagonisti del processo.

Diritto penale minimo e modifiche in corso dello strumento penale

I tempi e la qualità dei processi che giungono ad un tribunale penale (sia esso ufficio GIP o sezioni dibattimentali) derivano in primo luogo dal numero di procedimenti che pervengono dalla procura della Repubblica, dalla capacità di questo ufficio di esercitare l’azione penale solo quando l’accusa pensa di poter avere un “successo”, dalla utilizzazione ponderata di tutti i canali processuali disponibili valorizzando i vari riti alternativi (dal decreto penale, al giudizio immediato, dalla direttissima al patteggiamento).

Ma al di là della lungimiranza e saggezza della singola procura della Repubblica, comunque vin colata al principio costituizionale di obbligatorietà dell’azione penale, è fondamentale contenere la domanda di giustizia, limitando la penalizzazione dei comportamenti. Ciò si rende necessario sotto due punti di vista. Il primo riguarda la stessa necessità di ridurre davvero la sanzione penale ad extrema ratio per limitare i costi, in termini di civiltà e di rispetto delle persone, che sono insiti nelle inevitabili sofferenze prodotte dalla repressione penale. Il secondo riguarda la domanda penale di giustizia che, per avere risposte adeguate come qualità e tempi, deve essere necessariamente contenuta e controllabile. Oggi siamo lontani anni luce da ciò. Da un lato, prosegue un trend legislativo per cui la sanzione penale è sempre più “sanzione manifesto”, al di là della sua praticabilità ed effettività, e, dall’altro, viene perseguito un formidabile aumento della penalizzazione, quale quello attuato con i vari recenti provvedimenti legislativi in tema di sicurezza.

Il diritto penale minimo non significa lassismo, bensì rappresenta una diversa politica che prende atto del fallimento di una scelta puramente repressiva e panpenalistica e che vuole costruire un modello di contrasto dell’illegalità più efficiente, che punta su diversi canali di cui quello penale è essenziale, ma non esclusivo, né risolutivo. Il disvalore sociale di un comportamento può e deve essere espresso con sanzioni anche diverse da quella penale e da quella detentiva. Le sanzioni amministrative possono essere più afflittive ed efficaci di pene che spesso restano sulla carta. Basti pensare alle diverse violazioni delle norme sulla circolazione, in cui la sanzione più temuta non è la pena detentiva, ma il sequestro e la confisca dell’autovettura. O ancora al felice sistema misto creato in tema di sicurezza sul lavoro, laddove quando venga riscontrata la pericolosità dei macchinari o degli ambienti di lavoro è prevista una sanzione amministrativa per passare alla sanzione penale in caso di mancata regolarizzazione.

Dar vita ad un sistema organico più razionale ed efficace è possibile, e oggi appare dovuto, a fronte della tendenza che in questo momento sembra impressa irresistibilmente al diritto penale: quella di essere sempre più diritto della diseguaglianza con un sistema a due velocità dove per alcuni delitti, selezionati secondo le esigenze del momento e tipici della cosiddetta criminalità di strada, sono previsti l’inasprimento delle sanzioni e percorsi processuali rapidi; per altri delitti, non meno gravi dei primi, spes so di più difficile accertamento come quelli concernenti la pubblica amministrazione e l’economia, è invece contemplato il percorso processuale normale con prescrizioni abbreviate e contrassegnato da formalismi spesso ripetuti e ingiustificati.

Dove intervenire sul processo

Interventi sul processo possono rivelarsi utili, ma a tre condizioni: che siano organici e sistemici; che evitino di adottare scelte che suonino come “vantaggio” per una parte processuale; e che realizzino ex ante un’attenta valutazione di impatto delle nuove norme sul sistema per evitare conseguenze disastrose, alcune volte non previste né volute. Modifiche processuali possono aiutare utenti e operatori a patto che vadano in una direzione di semplificazione e razionalizzazione e non tocchino i principi costituzionali come la dipendenza della polizia giudiziaria dal pubblico ministero, l’obbligatorietà dell’azione penale, la ragionevole durata del processo, come tendono invece a fare alcuni disegni di legge governativi (in particolare, il disegno di legge 1440). Ci si limiterà a enunciare tre campi di intervento che possono risultare preziosi e che non andrebbero a toccare il cuore del processo, ovvero l’assunzione e la valutazione delle prove, laddove occorre comunque mantenere, anche a costo dei tempi, la pienezza del contraddittorio.

Le notifiche Oggi le notifiche costituiscono uno dei motivi più frequenti di rinvio dei processi, in particolare nei processi cumulativi, e nel contempo spesso non assicurano ai partecipanti al processo la reale conoscenza della citazione. La proposta, già avanzata dalla Commissione per la riforma del codice di procedura penale presieduta da Giuseppe Riccio, di assicurare all’imputato una prima notifica “reale” con ricerche accurate e possibilmente nelle mani della persona interessata, per poi effettuare quelle successive unicamente presso il difensore, può essere unita alla previsione contenuta nel recente decreto legge relativo alla digitalizzazione penale prevedendo le notifiche successive a indirizzi di posta elettronica certificata, in modo da esaurire le ricerche e l’impegno per le notifiche solo nella prima fase (che in larga parte coinciderebbe con il deposito degli atti ai sensi dell’articolo 415 bis del codice di procedura penale).

Processo a imputati contumaci e irreperibili Una quota limitata, ma significativa, di procedimenti (stimabile tra il 10 e il 20%) si svolge a carico di persone irreperibili dichiarate o di fatto, di cui una parte neppure a conoscenza dello svolgimento del processo. L’Italia è stata più volte condannata dalla Corte europea per i diritti dell’uomo per i vizi del processo contumaciale e molti di questi processi a carico di “fantasmi”, nel caso in cui successivamente venga reperito l’imputato, dovranno essere rifatti o comunque rimarranno sulla carta con un enorme (e inutile) dispendio di energie. L’ipotesi di sospendere il processo, una volta accertata l’irreperibilità di fatto del soggetto, sarebbe una misura di razionalità con significativi effetti deflattivi.

Le impugnazioni È il punto più delicato in quanto rischia di incidere sui diritti della difesa. Oggi il 25% delle sentenze di primo grado viene impugnato, mentre viene avanzato ricorso in Cassazione della quasi totalità delle sentenze di condanna confermate in appello. Ciò è del tutto normale perché, a fronte di termini prescrizionali sufficientemente brevi, è interesse del tutto legittimo della difesa adottare tattiche dilatorie a favore del proprio assistito. D’altro canto, si scontano alcuni difetti sistemici: un appello con cognizione piena anche per i processi svoltisi in dibattimento laddove la prova si è formata secondo i principi dell’oralità e del contraddittorio, una possibilità di ricorso in Cassazione talmente ampia da aver trasformato la Suprema Corte in un vero e proprio “sentenzificio” con inevitabile abbassamento della qualità dell’operato. Le impugnazioni vanno riviste organicamente. Le proposte che sin d’ora possono essere avanzate riguardano la sospensione della prescrizione in caso di sentenza di condanna, la funzione rescindente dell’appello nel rito ordinario (cioè rimandando ad un altro primo giudice il processo nel caso in cui l’appello venga accolto), limiti molto più rigidi al ricorso in Cassazione.

Organizzazione, tecnologia, direzione degli uffici

L’adeguata organizzazione degli uffici giudiziari non è la soluzione di tutti i mali, ma è fondamentale. Ciò comporta la necessità di tenere conto di diversi fattori e di agire su diversi fronti.

Il coordinamento tra i diversi uffici e il rapporto con l’avvocatura In primo luogo nessun ufficio può vivere solo, come una monade separata dall’insieme del sistema in cui è inserito. Ciò significa che tutti gli uffici devono rapportarsi tra loro e cogliere l’impatto che le proprie scelte producono a valle e a monte. Essenziali sono poi il rapporto e la collaborazione con l’avvocatura, già sperimentati con successo in molte sedi nel settore civile.

Targatura e monitoraggio dei processi Occorre avere in tempo reale un quadro generale e complessivo dell’andamento dei processi, degli eventuali ritardi, dei rimedi parziali o generali che possono essere adottati, del loro esito.

Apporto delle tecnologie L’utilizzo delle nuove tecnologie può consentire un vero e proprio salto di qualità, ma solo se inserito in progetti organizzativi. La gestione informatizzata di procedimenti seriali, la creazione di archivi delle sentenze che solidifichino l’importanza del precedente e stimolino la qualità, la digitalizzazione degli atti penali sono solo alcune delle realistiche frontiere già in corso di sperimentazione in diversi uffici giudiziari.

La direzione degli uffici Il ruolo della direzione e della leadership di un ufficio è fondamentale. La direzione sostanziale di un ufficio, ovvero chi lo dirige formalmente, ma anche le diverse figure che istituzionalmente o di fatto presidiano gli uffici sono il vero e proprio centro motore della gestione e del cambiamento. Le modifiche apportate nell’ordinamento giudiziario al ruolo delle figure direttive e semidirettive degli uffici giudiziari e l’apporto dei dirigenti amministrativi in un’originale forma di dirigenza integrata possono dare un formidabile apporto al cambiamento della giustizia. Per i magistrati si sono avute la valorizzazione del dato attitudinale e la temporaneità dell’incarico che comporta l’obbligo di rendere conto di quanto si è fatto. Per i dirigenti amministrativi l’attribuzione di competenze gestionali specifiche. Già oggi è possibile avere e formare un quadro dirigenziale serio e vincente. Ciò fa apparire superata l’ipotesi, più volte avanzata nel passato, di avvalersi di manager esterni (che sconterebbero l’ignoranza di un contesto del tutto peculiare).

Il rapporto con le comunità locali La costruzione di un rapporto con la comunità locale, ovvero non solo con gli enti locali ma con tutte le espressioni della cittadinanza è fondamentale. Ciò per far capire l’attività che viene svolta, i suoi risultati, i problemi, gli obiettivi, il bilancio sociale e per rendere comprensibile un’attività giudiziaria che è inevitabilmente specialistica e densa di tecnica, ma che non può di per se stessa divenire incomprensibile e lontana. Questo comporta anche una politica dell’accoglienza nei palazzi di giustizia che sia dotato di strutture in grado di fornire informazioni sui diritti tutelabili e sulle diverse modalità di tutela, sullo stato dei procedimenti, sui tempi della singola udienza, come dell’intero processo.

Già oggi, tra errori e momentanee ritirate, molto è stato fatto, e il quadro che si propone è di particolare interesse e potrebbe avere grandi potenzialità, sempre che modifiche legislative deteriori e tagli sanguinosi non stronchino queste possibilità. La migliore dimostrazione si è avuta nelle concrete realizzazioni effettuate in alcuni uffici in cui si è verificato come l’efficienza, la celerità, l’attenzione per gli utenti possano diventare realtà partendo da investimenti limitati, sia a livello economico sia di risorse umane.

Prime esperienze di digitalizzazione degli atti penali sono state avviate (Genova, Modena), alcuni importanti processi sono già gestiti in modo totalmente informatico (ThyssenKrupp a Torino e Parmalat a Parma), in alcune sedi sono stati costituiti uffici di relazioni con il pubblico (Genova). Significativi ed emblematici sono i risultati in termini di tempi medi conseguiti in un grande tribunale quale quello di Milano grazie a misure organizzative e alla collaborazione dei diversi soggetti interessati: dai rispettivamente 620 e 658 giorni per i giudizi collegiali e monocratici intercorrenti tra richiesta di rinvio a giudizio e sentenza di primo grado nel 2005 si è passati ai 310 e 336 giorni nel 2009.

Occorre partire dalle esperienze concrete per giungere ad una loro diffusione e per una virtuosa “contaminazione” degli uffici giudiziari.

Il sogno di uffici giudiziari funzionanti e funzionali, qualitativamente attrezzati e in grado di dare una risposta in tempi ragionevoli ai cittadini è reale.