Solo in missioni di pace… A proposito di Bettino Craxi e della politica estera italiana

Di Giorgio Napolitano Martedì 01 Aprile 2003 02:00 Stampa

L’impostazione che Craxi diede ai temi della politica internazionale (nell’aprire – da neo-presidente del Consiglio – il dibattito sulla fiducia il 10 agosto 1983) appare oggi abbastanza significativa nelle sue caratterizzazioni e nelle sue priorità, e, si può ben dire, equilibrata e aperta. L’accento fu posto, in via prioritaria, sulle questioni del sottosviluppo e delle disuguaglianze nel mondo, anche in relazione alle difficoltà della pace e ai conflitti locali (l’acutezza dei quali era peraltro correttamente rinviata alla «contesa mondiale», cioè alla contrapposizione e alla sfida tra le due superpotenze).

 

L’impostazione che Craxi diede ai temi della politica internazionale (nell’aprire – da neo-presidente del Consiglio – il dibattito sulla fiducia il 10 agosto 1983) appare oggi abbastanza significativa nelle sue caratterizzazioni e nelle sue priorità, e, si può ben dire, equilibrata e aperta. L’accento fu posto, in via prioritaria, sulle questioni del sottosviluppo e delle disuguaglianze nel mondo, anche in relazione alle difficoltà della pace e ai conflitti locali (l’acutezza dei quali era peraltro correttamente rinviata alla «contesa mondiale», cioè alla contrapposizione e alla sfida tra le due superpotenze). In questa attenzione per le grandi questioni sociali («l’enorme divario» tra il Nord e il Sud è «la grande questione sociale del nostro tempo»), per gli aspetti sociali del quadro mondiale, si rifletteva chiaramente l’impronta che Craxi da socialista, da esponente dell’Internazionale socialista, tendeva a dare alla sua presidenza sul versante internazionale. In tale ottica, ma nello stesso tempo in considerazione di un orientamento da tempo affermatosi nella politica estera italiana, Craxi diede poi forte rilievo, nel suo discorso, all’impegno verso «la regione mediterranea», per la pace nel Medio Oriente – con evidente simpatia per la causa palestinese – e per la cooperazione con «l’insieme dei paesi arabi». Molto nettamente, e non in termini acritici, fu ribadito l’indirizzo europeistico dell’Italia, e insieme Craxi volle riaffermare una linea d’apertura verso l’Est, «anche quando la porta dell’Est appare solo socchiudersi». Infine, sul tema dell’Alleanza atlantica come «perno delle nostre alleanze politico-militari», non mancò l’accenno, non insignificante, a una «concertazione responsabile ed equilibrata tra l’Europa e gli Stati Uniti», contro l’idea di «un blocco soggiogato da una potenza egemone».

Il giudizio di Enrico Berlinguer nel suo intervento alla Camera – «troviamo deludenti e preoccupanti le linee di politica internazionale esposte dal presidente del Consiglio» – risentì certamente di un’avversione pregiudiziale al governo a guida socialista, e non trovò conferma nei fatti dei mesi e degli anni successivi. In effetti, l’opposizione del PCI fu influenzata oltre misura dalla preoccupazione per gli euromissili e dalla vicinanza ai movimenti pacifisti impegnati nel no, comunque, alla loro installazione in Italia. L’apprezzamento per il metodo del negoziato, ribadito alla Camera da Craxi, venne da Berlinguer polemicamente «retrodatato» e limitato alle dichiarazioni da lui rese in precedenza al congresso dell’Internazionale socialista di Albufeira, come se fossero state contraddette dal discorso di presentazione del governo alla Camera. Ma in realtà, prima delle decisioni sulla costruzione della base di Comiso e quindi sulla installazione dei missili, sarebbero venute da Craxi posizioni e proposte di notevole indipendenza e prudenza («clausola dissolvente», «opzione zero»), e nel dibattito del novembre 1983 alla Camera si sarebbe stabilito tra Berlinguer e Craxi un momento di effettivo dialogo e reciproco ascolto.

Lo scontro, che comunque ci fu, sulla questione degli euromissili, e che rispecchiò e nello stesso tempo acuì un clima di tensione, personale e politica, tra il PCI di Berlinguer e il PSI di Craxi, non cancellò tuttavia la tendenza di fondo, in atto dagli anni Settanta, a una fondamentale condivisione, da parte degli schieramenti di maggioranza e di opposizione, delle scelte relative alla collocazione internazionale dell’Italia. Quella tendenza si era manifestata già attraverso la presa di posizione di Berlinguer sull’«ombrello» rappresentato per lo stesso PCI dalla NATO, attraverso lo sviluppo dell’impegno europeistico del PCI, fino alle «storiche» mozioni parlamentari bipartisan dell’autunno 1977, ed ebbe, naturalmente, tra le sue principali componenti il crescente distacco del PCI dalle posizioni dell’URSS. Nel confronto sulla questione degli euromissili, Berlinguer sfuggì – nonostante un certo cedimento, come ho detto, alle pressioni pacifiste, piuttosto unilaterali – al rischio di una regressione nel rapporto con le posizioni sovietiche, mantenendo una linea di notevole equilibrio e misura. Ma fu in definitiva perduta l’occasione di un sostanziale riavvicinamento tra PCI e PSI sul terreno della politica internazionale; nonostante che gli indirizzi enunciati da Craxi non solo nel discorso dell’agosto 1983 ma ancor più in quello del novembre dello stesso anno, rendessero obiettivamente possibile quell’avvicinamento.

 

Bettino Craxi

Dalla Dichiarazione programmatica alla Camera dei Deputati, 10 agosto 1983

Il primo dovere del governo sarà quello di assicurare l’attiva presenza e lo sviluppo del ruolo pacifico del nostro paese. La pace al disopra di ogni cosa, la sicurezza come presidio della pace e dell’indipendenza dell’Italia, condizione e garanzia del suo libero avvenire. La pace che viviamo è tormentata da più parti. Lo è innanzitutto sul fronte del sottosviluppo, della miseria miserabile, della mortalità, in cui continuano a sprofondare grandi aree del mondo. Non c’è pace dove si muore di fame, di malattie, di stenti. La grande questione della eguaglianza, che un secolo di lotte politiche e sociali ha fortemente ridotto nella sua drammaticità e per tanti aspetti risolto nelle grandi e piccole nazioni del mondo industrializzato, campeggia invece sulla scena del mondo nell’enorme divario Nord-Sud come la grande questione sociale del nostro tempo. L’Italia è scesa in campo in questi anni, predisponendo misure d’aiuto e anche più cospicue risorse, ma il suo impegno non può non essere considerato ancora del tutto iniziale e limitato.

Il governo chiederà al parlamento di potenziare questo sforzo, non sottraendosi al dovere di verificare strumenti, indirizzi ed obiettivi in vista di un efficace sviluppo della politica della cooperazione e dell’aiuto, che deve in primo luogo rivolgersi verso i paesi del continente africano amici dell’Italia. La pace è rotta sul fronte dei conflitti locali che tendono ad aumentare piuttosto che a ridursi. Una parte almeno di questi conflitti non sono che l’avamposto di una contesa mondiale che in tal modo spiega l’enorme difficoltà delle loro soluzioni, il prevalere delle non-soluzioni e sottolinea il carattere esplosivo della loro natura. Nuovi imperialismi e sub-imperialismi agiscono in varie aree del mondo trasformando talvolta una lotta di fazioni, o un conflitto tribale, in nodi nevralgici per l’influenza o la penetrazione in un’intera regione.

Il governo italiano si pronuncerà sempre in favore delle soluzioni politiche, dei negoziati pacifici delle mediazioni internazionali, e si impegnerà solo in missioni di pace. È una linea che si contrappone alle dottrine delle soluzioni militari che, in ogni caso, anche nelle regioni a noi più vicine, non potrebbero vedere impegnata l’Italia. Essa tuttavia prenderà sempre parte contro la legge della forza, la violazione dei diritti dei popoli, le pretese e le imprese di egemonia e di sopraffazione. Ciò vale in primo luogo per la regione mediterranea, dove l’Italia continuerà ad esercitare tutta la sua migliore influenza per ridurre le tensioni e per aiutare la ricerca di soluzioni pacifiche negoziate, rispettose dei diritti dei popoli e delle nazioni. I punti di crisi nel Mediterraneo sono fonte di crescente preoccupazione e costituiranno oggetto della più grande attenzione. Il governo intende sviluppare relazioni amichevoli con tutti i paesi del Mediterraneo, tenendo conto delle difficoltà politiche e generali che hanno in taluni caso frenato lo sviluppo più ampio della cooperazione e dell’intensità delle relazioni e con il proposito di non trascurare ogni occasione positiva di chiarificazione.

La pace nel Medio Oriente, in un contesto di sicurezza, di riconoscimento reciproco e di rispetto dei diritti dello Stato di Israele e del popolo palestinese resta la grande speranza delusa dal corso degli avvenimenti che allontana nel tempo le prospettive che tuttavia non debbono essere abbandonate, mentre in primo piano sta oggi la sorte sfortunata del Libano diviso ed occupato, lacerato da ferite sanguinose, e dove il corpo multinazionale di pace e la presenza militare italiana fanno solo da fragile velo rispetto ai pericoli che incombono sulle popolazioni civili. Un grande sviluppo della cooperazione, degli scambi e dei rapporti amichevoli con l’insieme dei paesi arabi, e particolarmente con le nazioni nordafricane, è possibile, auspicabile, ed anche necessario per un giusto riequilibrio nella politica degli scambi. Un sistema saldo di relazioni amichevoli collega l’Italia in primo luogo con gli Stati Uniti d’America, con i paesi democratici del continente americano, e si estende in Asia soprattutto in direzione del Giappone e della Repubblica Popolare Cinese. Esso costituisce un asse ben definito, suscettibile solo di un miglioramento continuo, della nostra politica estera. L’Europa resta per noi il cuore delle nostre relazioni, dei nostri legami, delle amicizie e degli interessi ed anche il cruccio per l’inadeguatezza delle istituzioni comunitarie, gli squilibri esistenti e quelli temuti nelle politiche comunitarie, l’evidente condizione di crisi che rende difficile una risposta europea nei campi dove più necessario e intenso dovrebbe e dovrà farsi lo sforzo di solidarietà e collaborazione, a partire dal fronte monetario internazionale aggredito dalla prepotenza del dollaro, ai problemi dell’innovazione tecnologica e della ricerca, al fronte sociale della lotta alla disoccupazione. L’Italia difenderà ad un tempo con coerenza e lealtà l’idea dello sviluppo comunitario, le idee della progettualità europea e la necessità di un armonico equilibrio nelle difesa e garanzia dei legittimi interessi nazionali. La porta italiana dell’amicizia e della cooperazione possibile, e degli scambi culturali e personali, rimarrà aperta ad Est anche quando quella dell’Est appare solo socchiusa. Regimi diversi che dichiarano di voler vivere in pace hanno il dovere di coesistere, di rispettarsi, di astenersi dal compiere atti ostili, di ricercare le condizioni migliori per soddisfare l’interesse reciproco. È un insieme di regole alle quali ci atterremo con attenzione, osservando che gli altri le rispettino con un’attenzione non inferiore a quella manifestata da altri governi europei. Il perno delle nostre alleanze politico-militari sta negli obiettivi difensivi e di sicurezza dell’alleanza atlantica, nella solidarietà tra i paesi europei che ne sono membri e gli Stati Uniti, nella concertazione responsabile ed equilibrata tra l’Europa e gli Stati Uniti, in un concorso di responsabilità tra paesi liberi e democratici, che non può essere definito, come viene talvolta fatto in modo del tutto improprio e mistificatorio, come un blocco soggiogato da una potenza egemone.

È nell’ambito delle finalità difensive e di sicurezza proprie dell’alleanza atlantica che è insorto il problema dell’equilibrio missilistico in Europa da cui è derivata la doppia decisione adottata dal parlamento italiano nel 1979. È una delle questioni aperte nel campo della pace e dell’organizzazione della pace nella sicurezza, così come è aperta la questione del livello delle armi convenzionali. Sono questioni che vanno risolte tenendo aperta la via maestra del negoziato. Disarmo e controllo debbono continuare ad essere perseguiti come finalità essenziali: non un disarmo unilaterale, che sarebbe la meno ragionevole e la meno utile delle politiche pacifiche, ma un disarmo su basi di serietà, di concessioni reciproche, di controlli adeguati.

Il governo italiano terrà viva ed operante la concertazione tra i paesi europei direttamente interessati e con gli Stati Uniti su tutte le questioni che interessano il negoziato ginevrino. Esso può decollare sulla base di nuove proposte, e così, ancora oggi, noi ci auguriamo che ciò avvenga. Solo l’intransigenza e le pregiudiziali negative possono condannarlo al fallimento e determinare l’avvio di una pratica realizzazione del programma di ammodernamento dei sistemi occidentali in Europa, già a suo tempo deciso. È un programma che si prevede realizzabile entro il 1988. Il che offre, nell’ipotesi di un primo esito negativo, lo scenario di una possibile ripresa del negoziato anche in condizioni diverse. Ogni iniziativa utile verrà presa ed ogni possibilità non sarà trascurata in un contesto in cui le posizioni sono chiare e tali che tutti possono ben vedere e tutti possono ben giudicare. Il pacifismo dell’organizzazione della pace avrà bisogno di grande pazienza, di grande tenacia e di grande fiducia nelle possibilità di un futuro di pace per tutti e di sicurezza per ciascuno.

 

Chi è Bettino Craxi?

Nato a Milano il 24 febbraio 1934, ricopre responsabilità dirigenti nelle organizzazioni politiche giovanili e studentesche nazionali ed internazionali. A 22 anni è eletto consigliere comunale e sino al 1970 è amministratore del Comune di Milano, come consigliere e come assessore. Eletto deputato al Parlamento nel 1968, ricopre successivamente la carica di presidente dell’Istituto di scienze dell’amministrazione pubblica. È rieletto per sette volte deputato nazionale e per tre volte al Parlamento europeo. Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini gli conferisce nel 1979 l’incarico di formare il governo nazionale. Nuovamente incaricato nel 1983, presiede i governi della Repubblica sino al 1987. È stato Presidente della Comunità economica europea. Nominato nel 1989 rappresentante personale del Segretario generale delle Nazioni Unite per i problemi della pace e dello sviluppo ha svolto questo incarico sino al 1992. Il suo rapporto sul «Debito del Terzo Mondo» è stato approvato dall’Assemblea generale dell’onu. Iscritto al Partito socialista italiano nel 1952, entra a far parte del comitato centrale nel 1957 e successivamente, già membro della Direzione del partito, viene eletto Vicesegretario nazionale nel 1970 e Segretario nazionale nel 1976, incarico in cui viene confermato nei sei congressi successivi sino al 1993. Ha rappresentato i socialisti italiani nell’Unione dei socialisti europei ed ha ricoperto la carica di Vicepresidente dell’Internazionale socialista dal 1978 al 1993. Nelle vesti di Vicepresidente dell’Internazionale socialista e successivamente di rappresentante del Segretario generale dell’onu ha svolto missioni internazionali in Europa, Asia, Africa e America Latina. Travolto dalla traumatica fine del Partito socialista e della prima repubblica, muore in esilio il 19 gennaio del 2000.