Paolo Feltrin

Paolo Feltrin

già professore di Scienza dell’amministrazione e Analisi delle politiche pubbliche all’Università di Trieste.

Decisione politica e rappresentanza degli interessi nello “stato di eccezione”

Per cominciare a introdurre la mia riflessione proverò a prenderla molto alla larga esaminando alcuni temi di filosofia del diritto più volte tirati in ballo proprio per spiegare quanto è accaduto. Per quanto la cosa possa apparire bizzarra non c’è da stupirsi perché, come vedremo, essi sono particolarmente utili per comprendere il senso degli avvenimenti di questi mesi. Il contesto attuale, caratterizzato dai profondi cambiamenti a seguito dell’emergenza da Covid-19, viene sempre più spesso indicato come “stato di eccezione” oppure “stato di emergenza”.1 Le due espressioni non sono sinonimi, tuttavia per le questioni che affronteremo in questa sede non appare così importante disquisire sulle differenze. Qual è una ragionevole definizione di “stato di eccezione”?

Partito e sindacato “in convergente disaccordo”

Di recente, Jelle Visser, uno studioso olandese che da decenni aggiorna il più completo database sulla sindacalizzazione nel mondo, è tornato a riproporre la spiegazione mainstream del declino sindacale nel mondo come dovuta alle difficoltà nell’entrare in rapporto con quella che, con gergo desueto, potremmo chiamare “la nuova composizione di classe” (terziario, piccole dimensioni aziendali, giovani, donne, precariato, immigrati). Di qui un’attenzione – forse eccessivamente esasperata – ai temi della nuova sindacalizzazione di questi segmenti del mercato del lavoro, magari con l’aiuto del sostegno politico e istituzionale o, alternativamente, dei movimenti oppositivi di base a scala locale.

Oltre la retorica dei corpi intermedi: i costi sociali dell'associazionismo forte

La retorica tradizionale, sia di destra che di sinistra, ha sempre sottolineato il ruolo positivo svolto dai corpi intermedi, considerati fattori di stabilizzazione politica del paese e cinghia di trasmissione tra classi dirigenti e cittadini. E se invece la realtà delle cose fosse diversa? È possibile avanzare l’idea che alcuni dei grandi problemi del paese siano, almeno in parte, diretta conseguenza della cristallizzazione di una congerie di interessi organizzati in solide associazioni di rappresentanza, tutte protese a difendere il loro particolare, senza responsabilità reale verso le sorti del paese e senza verifica di qualsiasi tipo di compatibilità generale?

Gli iscritti ai sindacati negli ultimi venti anni: un bilancio in chiaroscuro

Gli iscritti ai sindacati continuano a crescere. Tuttavia, se analizzata rispetto alle dinamiche chiave del mercato del lavoro, la sindacalizzazione in Italia ricalca l’andamento tendenzialmente depressivo degli altri paesi industrializzati, anche se continua a crescere tra gli immigrati, nei servizi pubblici e privati, tra i pensionati. Si spiega così la strategia di presenza politica e istituzionale del sindacato degli ultimi venti anni. Questa strategia politica dei sindacati conduce però ad alcuni paradossi di difficile soluzione.

Basi sociali e tendenze territoriali alle elezioni politiche

L’importanza del voto di classe nell’Italia della prima e seconda Repubblica A più riprese, in Italia, si è sottolineato come la posizione sociale, la categoria socio-professionale, o altre variabili che permettono di collocare gli elettori lungo un asse di stratificazione sociale non esercitino un’influenza significativa sulle scelte di voto degli elettori. Si tratta di una difformità rispetto a molti paesi europei, dove l’appartenenza socio-economica presenta forti relazioni con l’orientamento politico e di voto degli elettori, in particolare della classe operaia con il voto ai partiti di sinistra e dei ceti borghesi con il voto ai partiti di destra. Del resto, la divisione di classe ha costituito il più importante cleavage sul quale sono nati e hanno prosperato i grandi partiti di massa delle democrazie occidentali nel XIX e XX secolo. In Italia invece, come si è detto, l’effetto di tale divisione nel comportamento elettorale non è mai stato così evidente, e il voto dei diversi ceti sociali non si è mai indirizzato in maniera esclusiva a un partito. Anzi, come hanno evidenziato Mannheimer e Sani, la composizione per classe dell’elettorato della DC era relativamente più simile a quella del PCI che a quelle di PSI, PSDI e PRI.

Europee 2004: sempre meno europee, sempre più nazionali?

È innanzitutto necessario rimarcare che le differenze nelle modalità concreta di strutturazione dell’evento elettorale in ogni Stato europeo non solo influenzano gli esiti delle singole elezioni nazionali, rendendoli comparabili solo in modo sui generis, ma sono una ulteriore riprova di quanta poca unitarietà e omogeneità vi sia nell’espressione, quantomai enfatica, di «elezioni per il parlamento europeo».