Giuseppe Abbracciavento

Giuseppe Abbracciavento

dottore di ricerca in Storia dell’Europa presso l’Università di Bari

Luigi Einaudi e La bellezza della lotta

In uno scritto apparso sulla «Rivoluzione Liberale» del 1922, Piero Gobetti tracciava un sintetico profilo del pensiero di Luigi Einaudi e ricordava come «il riconoscimento delle libertà come condizione e premessa necessaria all’agire politico» fosse il luogo in cui il liberalismo del professore di Dogliani incontrava e si confondeva con il pensiero radicale e socialista. Ne veniva fuori un ritratto di Einaudi forse un po’ troppo «gobettiano» – come rilevò acutamente Paolo Spriano nella introduzione alla prima edizione de «Le lotte del lavoro» – ma l’insistenza posta da Gobetti sulla insofferenza di Einaudi verso gli schematismi teorici e il suo scetticismo verso ogni vuota formula verbale ci restituiscono in assoluta pienezza la cifra più autentica dell’Einaudi uomo ed economista.

 

«Un viaggio nel Mezzogiorno». Paolo Sylos Labini tra economia e storia

Il viaggio nelle province meridionali che Paolo Sylos Labini intraprese nel 1953 era stato direttamente sollecitato da Gaetano Salvemini. I lunghi rapporti intrattenuti con lo storico molfettese durante il soggiorno americano ad Harvard, e le discussioni maturate intorno ai temi più ricorrenti della questione meridionale avevano appassionato il giovane Sylos Labini a tal punto da convincerlo, al suo ritorno in Italia, dell’opportunità di conoscere più da vicino e in profondità le problematiche del meridionalismo e di verificare sul campo le reali condizioni sociali ed economiche del Meridione italiano attraverso un viaggio tra Puglia, Campania e Calabria.

 

Che cos'è la Costituzione. Riflessioni sulla «pedagogia costituente» di Arturo Carlo Jemolo

Nel 1946, quando Arturo Carlo Jemolo scrive l’opuscolo «Che cos’è la Costituzione», i lavori dell’Assemblea costituente non sono ancora entrati nel vivo. Il ministero per la Costituente, creato dal governo Parri, aveva appena iniziato a funzionare; esso era nato, secondo l’espressa indicazione del decreto istitutivo, allo scopo di «predisporre gli elementi per lo studio della nuova Costituzione». Vent’anni di dittatura fascista avevano largamente disabituato il popolo italiano all’elaborazione di un efficace spirito pubblico e «l’indifferenza del paese, (...) la mancanza di quei contatti e di quegli scambi di motivi e di ispirazioni fra il popolo e l’Assemblea» – sui cui insisterà in pagine amare un grande protagonista dei lavori costituenti come Costantino Mortati – rendono la testimonianza più evidente del clima di generale difficoltà in cui si svolsero i lavori dell’Assemblea. In tali circostanze, anche i partiti, ad eccezione forse dei repubblicani e degli azionisti, si guardarono bene dal predisporre schemi o progetti compiuti che potessero in partenza orientare il dibattito costituzionale, preferendo concentrarsi sulle parole d’ordine della campagna elettorale.

 

La solitudine del riformista. A proposito di Federico Caffè

Partecipando nel giugno 1930 a una conferenza madrilena, John Maynard Keynes tenne una relazione opportunamente titolata «Conseguenze economiche per i nostri nipoti». In essa l’economista di Cambridge metteva in guardia dalle forme di pessimismo economico che attanagliavano le società capitalistiche post-1929, e in un passo divenuto famoso aggiungeva: «Voglio affermare che entrambi i contrapposti errori di pessimismo, che sollevano oggi tanto rumore nel mondo, si dimostreranno errati nel corso della nostra stessa generazione: il pessimismo dei rivoluzionari, i quali pensano che le cose vadano tanto male che nulla possa salvarci se non il rovesciamento violento; e il pessimismo dei reazionari, i quali ritengono che l’equilibrio della nostra vita economica e sociale sia troppo precario per permetterci di rischiare nuovi esperimenti».

 

Una nuova saggezza per una nuova era. A proposito Francesco Saverio Nitti

Quando il 25 marzo 1894 appare il primo numero de «La Riforma sociale. Rassegna di scienze sociali e politiche», si capisce sin da subito la radicale diversità della rivista rispetto allo stagnante panorama editoriale del tempo. Il testo che qui si propone è l’editoriale di apertura col quale la rivista si presenta ai suoi lettori, vero e proprio manifesto programmatico nel quale il giovane direttore, Francesco Saverio Nitti, chiarisce le linee programmatiche e gli orientamenti di una rivista decisa a imporsi «alla grande massa del pubblico intelligente» dell’Italia fin du siècle, contro ogni provincialismo asfittico e paralizzante.

 

Il dialogo come valore Norberto Bobbio e i dilemmi della democrazia

All’indomani della Liberazione, la ritrovata libertà di stampa dopo la catastrofe del fascismo consentì la rinascita di un ampio dibattito sul futuro assetto politico-istituzionale da dare all’Italia. Si trattava di rideterminare, tra le mille difficoltà del momento, le forme e i modi di una piena convivenza democratica in un paese, come l’Italia, arrivato esausto al termine della guerra e che iniziava appena allora a fare i conti con i residui che il fascismo lasciava dopo vent’anni di dittatura. Bobbio, all’epoca professore di Filosofia del diritto a Padova, partecipa attivamente a questo dibattito attraverso numerosi scritti in maggioranza apparsi, a partire dal giugno del 1945, su «GL-Giustizia e Libertà», il quotidiano del Partito d’Azione diretto da Franco Venturi, che di lì a poco, parallelamente alla crisi e al tramonto dell’azionismo, avrebbe però cessato le pubblicazioni.