Chivambo filho de chefe. Il sogno riformista di Eduardo Mondlane

Di Luca Bussotti Giovedì 01 Settembre 2005 02:00 Stampa

Eduardo Chivambo Mondlane nacque nel 1920 in un piccolo villaggio nel distretto di Manjacaze, provincia di Gaza, nel Sud del Mozambico, da famiglia dal nobile lignaggio. Il padre, che morì quando Eduardo non aveva ancora compiuto due anni, era un régulo (capo, in portoghese chefe) di una parte del popolo Tsonga chiamata Khambane. La madre, rimasta vedova, decise di restare nella propria casa, senza andare a vivere (come da tradizione) presso uno dei cognati, in una condizione di grande povertà. Lo stesso villaggio entrò in decadenza: i pochi giovani che riuscivano a superare i primi anni di esistenza emigravano verso le miniere del Transvaal, in Sudafrica, dove un lavoro massacrante e mal retiribuito era comunque preferibile allo stato servile previsto dallo chibalo (lavoro forzato), secondo le leggi della potenza coloniale, il Portogallo, che, fino al 1975, dominò il Mozambico. Eduardo visse, fino a 11 anni, come pastore di capre e di buoi, aiutando la madre, la nonna ed altre donne del villaggio in tale genere di attività. Il primo stimolo verso l’istruzione venne dalla famiglia: in primo luogo dalla madre, la quale diceva continuamente al giovane figlio, a proposito dei bianchi, che «sono loro che hanno i segreti del potere…

 

«È comparso un nuovo elemento, lo sviluppo dello Stato nazionale indipendente.
Poiché né il sistema di educazione tradizionale, né quello coloniale servono le
necessità di questa nuova entità, è necessario un nuovo punto di partenza. (…)
Possiamo apprendere da altre culture, incluso quella europea, ma non possiamo
innestarla direttamente nella nostra. È per questa ragione che è essenziale avere
una certa comprensione della nostra propria cultura e del nostro passato».

Edoardo Mondlane, The Struggle for Mozambique, Penguin Books, Londra 1969

 

Eduardo Chivambo Mondlane nacque nel 1920 in un piccolo villaggio nel distretto di Manjacaze, provincia di Gaza, nel Sud del Mozambico, da famiglia dal nobile lignaggio. Il padre, che morì quando Eduardo non aveva ancora compiuto due anni, era un régulo (capo, in portoghese chefe) di una parte del popolo Tsonga chiamata Khambane. La madre, rimasta vedova, decise di restare nella propria casa, senza andare a vivere (come da tradizione) presso uno dei cognati, in una condizione di grande povertà. Lo stesso villaggio entrò in decadenza: i pochi giovani che riuscivano a superare i primi anni di esistenza emigravano verso le miniere del Transvaal, in Sudafrica, dove un lavoro massacrante e mal retiribuito era comunque preferibile allo stato servile previsto dallo chibalo (lavoro forzato), secondo le leggi della potenza coloniale, il Portogallo, che, fino al 1975, dominò il Mozambico. Eduardo visse, fino a 11 anni, come pastore di capre e di buoi, aiutando la madre, la nonna ed altre donne del villaggio in tale genere di attività. Il primo stimolo verso l’istruzione venne dalla famiglia: in primo luogo dalla madre, la quale diceva continuamente al giovane figlio, a proposito dei bianchi, che «sono loro che hanno i segreti del potere…Ti devi impossessare di questi segreti», per «restaurare il nostro clan», quasi preveggendo il ruolo che Chivambo, filho de chefe, avrà nella storia del Mozambico; e quindi dal fratello maggiore, un gigantesco minatore e portuale, che gli ricordava di «studiare la lingua dell’uomo bianco, ma senza metterti coi preti, che ci mettono in contrasto coi nostri antepassati». Queste brevissime note biografiche della prima infanzia servono forse per giustificare una delle interpretazioni più diffuse del pensiero e dell’azione politica di Mondlane: che, cioè, «la sua politica di liberazione non gli venne dai libri, né da letture sulla rivoluzione, ma, come nel caso di Samora Machel, dalle sue proprie esperienze e dall’osservazione diretta».1 Una simile ottica rende giustizia soltanto in parte della complessità e delle molteplici influenze del progetto politico di Mondlane, in cui confluiscono diretta esperienza della realtà africana, visione cristiana, principi della democrazia americana, conoscenze sociologiche e dottrina marxista.

La stessa difficile parabola dei suoi studi determinerà la misura degli influssi appena ricordati. Il suo percorso di formazione sarà possibile soprattutto grazie all’essere entrato, ad appena tredici anni, in una scuola della Missione Svizzera (Chiesa Presbiteriana),2 che l’avrebbe portato, anche per l’appoggio dell’amico fraterno Padre André Clerc, prima al completamento del ciclo elementare, a Lourenço Marques (oggi Maputo, capitale del Mozambico), poi alla prosecuzione degli studi presso la Missione Metodista di Cambine (vicino alla città di Inhambane), vista l’impossibilità, per i protestanti, di frequentare le scuole pubbliche secondarie, in base al Concordato tra Portogallo e Chiesa cattolica (1940), infine al completamento della formazione superiore in Sudafrica e, nel 1948, all’iscrizione all’Università, di Johannesburg prima, del Witwatersrand poi, per seguire un corso di scienze sociali. Nel 1949, dopo che l’anno prima il Partito Nazionalista, diretto da Daniel F. Malan, aveva vinto le elezioni ed adottato una politica di aperta e dura apartheid, non gli fu rinnovato il permesso di soggiorno, cosicché dovette lasciare l’università, per entrare (primo mozambicano nella storia) nell’Università di Lisbona, dove incontrò alcuni dei padri delle indipendenze africane, come l’angolano Agostinho Neto, presidente del MPLA, Amilcar Cabral, guineense e presidente del PAIGC e Marcelino dos Santos, mozambicano, segretario delle relazioni eterne della FRELIMO. Le condizioni di controllo, da parte della PIDE (polizia segreta portoghese) erano tali da rendere la vita impossibile, cosicché, appena un anno dopo, Mondlane si trasferì negli Stati Uniti (all’età di 32 anni), dove si laureò e concluse il dottorato in scienze sociali. Lavorò per un anno come ricercatore presso l’Università di Harvard, quindi fu nominato funzionario di ricerca presso il Trusteeship Department delle Nazioni Unite, con missioni nel Sud-Est Africano, in Tanganica, Somalia, Ruanda-Burundi ed altri paesi. In questa fase conobbe e divenne amico di Julius Nyerere, il futuro presidente della Tanzania, che ebbe un’influenza notevole sul suo pensiero e nella pratica azione di liberazione che la FRELIMO condurrà contro la colonizzazione portoghese (lo stesso Fronte di Liberazione del Mozambico verrà costituito, nel 1962, a Dar-es-Salaam).

Un simile percorso culturale e professionale fa di Mondlane una figura complessa, e non, semplicemente, il primo presidente della FRELIMO e l’uomo che la PIDE uccise, con una bomba-carta, nel 1969, per liberarsi di uno dei più scomodi nemici africani.

Il breve periodo riportato ad apertura di questo sintetico saggio traccia le linee fondamentali del pensiero politico di Mondlane, i cui assi centrali sono l’ottenimento dell’indipendenza dal Portogallo, la costruzione di una democrazia partecipata, l’istruzione quale strumento primario per l’emancipazione di tutti i cittadini del nuovo Mozambico, infine un intelligente recupero della storia del proprio paese e del proprio continente, senza tuttavia disprezzare i contributi provenienti da altre culture, in primis quella occidentale, il tutto al fine di edificare un modello originale di società, non dipendente o «importato». Un disegno estremamente innovativo, che si colloca sul filone della ricerca di uno sviluppo autocentrato ma che, alla luce dei fatti, le dinamiche internazionali e le scelte di politica interna renderanno utopistico ed irrealizzabile. Nonostante questo, ancora oggi un simile progetto non ha perso niente della sua attualità, anzi, l’individuazione, da parte di tutti i paesi dell’Africa sub-sahariana, di un pattern autonomo di sviluppo continua a presentarsi come l’emergenza maggiormente critica tra le molte che caratterizzano questo continente. Una breve analisi può aiutare a comprendere la portata e la complessità del pensiero politico di Mondlane.

Lo «sviluppo dello Stato nazionale indipendente» segnala la necessità inderogabile di liberare il popolo mozambicano dal durissimo ed umiliante regime portoghese. Strumento per raggiungere tale meta è la fusione di vari movimenti allora autonomi nella FRELIMO (1962), soggetto politico che dal 1964 condurrà la lotta contro i portoghesi sino all’ottenimento dell’indipendenza, nel 1975. Il problema non è, quindi, comprendere quale fosse l’obiettivo: esso era estremamente chiaro, collocandosi all’interno di una vastissima corrente culturale e politica, che doveva condurre alla liberazione dei paesi dell’Africa subsahariana, a partire dal Ghana (1956). La questione dirimente, in termini politici, era, da un lato, sottolineare che tipo di Stato si volesse costituire e, in secondo luogo, con quali modalità ottenere l’indipendenza. Nell’uno e nell’altro caso, Mondlane si staglia come figura originale, uomo dei suoi tempi e profondamente immerso nel contesto in cui operava, ma così lungimirante da apparire, ai suoi stessi compagni di lotta, in certo senso troppo avanzato ed innovatore. Partiamo dal progetto di Stato che egli aveva in mente. Conscio – per esperienza diretta – della degradazione fisica e morale a cui i mozambicani erano sottoposti, egli intende evitare a tutti i costi una lunga guerra armata contro il Portogallo. Suo obiettivo era ripercorrere il modello di decolonizzazione francese o inglese, evitando, cioè, spargimenti di sangue che – oltre ad essere contrari ai suoi ideali cristiani – avrebbero indebolito ulteriormente il già fragile tessuto sociale ed economico mozambicano. In tal senso, suo punto costante di riferimento sono gli Stati Uniti che, essenzialmente per due motivi, avrebbero potuto giocare un ruolo chiave positivo: da un lato, come massima potenza politica mondiale, avrebbero avuto la possibilità di dettare, in sede di Nazioni Unite e per vie diplomatiche, una linea di progressivo abbandono delle proprie colonie da parte del Portogallo, appellandosi a quegli ideali democratici di cui andavano così fieri; dall’altro, in qualità di potenza economica, avrebbero avuto a disposizione armi eloquenti per convincere il piccolo e povero Portogallo ad avviare un processo pacifico di decolonizzazione. Lo stesso ambasciatore americano in Tanzania, William Leonhart, definiva Mondlane come «forza di moderazione», meritevole di appoggio da parte del proprio paese. Non per niente, il costituendo Stato avrebbe dovuto essere realmente indipendente (come spiegò Nyerere a Mondlane, non meramente «una bandiera, un inno, una compagnia aerea e un parlamento di tipo Westminster»), ma scevro da eccessive influenze sia del passato coloniale, che di quello tradizionale, la cui società, spesse volte, affidava il monopolio della cultura e della conoscenza delle leggi al régulo, lasciando tutti gli altri nell’ignoranza più assoluta. Se è vero che, in alcune delle molte lettere inviate alla moglie, l’americana Janet Mondlane, ricorda come non si definisse né capitalista né comunista, ma che il socialismo dovesse svilupparsi mediante riforme ed educazione, senza far ricorso allo scontro di classe, così come la proprietà privata aveva tutto il diritto di esistere, anche se lo Stato aveva comunque il dovere di controllare i settori vitali del paese, sarebbe riduttivo affermare che «il suo sistema politico favorito sembrava essere il sistema nordico della socialdemocrazia».3 Certo, che Mondlane avesse un’ispirazione prevalentemente «socialdemocratica» è indubbio, tuttavia il suo modello, per il Mozambico ed i paesi africani in generale, è il reperimento dell’autonoma ricerca di una strada originale, in cui educazione e partecipazione – o «autogestione popolare» – rappresentano gli elementi essenziali. Occorreva pertanto prendere il meglio delle esperienze degli altri paesi africani, dell’America Latina, cercando il sostegno di «tutti i paesi socialisti» e di quelli «progressisti dell’Occidente»,4 per creare una nuova ed originale forma di convivenza nazionale. Queste affermazioni, che costituiscono atti ufficiali del partito diretto da Mondlane, risalgono al 1968, ossia ben sei anni dopo che questo era stato costituito, e quattro anni dopo l’inizio della lotta di liberazione. Tuttavia, nonostante la posizione degli USA e delle altre potenze occidentali fosse ormai abbastanza ben delineata verso un appoggio aperto anche se difficoltoso al Portogallo, la FRELIMO continua a tenere le porte aperte al dialogo con uno schieramento internazionale che potrebbe essere definito come «democratico», dal quale si intende escludere i soli paesi realmente reazionari e razzisti. Tale opzione politica è figlia di Mondlane, della sua disperata ricerca di un accordo diplomatico per l’ottenimento dell’indipendenza, soprattutto della fiducia verso gli USA ed i suoi ideali democratici, che continueranno a vedere in lui una figura di riferimento per l’intera Africa australe, e del suo ottimismo cristiano verso il genere umano. Ottimismo che lo condusse ad affermare, in una lettera dell’aprile 1957, che «francamente parlando, ciò che desidero è avviare relazioni col Portogallo che, alla fine, cambierà la sua posizione politica rispetto all’Africa», e che costituirà la sua linea maestra sino alla morte. Una simile convinzione non muterà più di tanto neanche di fronte alla consapevole evidenza dei fatti, allorquando, sin dal lontano 1961, le scelte strategiche sono ormai compiute, come lo stesso Mondlane ricorda: «Vale la pena far notare che prima del 1961 gli Stati Uniti non avevano mai votato come i loro alleati occidentali, ma avevano appoggiato le risoluzioni che condannavano la politica coloniale portoghese. Ma il 1961 è stato l’anno in cui la nuova politica portoghese della «porta aperta» agli investimenti stranieri nelle sue colonie ha dato i suoi frutti».5 Tale politica aveva come presupposto la lotta armata, da parte del Portogallo, nelle sue più significative colonie africane, Angola e Mozambico, per alimentare la quale veniva impegnata circa la metà del bilancio statale, prosciugando così le casse pubbliche. Per questo Salazar, da sempre fautore di una politica sostanzialmente autarchica (investimenti portoghesi nelle colonie portoghesi), dovette ricredersi, chiedendo aiuto alle potenze occidentali (Stati Uniti in primo luogo) ed al Sudafrica. La risposta di queste non si fece attendere, trasformando un atteggiamento di radicata ostilità in appoggio politico al colonialismo, in cambio dell’apertura «ufficiale» dell’impero africano lusitanico al capitale privato delle grandi multinazionali. Le stesse Francia e Germania occidentale si precipitarono nell’operazione, facendo giungere preziosi aiuti militari e crediti all’ormai derelitto Stato portoghese, in cambio – nel caso specifico – soprattutto della possibilità di sfruttare l’immensa energia di Cabora Bassa, una delle centrali idroelettriche più potenti del mondo, situata nella provincia di Tete, per un investimento che, all’epoca, si aggirava intorno ai 22 miliardi e mezzo di franchi francesi.6 Probabilmente questa fu la svolta internazionale che determinò l’oggettiva impossibilità, per la FRELIMO ed i suoi leader, di proseguire sulla linea tracciata al Secondo Congresso, una linea diplomatica e «democratica», che lasciava intuire un modello di democrazia basato su una larga partecipazione popolare, ma senza disprezzare l’assetto istituzionale di tipo occidentale. Finché Mondlane restò in vita prevalse, nel partito, una simile prospettiva; con la morte del presidente, e con l’inasprirsi della guerriglia armata, Samora Machel ed il nuovo gruppo dirigente optarono apertamente per l’avvicinamento al blocco sovietico, sino alla dichiarazione ufficiale (Terzo Congresso, 1977) di adesione all’ideologia marxista-leninista, con tutte le conseguenze, interne ed internazionali, che ciò provocò:7 in primo luogo la guerra civile, che divampò per più di un decennio, lasciando sul terreno circa 1 milione e 200 mila morti ed un paese assolutamente incapace di provvedere alla sopravvivenza dei propri cittadini e consegnato integralmente nelle mani degli organismi economico-finanziari internazionali; in secondo luogo un paese diviso e lacerato tra due partiti, dai riferimenti territoriali abbastanza certi e precisi.

Il «nuovo punto di partenza» di cui parla di Mondlane è il tentativo più cospicuo di costruire un paese nuovo, con cittadini liberi e consapevoli. Nella tematica del rapporto tra varie esperienze e di una valutazione attenta e rigorosa di che cosa sia e di che cosa dovrebbe essere la società mozambicana ed africana in generale, il primo presidente della FRELIMO coglie il carattere di maggiore problematicità e complessità inerente alla edificazione della pacifica convivenza in Mozambico. A differenza di quanto si possa comunemente pensare, la società africana vanta un vasto ventaglio di presenze culturali, linguistiche, religiose, di tradizioni da mantenere e conservare, così come di residui feudali da superare. Mondlane, vista anche la sua formazione sociologica, aveva tutti i mezzi per comprendere che il Mozambico indipendente non poteva che essere una nazione «complessa», in cui far confluire il meglio delle esperienze interne ed esterne, confrontandosi e contribuendo allo sviluppo del paese. Chiave di volta di un simile percorso è l’educazione. Essa, nel Mozambico pre-indipendenza in cui vive Mondlane, assume una forza rivoluzionaria. Se l’obiettivo è creare un cittadino consapevole e maturo del proprio ruolo sociale (quello che verrà chiamato «Uomo Nuovo»), l’educazione serve, in primo luogo, per spezzare una catena plurisecolare costituitasi a detrimento della popolazione: una catena che ha visto l’alleanza tra il colonialismo, che riserva la formazione alle élite locali, ed il tradizionalismo che, col monopolio del sapere riservato a régulos e curandeiros (guaritori), lascia le masse in condizioni di totale ignoranza. Il risultato è il soggiogamento, che privilegia esclusivamente potere coloniale e potere tradizionale locale. Contro questa alleanza Mondlane è il primo a scagliarsi, secondo una visione egualitaria e liberatrice della funzione della politica; l’applicazione di tale convinzione, da parte del governo socialista capeggiato da Samora Machel, si inscriverà ancora su un simile solco, accentuando tuttavia l’aspetto «illuminista» dell’azione pratica, ossia considerando i capi tradizionali come freni allo sviluppo del paese e, quindi, nemici da annientare. Un errore che costò molto caro, e che originò il brodo di coltura interno favorevole all’accoglimento del progetto della RENAMO (Resistenza Nazionale del Mozambico) e dei potenti alleati occidentali (USA) ed africani (Sudafrica, Rhodesia), teso ad abbattere e superare – attraverso la guerra civile – lo Stato socialista indipendente. Al di là di ogni considerazione, una simile ottica mancava, evidentemente, di una preventiva analisi della società locale, che soltanto una figura con la formazione di Mondlane poteva condurre o, comunque, suggerire. Un simile «riduzionismo» è da collegare anche al clima di guerra fredda che aveva investito in pieno il Mozambico: volenti o nolenti, l’opzione marxista aveva infatti ingabbiato il paese in un reticolo da cui non uscirà che pagando un durissimo dazio (guerra civile), ed in cui Mondlane si era guardato bene, finché era in vita, dal farlo entrare. Così, in relazione alla figura del primo presidente della FRELIMO, l’atteggiamento del Mozambico indipendente si configura secondo due facce: ufficialmente, egli è il padre della patria, a cui è stata dedicata l’Università statale di Maputo: ancora oggi, continua a rappresentare, un po’ per tutti, il simbolo primario dell’unità nazionale. A lui tutti si ispirano, in termini di continuità del suo pensiero e della sua opera. In effetti, i suoi più significativi insegnamenti sono stati in gran parte disattesi. E ciò va detto in relazione al periodo socialista, in cui lo sforzo per acculturare il popolo fu notevole, ma mancò un adeguato quadro della realtà sociale, soprattutto di quanto stava avvenendo nelle campagne, e si finì con l’adottare meccanicamente questo o quel modello (sovietico, cinese o cubano che fosse); ma anche al periodo «liberale» – ufficialmente apertosi con l’adozione del Piano di riabilitazione economica, nel 1986, secondo i dettami del FMI e della Banca Mondiale, e sancito dagli Accordi di pace, firmati a Roma nel 1992, e dalle successive prime elezioni multipartitiche, nel 1994 – in cui la trasposizione delle ricette di tipo neo-liberista è stata accompagnata dal delinearsi di un ordinamento istituzionale di stampo occidentale e, soprattutto, dal dilagare della corruzione. L’idea centrale di Mondlane, quella di una nazione articolata e che assumesse dal proprio interno la forza e la capacità per formare una originale coscienza collettiva, si è persa nei meandri delle lotte politiche e degli interessi economici nazionali e sovranazionali, restituendo, oggi, un paese in apparenza «stabile», in verità quasi totalmente privo di una sua propria coscienza etica unitaria.8

Conoscere e comprendere le vicende del proprio continente e della propria nazione è l’ultimo dei grandi insegnamenti che Mondlane lascia. Un’affermazione in apparenza banale, ma che in realtà assume un significato profondo nel contesto in cui egli ha operato. Uno degli obiettivi del colonialismo portoghese era, per l’appunto, distruggere qualsiasi memoria di una storia collettiva mozambicana, negando, per questo, l’accesso all’istruzione degli indigeni.9 Recuperare la dignità di un passato comune, fatto sia di grandi eroi che di grandi civiltà, costituisce, per Mondlane, una delle fonti primarie per la costruzione del paese indipendente, superando l’idea – che i colonizzatori portoghesi avevano tentato di inculcare – dell’inferiorità antropologica delle popolazioni autoctone. Sia pure in modo in parte dogmatico, un tale insegnamento può dirsi compiuto nel Mozambico contemporaneo. La rilettura del passato fu, infatti, uno degli strumenti culturali più rilevanti che Samora Machel individuò per edificare il paese nuovo. Così, egli dette la possibilità ad un gruppo di studiosi di fama internazionale (Aquino de Bragança, Ruth First, Herbert Shore, Anna Maria Gentili, Tereza Cruz e Silva e molti altri) di unirsi e sviluppare riflessioni e ricerche di grande interesse all’interno del Centro de Estudos Africanos, legato all’Università «E. Mondlane», proprio nel recupero di una comune memoria ed identità storiche. Non a caso, se le scienze sociali sono, ancora oggi, in condizioni di oggettiva difficoltà, la storia ha assunto uno statuto proprio, con una incontestabile dignità scientifica. Il problema che si è aperto dalla metà degli anni Ottanta è come un simile patrimonio di conoscenze ed una tale consapevolezza delle élite intellettuali possano contribuire a forgiare il mozambicano del XXI secolo. La distanza fra tali studi e vita quotidiana del cittadino medio è infatti notevole, ed i ritorni ad identità particolaristiche – di tipo etnico-regionale, religioso-tradizionale o, agli antipodi, individualistico- moderna – sono sempre più possibili.

Eduardo Mondlane lascia quindi un’eredità complessa, che soltanto un’opera di rilettura, al di là delle semplificazioni di bandiera, potrebbe contribuire a riscoprire, ricollocando questa figura di portata internazionale all’interno di una riflessione più compiuta e consapevole rispetto alle scelte di fondo che, ancora oggi, il Mozambico e tutti i paesi dell’Africa sub-sahariana sono chiamati a compiere. Le dicotomie che egli ha tentato di affrontare e, per quanto possibile di risolvere, continuano ad essere fortemente presenti: come rapportarsi alla cultura tradizionale, salvandone gli aspetti positivi e superando quelli peggiori e più conservatori, che cosa assumere dei valori della cultura occidentale, in un momento in cui anche nel Mozambico per lo meno urbano stanno dilagando individualismo e consumismo, se e che cosa preservare dell’esperienza socialista pre e post-indipendenza, che, al di là di tutti i limiti, aveva avuto il merito di cercare di coinvolgere la popolazione in scelte di autogoverno e di autodeterminazione. Infine, come piegare l’istruzione, chiave per l’emancipazione di uomini e donne soprattutto africani, alle effettive esigenze locali, senza prefigurare questo o quel modello di Stato o di convivenza sociale.

Questi sono gli aspetti che Mondlane ha affrontato durante la sua breve esistenza. Si tratta di sfide epocali, a cui la storia non ha ancora dato risposte definitive, e che meriterebbero analisi e ricerche senza dubbio più approfondite e meno «ideologiche» di quelle attualmente in corso. Forse è proprio questo il contributo maggiormente significativo che Mondlane ha dato al Mozambico ed all’umanità intera: riflettere, studiare e ricercare per giungere ad una convivenza pacifica tra uomini e donne diversi per cultura, lingua, religione, convinzioni politiche, all’interno di un progetto comune, che ciascun popolo ha il diritto-dovere di autodeterminare. In questo senso egli cessa di essere una figura appartenente al Mozambico, per entrare nell’alveo di coloro che hanno dato la propria vita alla crescita civile del consorzio umano, perseguendo, sino alla fine, gli ideali della democrazia e della pace. Le parole della sua vedova, Janet Rae Mondlane, meglio di tutte possono far comprendere questa continua tensione morale che ha alimentato l’intera esistenza di Mondlane: «Il suo obiettivo non era soltanto liberare il Mozambico da una potenza coloniale. Era anche creare un cittadino mozambicano più oggettivamente cosciente del suo villaggio, che conoscesse il proprio paese e tollerante coi popoli di tutto il mondo. Egli pensava fervidamente che l’educazione apriva il cammino per l’autostima e la libertà. (…) Eduardo era veramente un cittadino africano del mondo e uno dei sognatori più pragmatici del suo tempo – i suoi studi costruirono un sogno ed egli passò ad agire cercando di realizzare questo sogno».10

 

 

Bibliografia

1 H. Shore, Resistência e Revolução na vida de Eduardo Mondlane, in «Estudos Moçambicanos», 16/1999.

2 Sui rapporti tra Missione Svizzera ed Eduardo Mondlane, cfr. T. Cruz e Silva, A Missão Suíça em Moçambique e a formação da juventude: a experiência de Eduardo Mondlane (1930-1961), in «Estudos Moçambicanos», 16/1999.

3 N. Manghezi, Eduardo Mondlane nos Estados Unidos da América, 1951-1961, in «Estudos Moçambicanos», 17/1999.

4 Risoluzione del Secondo Congresso della Frelimo, 1968, in FRELIMO, 1° e 2° Congresso, Associação Academica de Moçambique, 1974.

5 E. Mondlane, The Struggle for Mozambique, Penguin Books, Londra 1969, p. 208.

6 Cfr. Y. Benot, Ideologie dell’indipendenza africana, Editori Riuniti, Roma 1976, pp. 537-538.

7 Anche se, ufficialmente, il Mozambico restò sempre tra i paesi non allineati.

8 Cfr. L. Bussotti, Mozambico: un’identità nazionale in frantumi, in L. Bussotti (a cura di), Il dibattito sull’africanismo e la cultura africana contemporanea, L’Harmattan Italia, Torino 2003, pp. 95-133.

9 E. Mondlane, op. cit., p. 59.

10 J. Rae Mondlane, O sonho de Eduardo Mondlane para o povo de Moçambique, in «Estudos Moçambicanos», 16/1999.