L'identità del socialismo europeo

Di Giuliano Amato e Anthony Giddens Venerdì 01 Febbraio 2002 02:00 Stampa

Quali sono le idealità di fondo del riformismo? Su quali basi esso si misura con le nuove dimensioni sovranazionali e con il nuovo profilo della destra? Intorno a queste domande si è svolta a Londra, con la collaborazione del think tank britannico Policy Network, una conversazione tra Giuliano Amato e Anthony Giddens. Un dialogo sui temi qualificanti del socialismo europeo, e sui modi dell’innovazione nelle diverse culture nazionali del riformismo.

 

Una discussione tra Giuliano Amato e Anthony Giddens 

 

Quali sono le idealità di fondo del riformismo? Su quali basi esso si misura con le nuove dimensioni sovranazionali e con il nuovo profilo della destra? Intorno a queste domande si è svolta a Londra, con la collaborazione del think tank britannico Policy Network, una conversazione tra Giuliano Amato e Anthony Giddens. Un dialogo sui temi qualificanti del socialismo europeo, e sui modi dell’innovazione nelle diverse culture nazionali del riformismo.

 

Giuliano Amato

Se estraggo il senso del socialismo dal complessivo contesto delle nostre esperienze, non trovo corretto identificarlo con l’anticapitalismo, ed è in questo spirito che ho letto le stesse istanze sollevate dai movimenti critici verso la globalizzazione. Come la nostra migliore tradizione del Novecento ha dimostrato, il socialismo non è la via perabolire il capitalismo, ma per civilizzarlo. Attraverso la lotta alla discriminazione, la redistribuzione del reddito, la creazione delle istituzioni del Welfare, il socialismo ha civilizzato l’economia capitalista, evitando che questa diventasse una macchina distruttiva e unilaterale. Certo, non si è trattato di una caratteristica esclusiva del socialismo. In un certo senso, i movimenti cattolici si sono posti in maniera analoga nei confronti del capitalismo. Si pensi alla vicinanza di posizioni fra le forze di sinistra e certe forze cattoliche che si registra in questo momento in Italia. Una similarità che non è casuale, ma è determinata anche dall’evoluzione della storia. I partiti popolari e quelli socialisti, ci ricorderebbe Alessandro Pizzorno, sono nati nella medesima fase storica per rappresentare gli esclusi. E tuttavia oggi siamo di fronte ad una evoluzione significativa dello stesso concetto di socialismo, di cui il New Labour è tra gli esempi migliori. Perché se un tempo i partiti socialisti rappresentavano classi sociali ben definite, i cambiamenti strutturali della società ci hanno condotto a guardare non più esclusivamente alle tradizionali classi lavoratrici ma a «coloro che lavorano» come soggetto fondamentale della nostra azione politica. E si tratta naturalmente di una differenza sostanziale.

 

Anthony Giddens

Non si può negare che vi sia continuità con le idealità del passato, ma tendo a pensare che il socialismo in quanto dottrina segnata dalla lettura del capitalismo come sistema irrazionale sia sostanzialmente morta. Di fatto, la sinistra riconosce ormai che il mercato è il contesto migliore per giungere ad un’economia efficace e razionale. La questione da sciogliere è piuttosto quella dei modi per conciliare, nella realtà della globalizzazione, un’economia competitiva con una società equa. Ciò che rappresentano i movimenti no-global non è tanto la classica somma delle tesi anticapitaliste, quanto una sorta di fanteria delle organizzazioni non governative: sono queste organizzazioni, che lavorano in una dimensione globale per giungere a mutamenti significativi dello stato del mondo, ad essere uno dei principali elementi di novità degli ultimi trent’anni. I gruppi anti-capitalisti non sono che le frange di un dissenso molto più radicato, che riflette l’assenza di equilibrio nella società globalizzata fra le tre componenti necessarie per ottenere una società equa: ovvero una società all’interno della quale un’economia di mercato efficiente dovrebbe essere compensata da una società civile profondamente umanizzata, bilanciata a sua volta da un governo responsabile. Muovendo dalla singolarità di ogni contesto storico, sono convinto che alla nostra generazione spetti il dovere di compiere una nuova sintesi tra le tre diverse filosofie a cui faceva riferimento Karl Marx: il conservatorismo, il liberalismo e il socialismo. Una sintesi che permetterebbe alla nuova socialdemocrazia di fare quello che non sembra sia riuscito alla sinistra fino ad oggi: ottenere un solido successo elettorale per andare al governo e, soprattutto, per rimanerci e governare. Una sintesi che inoltre darebbe rappresentanza anche ai valori classici della sinistra: l’inclusione, l’eguaglianza e la ragionevole prosperità per tutti.

 

Giuliano Amato

Credo anch’io che la ricerca di questa sintesi sia il tratto caratteristico di un socialismo che sta cercando di reinventare la propria politica. Allo stesso tempo sono convinto che si debba evitare di cadere in dispute ideologiche che chiedono di scegliere fra libertà ed eguaglianza, poiché il socialismo si propone di adottarle entrambe. Mi reputo un socialista continentale che conosce bene la differenza fra socialismo e comunismo, e la letteratura socialista europea celebra la libertà probabilmente molto più di quella liberale proprio perché i socialisti storicamente dovevano assumere un atteggiamento netto rispetto al comunismo (al quale – più che al socialismo – appartiene il dogma della razionalità della guida pubblica dell’economia contro l’irrazionalità irredimibile del mercato). E credo che l’attenzione che in tutta Europa i socialisti democratici per primi riservano ai temi cruciali del nostro tempo – la formazione delle risorse umane e l’istruzione – lo confermi. Noi perseguiamo la libertà e l’eguaglianza perché è l’individuo il centro delle nostre politiche: l’essere umano come membro potenziale di una grande comunità di uguali. E lo facciamo avendo come punto di riferimento la creazione di una società equa. Ricordo bene quando, durante la mia prima esperienza di presidente del Consiglio, mi trovai di fronte alla necessità di aumentare le tasse. Alcuni dei miei consiglieri spingevano perché vi fosse un aumento generalizzato delle imposte sul reddito, in modo da raccogliere il più possibile dalle fasce a reddito medio-basso della popolazione. E io pensai che una cosa del genere poteva essere chiesta alla signora Thatcher, non a me. Perché il mio istinto di socialista era di rendere comunque accettabile in termini sociali quello che era una inevitabile manovra correttiva.

 

Anthony Giddens

La nostra riflessione deve tenere conto anche dei rapporti con i partiti democratici cristiani, perché in passato la collaborazione tra questi e i socialdemocratici si è estesa a numerose questioni ed è stata in molti paesi la base per la creazione del Welfare. Certo, le trasformazioni degli scenari politici hanno portato a un processo di ricostruzione sia della sinistra sia della destra, con la formazione da quella parte di soggetti inediti (Aznar per esempio) che in sostanza rappresentano un nuovo centro-destra. E tuttavia, non escluderei che vi siano ancora margini per la collaborazione con le forze cattoliche. Le destre in Europa hanno saputo abilmente coalizzare consensi intorno a temi di forte impatto come l’immigrazione o la criminalità. Eppure, ciò non basta per nascondere le profonde divisioni che esistono tra le sue varie componenti. Il risultato è, come succede in Italia, che le forze conservatrici sono instabili e frammentate e soprattutto non hanno alla loro base quel rinnovamento ideologico che invece caratterizza la sinistra. La questione cruciale per i socialdemocratici diventa dunque, nel perdurare di una destra che continua ad essere disomogenea, riuscire a tenere sotto controllo le divisioni al proprio interno, prima di tutte quella più macroscopica fra la sinistra nostalgica e la sinistra riformista. La peculiarità storica italiana rispetto al resto dell’Europa deriva sia dalla forte influenza della cultura cattolica sulla destra, sia dalla divisione classica fra comunismo e socialismo. Ma anche la Gran Bretagna ricorda per certi aspetti la situazione italiana. Basta parlare con alcuni esponenti del Labour per rendersi conto che anche da noi esiste una sorta di ritardo culturale all’interno della sinistra. Non si tratta di essere per forza «contro qualcosa», ma piuttosto di continuare a far uso di vecchi schemi mentali, rifiutando di accettare che si siano create delle alternative. Di fatto si tende ancora a parlare di globalizzazione fra virgolette, come ad indicare che dagli anni Sessanta il mondo non è in realtà cambiato molto.

 

Giuliano Amato

Questo è un punto fondamentale. Perché essere «contro qualcosa» è un tratto caratteristico della cultura delle nuove generazioni. Tuttavia il nodo centrale della questione non è il fatto che i giovani riconoscano le ingiustizie di un mondo globalizzato e protestino contro le nuove ingiustizie. Ciò che conta, e che trovo stravagante, è piuttosto il fatto che dietro ai giovani che protestano ci siano leader adulti che predicano l’antagonismo come politica, e che quegli stessi leader non siano in grado di offrire soluzioni ai problemi per cui si manifesta ma finiscano per essere, anche loro, solo voci della protesta. Ma forse questo dipende dalla relazione fra la struttura ancora antiquata di alcuni partiti e le nuove politiche con cui devono misurarsi. E probabilmente in Gran Bretagna, proprio per la presenza di un leader giovane, non è così.

 

Anthony Giddens

Certo, in Gran Bretagna la marginalizzazione dei conservatori dipende in larga misura dall’evoluzione delle politiche che hanno trasformato l’Old Labour e che hanno permesso al New Labour di ottenere un consenso molto più ampio tra gli elettori e soprattutto di consolidarlo. Oggi sembra difficile immaginare che i conservatori tornino ad essere il naturale partito di governo, come lo sono stati per cinquant’anni. Senza dubbio il successo delle politiche redistributive laburiste è stato determinante. Il trasferimento di risorse alle classi più povere, per esempio, ha di fatto migliorato le condizioni di molte famiglie e in particolare degli anziani. Credo tuttavia che ora sia necessaria una seconda fase, nella quale vengano chiariti i modi in cui si intende migliorare le istituzioni e i servizi pubblici rifiutando comunque la vecchia equazione secondo la quale essi sono materia esclusiva di Stato. Negli anni scorsi siamo passati dal controllo statale alla privatizzazione e oggi stiamo cercando di trovare la sintesi ottimale per gestire nel modo migliore l’istruzione, la sanità e i trasporti. Non esiste un’alternativa assoluta tra la privatizzazione integrale e il ritorno al controllo statale. Perché se l’obiettivo è fornire servizi pubblici efficienti, si deve trovare la strada che permetta di conservare una parziale discrezionalità decisionale ai cittadini, coniugandola allo stesso tempo con l’esercizio dei poteri statali. Ma bisogna essere consapevoli che non esistono soluzioni magiche.

 

Giuliano Amato

Né possiamo aspettarci che soluzioni magiche ai casi nazionali arrivino dall’Europa. E tuttavia l’Europa ci è ormai indispensabile. Poiché oggi siamo costretti per necessità, e non per scelta ideologica, ad affidarci a sistemi di governo sovranazionale che rappresentano l’unica strada da percorrere in un mondo globalizzato per tentare di dare soluzione a quelle molteplici dimensioni dell’agire umano che non trovano più sufficiente spazio all’interno delle giurisdizioni nazionali. Una delle conseguenze di un mondo senza frontiere è proprio il netto ridimensionamento del potere degli Stati nazionali, che preoccupa e spaventa una parte dei nostri cittadini. Noi europei dobbiamo considerarci fortunati perché la nostra storia ci affida un’architettura sovranazionale che ci fornisce gli strumenti per andare avanti, e questo è divenuto ancora più chiaro dopo l’11 settembre. Certo, dobbiamo prima ricomporre il divario fra la percezione comune della missione affidata all’Europa e quella dei complessi macchinari che ne permettono concretamente lo svolgimento. Per questo ho fiducia nel lavoro della Convenzione per la riforma dell’Unione. Partendo dalla consapevolezza che quello che più conta sono le aspettative che dell’Europa ha l’opinione pubblica, occorre superare la disputa ideologica sul «traguardo finale» della costruzione europea. Il punto fondamentale è il «processo» della costruzione europea, e tale processo deve continuare in avanti ponendo al suo centro i bisogni reali dei cittadini.

 

Anthony Giddens

Sono d’accordo: quello che conta è veramente il «processo», e sarebbe un errore concentrarsi troppo sui meccanismi tecnici della costruzione europea. Il punto di partenza sono i cittadini europei, e l’importante è che l’Europa riesca a incontrare i loro bisogni e le loro aspettative per il futuro con un progetto che tenga conto del diverso contesto internazionale che abbiamo dinanzi a noi dalla fine della guerra fredda e delle diverse finalità che questo contesto necessita rispetto agli anni Cinquanta. La posizione della Gran Bretagna nei confronti dell’Europa e dell’Euro dipende, di fatto, dalla percezione che l’opinione pubblica ha delle conseguenze economiche e sociali dell’adesione alla moneta unica. Gli ultimi sondaggi dimostrano che la maggioranza della popolazione può essere definita «eurorealista»: ovvero non incondizionatamente filoeuropea né favorevole alla moneta unica, ma consapevole che la Gran Bretagna deve mettersi al passo con l’Europa. E ciò dimostra un evidente cambiamento di tendenza nel paese. Tuttavia un referendum sull’adesione all’Euro avrebbe un significato politico decisivo e il Labour non può permettersi di perderlo. 

 

Giuliano Amato La Dichiarazione di Laeken auspica che l’Europa assuma un ruolo di attore globale. Questo ci pone di fronte alla questione dei rapporti con gli Stati Uniti: l’altro centro mondiale di ricchezza e potere di cui siamo storicamente alleati ma dal quale siamo anche molto diversi. Gli europei hanno in diversa misura sacrificato parte della loro sovranità nazionale per il bene comune. Gli Stati Uniti vivono ancora come irrinunciabile potere esclusivo la sovranità nazionale, e tendono a concepire soluzioni di politica internazionale segnate dall’unilateralismo e dall’uso delle risorse militari. Ma questo, se rappresenta un problema nei rapporti con l’Europa, offre anche una straordinaria opportunità per completarsi a vicenda. D’altra parte, mi è stato insegnato che quando due persone condividono interamente la stessa idea, una delle due è superflua.

 

Anthony Giddens

Aggiungerei però che l’unilateralismo che si attribuisce all’amministrazione Bush non è da considerare la manifestazione di una linea politica univoca, anche se espressione della corrente maggioritaria di governo. Da parte nostra, sono convinto della necessità di una difesa comune europea che permetta di intervenire nei conflitti globali. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che l’Europa non è uno Stato, e che le sue politiche passeranno sempre attraverso le istituzioni comunitarie che danno forma alla genuina collaborazione tra le nazioni. Dopo gli attentati terroristici di settembre l’Europa è già in grado di delineare un approccio distinto alla globalizzazione e dunque alla convivenza fra le diverse culture. Il centrosinistra dovrebbe dichiararsi a favore della globalizzazione sulla base però di un significato più esteso del concetto. Penso all’assoluta necessità di affrontare i problemi posti dalla globalizzazione dell’economia, davanti ai quali la sinistra non deve battere in ritirata ma ricercare soluzioni che traducano a livello internazionale quei valori di inclusione e indipendenza che applica già a livello nazionale. L’11 settembre non va considerato la fine di un processo, ma un punto di partenza che ci rimanda all’entità dei mutamenti degli equilibri mondiali e delle forme di convivenza fra nazioni. La relazione fra la violenza e il nuovo ordine globale richiede una diversa concezione della sicurezza di fronte all’emergere di una combinazione inedita fra guerra, terrorismo e internazionalizzazione dei conflitti. È dunque compito del centro-sinistra affermare in seno alla comunità mondiale quei valori cruciali su cui fonda già le sue politiche nazionali.

 

Giuliano Amato

Quei valori che fanno anche da eccellente antidoto contro le eccessive limitazioni delle libertà civili determinate dal bisogno di sicurezza. Anche in questo sta la differenza rispetto al centrodestra, dove è forte un estremismo unilaterale che non riesce a separare né a distinguere i vari problemi sul tappeto. L’atteggiamento proprio del centro-sinistra tende invece alla distinzione, e per questo fin dall’inizio di questa crisi internazionale abbiamo sottolineato la differenza fra terrorismo e Islam. Noi sappiamo distinguere, e ciò è essenziale per difendere i valori della coesistenza nel mondo. Lo stesso atteggiamento vale per l’uso della forza militare. Che anche quando viene reputata un passo necessario, è sempre uno strumento che in primo luogo deve essere strettamente ancorato al principio di proporzionalità; e poi non può prescindere dall’azione della politica che deve ricostruire sulle rovine la comunità distrutta, ritessere le relazioni umane e instaurare o restaurare la democrazia. E anche questo è il nostro modo di distinguere, di isolare il nemico e di coinvolgere tutti gli altri in un tessuto rispettoso delle diversità e, insieme, dei fondamentali valori comuni.