Economia rinnovabile: energia per la crescita

Di Alessandro Marangoni Giovedì 09 Settembre 2010 16:37 Stampa

L’industria delle rinnovabili, in un contesto di crisi economica globale, vive una fase di forte dinamismo, sia in termini di investimenti privati che di politiche pubbliche. Il bilancio costi-benefici al 2020 in Italia è positivo per 24-27 miliardi di euro. Il comparto può essere un’alternativa per la crescita del paese, ma è necessaria una politica industriale chiara e di ampio respiro.

 

 

 

Il settore delle fonti di energia rinnovabile (FER) sta vivendo una crescita molto forte diventando, in vari paesi, il comparto verso il quale s’indirizza larga parte degli investimenti dell’industria energetica. In Europa, nel settore elettrico, gli investimenti in rinnovabili hanno superato quelli nelle fonti tradizionali, costituendo nel 2009 oltre il 60% della nuova capacità installata.
I motivi principali di tale sviluppo risiedono nella necessità di ridurre i consumi di combustibili fossili, di diversificare le risorse energetiche e di diminuire la dipendenza da paesi terzi per contrastare i rischi geopolitici degli approvvigionamenti energetici. Altro fondamentale fattore è lo scenario ambientale e climatico globale, contraddistinto da politiche di contenimento delle emissioni sempre più stringenti. Tutti i paesi entrano in questo scenario: dagli Stati Uniti, spinti dalle politiche promosse dall’Amministrazione Obama, all’Europa protesa verso gli obiettivi della direttiva 20-20-20 e finora “leader morale” delle strategie sulle emissioni, alla Cina e all’India, che devono ripensare le proprie politiche di sviluppo economico accelerato ma foriere di un impatto ambientale sempre meno sostenibile.
Il settore sta dunque mostrando in tutto il mondo tassi di crescita molto elevati ed è ormai considerato una delle aree più attraenti della cosiddetta green economy. I principali gruppi energetici ed elettrici mondiali stanno investendo risorse crescenti nel campo delle FER, che attira sempre più anche l’interesse degli investitori e dei mercati finanziari.
L’Italia è oggi uno dei paesi europei con la maggior crescita delle FER e le 389 operazioni (investimenti in nuovi impianti e attività di finanza straordinaria) rilevate nel biennio 2008-2009 dall’Irex Annual Report di Althesys ne sono una dimostrazione evidente. Gli investimenti in impianti sono stimati in circa 6,5 miliardi di euro, pari a 4.127 MW.[1] Il 48% delle operazioni mappate rappresenta un nuovo impianto o progetto, il 33% è dato da operazioni di crescita esterna (quali ad esempio, acquisizioni, joint venture, quotazioni in Borsa, accordi di collaborazione) e il 15% è costituito da accordi di fornitura. Larga parte delle operazioni sono state condotte sul territorio nazionale, mentre quelle all’estero sono state realizzate soprattutto dai grandi players nazionali. Lo sviluppo di nuovi impianti ha riguardato in maniera differente le varie tecnologie, privilegiando innanzitutto l’eolico che, con 69 operazioni per un totale di 3.111 MW installati dalle imprese italiane in Italia e all’estero, risulta di gran lunga la tecnologia prevalente. Anche in termini di megawatt realizzati, o in via di sviluppo, il settore è il primo con circa il 75% del totale. La relativa maturità della tecnologia e la disponibilità di siti nel Centro-Sud Italia ne hanno favorito la crescita.
Questa straordinaria crescita è sostenibile? E quale impatto potrà avere sul nostro sistema economico nel medio termine? Lo sviluppo delle energie rinnovabili può rappresentare davvero un elemento per contrastare la crisi economica e sostenere lo sviluppo del paese, oltre a soddisfare gli obiettivi ambientali?
Posta la necessità di raggiungere gli obiettivi della direttiva europea 20-20-20 (17% di rinnovabili sul consumo), ci si interroga sugli effetti che ciò potrà avere per l’Italia. Per puntare agli obiettivi della direttiva e recuperare il ritardo rispetto ad altri paesi europei, in Italia è stato introdotto un sistema di incentivazione che, sotto il profilo strettamente finanziario, è tra i più attraenti al mondo e sta trainando il rapido sviluppo del settore.
L’opportunità di investire nelle rinnovabili è dunque al centro del dibattito, che oscilla tra l’esigenza di garantire un adeguato ritorno agli investimenti delle imprese per favorirne lo sviluppo e l’attenzione a limitare gli oneri a carico della finanza pubblica e dei cittadini-consumatori.
Althesys ha sviluppato un’articolata disamina degli effetti delle politiche di sviluppo delle rinnovabili in Italia basata sulla metodologia dell’analisi costi-benefici, al fine di valutarne l’impatto sull’intero sistema paese, quantificando economicamente anche le ricadute sociali e ambientali dello sviluppo delle rinnovabili.[2]

 

Figura 1. Potenza installata in fonti rinnovabili (2008-2009-2020)


Fonte: Althesys, Irex Annual Report 2010.

 

L’analisi, relativa ad un arco temporale che va dal 2008 al 2020, si basa su due ipotetici scenari di sviluppo delle rinnovabili al 2020: l’uno basato sul position paper del governo italiano del 2007 (Business As Usual-BAU), l’altro che ipotizza una crescita più accelerata (Accelerated Deployment Policy-ADP), come evidenziato nella Figura 1.
Si è assunto che la principale voce di spesa, rappresentata dai maggiori costi di generazione delle rinnovabili rispetto al fuel mix tradizionale, sia coperta dagli incentivi. Tale ipotesi presuppone in astratto che il livello di incentivazione corrente sia in linea di massima idoneo a coprire il differenziale di costo rispetto alle fonti tradizionali, assicurando agli operatori una remunerazione adeguata a favorire lo sviluppo delle rinnovabili. La crescita degli impianti FER negli ultimi anni pare confermare questo assunto. In ogni caso, se fosse vera la tesi secondo cui l’attuale sistema di incentivazione avrebbe in passato remunerato più del differenziale di costo, gli incentivi rappresenterebbero comunque l’onere massimo sostenuto dalla collettività. Il costo è stimato tra i 79 e i 102 miliardi di euro.
La seconda voce di spesa comprende i mancati ricavi associati alle criticità della rete. La localizzazione diffusa degli impianti, infatti, unita alle caratteristiche di non programmabilità intrinseche nelle FER, accentua il ruolo chiave della rete di trasmissione elettrica. Le criticità sono principalmente riconducibili all’imprevedibilità dei picchi di immissione in rete e alla difficoltà di sopportare le punte di carico. Ipotizzando una perdita media del 7,5% della produzione, l’onere oscilla tra 1,2 e 1,3 miliardi di euro fino al 2020.
Dal punto di vista dei benefici, la crescita del settore delle FER produce significative ricadute occupazionali anche per il nostro paese, nonostante una parte non modesta delle tecnologie e dei componenti sia di importazione. Gli effetti sono stati valutati prendendo in considerazione la parte di attività prodotta in Italia, riferendosi alle diverse fasi della filiera: la fabbricazione di impianti e componenti, l’assemblaggio e l’installazione, l’operation and maintenance. Gli addetti aggiuntivi al 2020, ossia calcolati escludendo quelli che sarebbero stati comunque impiegati nel caso in cui la produzione fosse stata effettuata attraverso fonti tradizionali, saranno compresi fra 72.000 e 86.000 e i benefici derivanti da questa voce oscillano fra i 27 e i 38 miliardi di euro.
Un’altra voce di beneficio è legata alle emissioni di CO2 evitate grazie al contributo delle rinnovabili al mix produttivo italiano. Si stima che al 2020 saranno evitati tra i 38 e i 42 milioni di tonnellate annue di CO2. Tali mancate emissioni lungo tutta la vita degli impianti porterebbero benefici totali compresi fra i 56 e i 70 miliardi di euro.
La filiera delle rinnovabili genera sviluppo e ricchezza, creando ricadute economiche e indotto in una molteplicità di comparti. Il beneficio prodotto dalle imprese operanti in queste industrie è stimato in 16‐17 miliardi di euro.
Un ulteriore beneficio associato all’impiego delle rinnovabili è legato al ruolo che esse ricoprono nelle strategie di diversificazione del mix di vettori energetici. Per alcuni paesi questo elemento costituisce addirittura un pilastro delle politiche di indipendenza energetica dall’estero, con conseguenti implicazioni geopolitiche oltre che economiche. Il ricorso alle FER non solo riduce la quantità di combustibili importati, e quindi contribuisce positivamente alla bilancia commerciale del paese, ma favorisce anche la riduzione del fuel risk. Proprio per queste ragioni, tale aspetto è tanto rilevante quanto di difficile quantificazione. Il beneficio totale associato a questa voce è compreso fra i 4 e i 5 miliardi di euro.
Il bilancio finale (si veda la Figura 2) mostra un possibile beneficio netto per l’Italia compreso tra 23,7 e 27 miliardi di euro. Tale risultato potrebbe poi essere ancora maggiore con l’accelerazione del progresso tecnologico che è ragionevole aspettarsi per alcune fonti alternative.
Questi calcoli, seppur con i limiti delle stime, mostrano il potenziale che le energie rinnovabili potrebbero avere per cogliere al contempo obiettivi di sostenibilità ambientale ed economica. Ciò appare ancor più rilevante nell’attuale contesto congiunturale, che nell’ultimo biennio ha inciso notevolmente sugli assetti produttivi e occupazionali del nostro paese.

Figura 2. Bilancio costi-benefici delle rinnovabili al 2020.


Fonte: Althesys, Irex Annual Report 2010.

 

In quest’ottica, il settore delle fonti rinnovabili può aiutare il sistema industriale italiano ad innovare per compensare la perdita di competitività nei settori tradizionali. È importante, però, che siano intraprese delle strategie ad hoc, che entrino a pieno titolo a far parte delle politiche economiche nazionali. Focalizzare l’attenzione solo sugli incentivi o sugli obiettivi ambientali internazionali rischia, infatti, di essere riduttivo, essendo necessaria una visione di più ampio respiro, articolata su una pluralità di aspetti.
Si pensi, per esempio, a quali sarebbero stati i trend di crescita delle rinnovabili nel nostro paese se non vi fossero stati alcuni freni, tra i quali la farraginosità degli iter autorizzativi, le incertezze normative e, in alcuni casi, le opposizioni sociali e ambientali.
L’assetto normativo e gli strumenti di incentivazione, come è noto, si sono evoluti nel corso del tempo, portando ad un sistema articolato, caratterizzato da stratificazioni, complessità e non privo di incongruenze e incertezze. Uno degli aspetti più delicati e controversi è rappresentato dalla ripartizione delle competenze in campo energetico tra centro e periferia, cioè tra potestà statale e poteri regionali e locali. La normativa ha favorito il decentramento e si è determinata una certa disomogeneità tra le Regioni, che ha portato di fatto ad una frammentazione a livello nazionale.
In sintesi, a tutt’oggi non vi è una situazione uniforme nel paese e non paiono ancora chiare, univoche e definitive le ripartizioni di competenze tra Stato, Regioni, enti locali. La mancanza di uno schema di riferimento di autorizzazione unica semplificata e di linee guida nazionali ha costituito un grave freno alla crescita del settore.
È evidente che questo panorama non favorisce né l’attività delle imprese, né i soggetti pubblici preposti all’iter autorizzativo. Il risultato è la dilatazione dei tempi per le autorizzazioni, l’aumento dei costi, la minore attrattività dei nostri territori per gli investimenti rispetto ad altri paesi, nonostante le favorevoli condizioni ambientali e gli elevati livelli di incentivazione. In conclusione tutto ciò si è tradotto in un tasso di crescita inferiore a quello potenziale. L’esperienza degli ultimi anni, infatti, evidenzia che lo sviluppo delle rinnovabili non può prescindere da un iter semplice e chiaro, fondato su direttive uniche nazionali che garantiscano norme e procedure univoche. Ciò sia a tutela degli operatori industriali che del territorio.
Nel quadro del sistema di regole si inserisce anche un’adeguata e lungimirante pianificazione territoriale. Nonostante l’impatto ambientale più limitato degli impianti da fonti rinnovabili rispetto a quelli per le fonti tradizionali, vi sono difficoltà nell’individuazione di siti tecnicamente idonei e contemporaneamente esenti da vincoli ambientali e paesaggistici. In una logica complessiva di politica industriale per le rinnovabili, si potrebbero anche definire nuovi modelli operativi per la valorizzazione delle risorse territoriali disponibili, mantenendo sempre un equilibrio tra esigenza di una strategia nazionale e rispetto del funzionamento del mercato.
Un elemento chiave per lo sviluppo delle rinnovabili è dato, come detto, dai programmi di sostegno volti a rendere profittevoli gli investimenti. La questione di quale sia il livello adeguato degli incentivi è cruciale ed è da tempo al centro di un dibattito politico ed economico vivace, che punta alla ricerca di un equilibrio tra sostenibilità di sistema e convenienza aziendale. La logica di fondo dei sussidi prevede la loro naturale discesa con il maturare del progresso tecnologico, che riduce il differenziale di produttività e di costo.
L’adeguamento degli incentivi alle performance nel tempo e nello spazio degli impianti non è tuttavia semplice. Le difficoltà sono sia di natura politica, sia di natura tecnica. La modulazione degli incentivi deve riflettere l’evoluzione tecnologica in modo da non creare distorsioni sul mercato o eccessivi oneri per i contribuenti, ma al contempo deve favorire il progresso tecnologico, il miglioramento delle performances degli impianti e sostenere la crescita delle energie rinnovabili.
L’esperienza della discussione sulla revisione del Conto energia mostra come la lentezza del processo decisionale e le conseguenti incertezze non favoriscano gli investimenti delle imprese.
La possibilità di concretizzare il potenziale di sviluppo che le FER possono portare al paese richiede, quindi, una politica industriale per le rinnovabili chiara, di ampio respiro e con un indirizzo univoco e di medio termine. È questo quello che ancora manca all’Italia. Sembra infatti paradossale che, quasi contemporaneamente alla presentazione del nuovo Piano di azione italiano per lo sviluppo delle FER (che pone obiettivi ancora più ambiziosi di quelli del 2007), vi siano provvedimenti di segno completamente opposto come la revisione del meccanismo di ritiro dei Certificati verdi da parte del GSE.
In conclusione, le fonti rinnovabili sono una importante opportunità per creare valore per il paese, favorendone l’uscita dalla crisi economica, ma ciò richiede un chiaro indirizzo di politica energetica e industriale affinché l’energia sia veramente un’alternativa per la crescita.



[1] La mappatura analitica degli investimenti considera tutte le operazioni eseguite nel paese e quelle delle imprese italiane all’estero di dimensione superiore a 0,9 MW di potenza. Il perimetro di indagine ha compreso le aziende elettriche e le utilities italiane o, comunque, operatori che realizzano impianti di taglia industriale.

[2] Il calcolo è stato improntato a criteri di prudenza, tendendo a sottostimare le voci di beneficio e a sovrastimare quelle di costo. Riguardo alla metodologia, tra gli altri, si veda D. Pearce, G. Atkinson, S. Mourato, Cost-Benefit Analysis and the Environment: Recent Developments, OECD, Parigi 2006.