Federico Fornaro

Federico Fornaro

è deputato di PD-Italia Democratica e Progressista.

Fotografia di una vittoria annunciata della destra

Come da tradizione italica, della “fuga dalle urne” in atto da tempo si è parlato giusto nell’intervallo tra la chiusura dei seggi e l’arrivo dei primi risultati. Eppure mai come quest’anno il crollo della partecipazione è stato così fragorosamente rumoroso. Con il 63,9% di votanti, infatti, è stato battuto il record negativo assoluto, con un arretramento di 9 punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni politiche del 2018.
Più di un italiano su tre ha disertato i seggi, e anche il richiamo all’oggettivo impedimento dei fuori sede e degli anziani impossibilitati a muoversi, il cosiddetto “astensionismo involontario” stimato in oltre 4 milioni di potenziali elettorali

Il colonialismo dimenticato

Quanti libri di storia riportano che il colonialismo italiano iniziò nel 1882, quando il governo guidato da Agostino Depretis acquistò da un esploratore italiano, che a sua volta li aveva acquisiti per conto di una compagnia di navigazione con sede a Genova nel 1869, i diritti di gestione di un’area della baia di Assab, nel Mar Rosso, prospiciente al porto inglese di Aden?
Per alcuni, invece, questa è la data di inizio del breve periodo di “imperialismo informale” italiano, di natura commerciale a cui sarebbe seguita una ben più lunga stagione di “imperialismo formale”, con occupazioni stabili dei territori coloniali e conseguente imposizione di istituzioni importate dai colonizzatori.

Elezioni con il fantasma dell’astensionista

Il valore politico delle elezioni amministrative del 2021 è riducibile a un semplice slogan: la destra non è invincibile. Nelle cinque maggiori città in cui si è votato è finita 5 a 0 per il centrosinistra (allargato a Bologna e a Napoli) e ci sono state significative vittorie (riconferme dei sindaci uscenti) in città simbolo per la Lega e Fratelli d’Italia come Varese e Latina. Al centrodestra è rimasta come magra consolazione la vittoria al fotofinish a Trieste e in alcuni capoluoghi di provincia.
Complessivamente, nei 118 Comuni con più di 15.000 abitanti il centrosinistra ha oggi 52 sindaci (+15), il centrodestra 31 (+7), la destra 7 (-6), il Movimento 5 Stelle 5 (-7), il centro 2 (=), la sinistra alternativa 1 (-3) e, infine le liste civiche 20 (-6).

La doppia lettura del voto regionale 2020

I risultati delle elezioni regionali che si sono svolte il 20 e 21 settembre 2020 si prestano a una doppia lettura. Ci sono stati, infatti, dei vincitori politici (il PD, con il suo segretario Nicola Zingaretti e i presidenti uscenti delle Regioni) e dei partiti vittoriosi nei numeri usciti dalle urne (Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni). Tra gli sconfitti c’è indubbiamente Salvini che, come in altre occasioni, aveva alzato troppo l’asticella («vinceremo 7 a 0») finendo per far passare in secondo piano la conquista delle Marche da parte del centrodestra, Regione che in tutti gli atlanti della geografia politica dell’Italia repubblicana è stata sempre inserita nel “cuore rosso” insieme a Toscana, Emilia-Romagna e Umbria. Regioni rosse che si sono oramai melanconicamente ridotte a due, o più correttamente ai due capoluoghi (Bologna e Firenze) più un pugno di province toscane ed emiliane.

 

Storia e memoria

Con il lento e inesorabile incedere del tempo non solo si affievoliscono i ricordi, ma ci stanno lasciando uno dopo l’altro i testimoni delle grandi tragedie del Novecento, in primis della Shoah. Stiamo entrando, con scarsa consapevolezza collettiva, nell’età della post memoria, un’epoca in cui non solo gli storici di professione, ma tutti noi siamo chiamati al non facile compito di trasmettere una corretta memoria tra le generazioni, senza produrre pericolosi e assai rischiosi cortocircuiti.

La percezione distorta della realtà

Il divario crescente tra percezione e realtà rappresenta uno dei temi cruciali della contemporaneità. Come si forma l’opinione pubblica, quali siano le informazioni che arrivano al cittadino-elettore e in che modo quindi influiscano sull’esercizio del diritto di voto sono fattori determinanti in una democrazia.
Nando Pagnoncelli nel suo “La penisola che non c’è. La realtà su misura degli italiani” ci mette in guardia, con dovizia di dati, sul fatto che «esistono una realtà e una “realtà su misura”, ossia una rappresentazione soggettiva e spesso arbitraria del mondo che ci circonda e di cui siamo parte integrante.

La quarta ondata leghista

Domenica 26 maggio si sono svolte nel nostro paese le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Erano elezioni europee e non elezioni politiche generali. Potrebbe apparire una sottolineatura ultronea ed è invece assolutamente necessaria e utile per evitare fuorvianti interpretazioni del voto.
Ci fu, infatti, chi nel 2014 scambiò il risultato delle europee con quello delle politiche, smarrendo quindi la dimensione della realtà e iniziando da quel momento a fondare la propria azione di governo (e non solo) su di un presupposto fallace. Sappiamo tutti come è andata a finire, ma ancora durante la recente campagna elettorale Renzi non ha perso occasione per paragonare il suo 40,8% alle europee del 2014 con i risultati percentualmente simili della DC di De Gasperi e di Fanfani, continuando pervicacemente a ignorare le abissali differenze nelle percentuali di votanti: 58,7% di partecipazione al voto nel 2014 contro il 90% e più degli anni dei record democristiani.

La solitudine del compagno Rossa

Nella storia del terrorismo italiano, il 24 gennaio 1979 è indubbiamente una di quelle che gli storici definirebbero “data periodizzante”. A Genova, all’alba un gruppo di fuoco delle Brigate Rosse uccise Guido Rossa, operaio e sindacalista della FIOM all’Italsider di Cornigliano, uno dei sobborghi del capoluogo ligure, iscritto alla sezione di fabbrica del Partito Comunista Italiano. Venne colpito nelle vicinanze della sua abitazione mentre stava recandosi al lavoro.

La sinistra dopo il terremoto nelle urne del 4 marzo

All’indomani dell’esito delle elezioni politiche del 4 marzo 2018 le metafore usate per commentare i risultati si sono sprecate, dall’alluvione all’ondata fino all’evocazione del terremoto, quasi che ci trovassimo di fronte a un comportamento degli elettori non spiegabile con gli strumenti critici e analitici ordinari. 
Eppure già in occasione delle elezioni del 2013 il sistema politico italiano era stato colpito da un evento straordinario, e inaspettato per le sue dimensioni, con l’esplosione del Movimento 5 Stelle, primo partito al debutto con oltre 8 milioni di voti, pari al 25,6%, un risultato senza precedenti nella storia elettorale d’Europa. 

Alle radici del pregiudizio antiriformista

Le radici del pregiudizio antiriformista che ha caratterizzato la storia della sinistra italiana del Novecento sono profonde e affondano nelle divisioni e nelle ripetute scissioni che hanno travagliato il movimento socialista. Uno dei momenti più alti dell’educazione all’odio di classe contro i «traditori delle masse rivoluzionarie» è stato certamente quello che gli storici hanno definito il «biennio rosso» (1919-1920). Ne l l’immaginario collettivo di molta parte della sinistra e di parte della pubblicistica, si è coltivata per decenni l’idea che in quella fase erano maturate anche in Italia le condizione di una rivoluzione proletaria sul modello dell’esperienza bolscevica del 1917 e soltanto l’ignavia e il «tradimento» dei dirigenti riformisti del sindacato e del Partito socialista avevano impedito che la spinta rivoluzionaria potesse dare la spallata finale al capitalismo e alla borghesia dominante.