Il segreto del ragazzo dalla maglietta rosa, ovvero come Checco fece l’impresa

Di Francesco Zippel Lunedì 28 Febbraio 2011 17:22 Stampa

Che Cozzalone! Tradotto dal barese, che cafone! Ossia, quando già un nome d’arte rivela un’attitudine. Se poi si aggiungono una maglietta rosa attillata, da adagiare su un ventre da birra, un improbabile giubbino bianco, tendenza ragazzi del lungomare, e degli occhiali da sole appariscenti, stile Valentino Rossi ai box, il quadro è quasi completo.

Non del tutto però. Mancano infatti un uso “disinvolto” della lingua italiana, una devozione assoluta al romanticismo dei cantanti neomelodici e un approccio alla vita segnato dal candore di un Forrest Gump in salsa mediterranea. Questa è la creatura inventata da Luca Medici, il cantante, cabarettista e attore barese che ha scalato le vette di ogni classifica, da quella cinematografica a quella di iTunes, degli ultimi anni. Checco Zalone è il riuscito prodotto di anni di cimenti, prima sui palchi dei concorsi di bellezza locali, poi sugli schermi regionali di Telenorba e infine davanti alla platea nazionale di Zelig. Come in ogni parabola di successo che si rispetti, anche nel caso di Checco fortuna e talento si sono mescolati in maniera indissolubile.

Esempio fulgido è quello del 2006 quando Radio Deejay trasmise a ripetizione il suo brano “Siamo una squadra fortissimi” proprio nell’estate in cui la nazionale di Lippi riuscì a compiere la sua incredibile impresa mondiale. Un trionfo doppio. «Quando giocavi invece di andare a scuola quanti sgridi ti prendevi da papà perché sognavi un giorno che avresti stato nell’Italia convocato». Così si apre la canzone mondiale di Checco, una sorta di manifesto del suo divertito e divertente disincanto. C’è tutto in pochi versi, la sua propensione nazionalpopolare e la sua ricercata noncuranza per la forma e per i tempi verbali. È però Zelig a sancire il salto di qualità di Checco e a renderlo un vero e proprio comico da tormentone. Da bravo pugliese “nordico”, Checco si produce prontamente in una memorabile parodia dei salentini Negramaro e in special modo in una irrisione dell’ego “appena accennato” del loro leader Giuliano Sangiorgi. «In effetti tutto questo successo che noi Negramaro ho riscosso» è uno dei memorabili incipit della sua esperienza sul palcoscenico di Zelig, un’avventura da lui condita dalla ricetta musicale de “lu pollu cusutu an’culu”, per l’occasione negramarizzata da Zalone in versi che dicono «ma dimmi che senso può avere, provare un sottile crudele piacere, non senti il mio canto tremante e leva sta cazzu di cosa piccante».

Ma non sono solo le “ricette te lu Salentu” ad averlo reso celebre ma anche delle precise, e a dir poco attuali, ricette politiche anch’esse riviste in chiave di pizzica salentina. Nasce così la taranta di centrodestra che suggerisce: «Evviva gli stranieri, evviva l’integrazione, ma solo se so’ femmine e solo quelle bone, evviva lu parlamentu che bella istituzione, ci vai una volta al mese e ti porti la pensione, evviva Brunetta, persona come si deve, evviva tutti e sette…evviva Biancaneve».

La leggenda poi vuole che un giorno, incantato da una delle sue esibizioni televisive al fianco di Claudio Bisio, il figlio di Pietro Valsecchi, capo della Taodue, suggerisca al papà produttore di costruire un film intorno alla figura di questo esilarante comico dalla “congiuntivite acuta”. Uomo dall’innato senso degli affari, Valsecchi fiuta un potenziale nel gusto dissacratore di quel comico canterino e lo convoca assieme al suo fidato partner lavorativo Gennaro Nunziante. È il 2009 e il meccanismo del cinepanettone di De Sica, orfano da alcuni anni del rodato sodale Boldi, sembra essersi inceppato. Le location delle scorribande del marito infedele De Sica si sono da tempo internazionalizzate (da Miami a Beverly Hills passando per le crociere) ma suonano ormai stantie anche al più affezionato sostenitore dei doppi sensi del pur bravo Christian. Oltretutto i suoi giochi comici suonano sempre più affini ai toni grotteschi che la cronaca italiana, in special modo politica, ha assunto negli ultimi anni. E il cinema si sa, soprattutto quello natalizio, significa evasione. Proprio qui si inserisce Checco, il quale propone al pubblico italiano la freschezza di un personaggio puramente comico e lontano dai brusii delle intercettazioni e dagli strepiti delle infedeltà coniugali. Il suo ingresso leggero nelle sale cinematografiche italiane “cade da nubi” innocue e rassicuranti, facendo colpo al primo tentativo.

L’adattamento del suo personaggio ai canoni del ritmo cinematografico è immediato, il pubblico lo accoglie subito preferendo la burrata di Zalone al cinepanettone in offerta di De Sica. L’impianto del suo primo film, “Cado dalle nubi”, è semplice, ricalca le sortite di Zelig di Checco aggiungendo un trasognato elemento di romanticismo che al cinema non guasta mai. Al tempo stesso non rinuncia però a lanciare bordate contro la Lega – memorabile la scena dell’ampolla del Po – e giocare sul politicamente scorretto con la hit musicale del film “uomini sessuali” che nel suo ritornello ricorda che «i uomini sessuali sono gente tali e quali come noi, noi normali, sanno ridere, sanno piangere, sanno battere le mani, proprio come alle persone sani».

Il film sbanca il botteghino rivaleggiando con un maestro come Carlo Verdone e insidiando da vicino “Natale a Beverly Hills”. Il caso Zalone ormai è esploso e Valsecchi, dopo aver ringraziato il suo giovane talent scout, invita Luca Medici e il suo socio Nunziante a lavorare subito ad un nuovo capitolo delle avventure di Checco. “Che bella giornata”, atteso dagli esercenti come un nuovo potenziale blockbuster, non tradisce le attese, anzi le supera oltre ogni più rosea previsione. Al momento in cui viene scritto questo articolo viene addirittura toccata la cifra di 42 milioni di euro, una cifra record per il cinema italiano capace di sopravanzare di dieci milioni il primato di un certo Roberto Benigni e del suo “La vita è bella”. La “bella giornata” di Checco non è molto differente da quella vissuta nel primo episodio ma questa volta la sua storia d’amore milanese è condita di terrorismo, cardinali e social network.

Ancor più irriverente di Checco appare suo padre, interpretato da un grande Rocco Papaleo, militare in missione di pace in Medio Oriente per denaro e, da bravo amante delle cozze, convinto assertore del motto “io non combatto, cucino!”. Perfettamente sintonizzato sul trend del momento, Checco sintetizza il boom di Facebook con il brano “Se mi aggiungerai” che si apre con la meditata riflessione «se inventavo io facebook una regola avrei messa, niente foto sul profilo se sei cessa». Un pensiero meno profondo di quelli evocati in “The Social Network”, il bellissimo film di David Fincher dedicato quest’anno alla “rivoluzione” di Mark Zuckerberg, ma senza dubbio molto in linea con il carattere del ragazzo dalla maglietta rosa attillata. Un ragazzo che, al momento, è il vero Zuckerberg del cinema italiano. Un’etichetta importante e gravosa che però forse Checco saprà portare con disincantata leggerezza e intelligenza, senza pensare alle ulteriori aspettative di crescita. A quelle ci pensano per fortuna Luca e Gennaro.