Italianieuropei 4/2002

il Sommario

l' Editoriale

Dopo la Germania

Un bipolarismo privo di trucchi e forzature, un partito socialista che sfiora il quaranta per cento dei voti, un’alleanza equilibrata al proprio interno e combattiva solo verso il proprio esterno. Ma soprattutto un riformismo capace di rivendicare le buone cose fatte al governo così come di indicare con onestà i traguardi incompiuti, presentandosi al paese con una proposta di governo chiara e credibile. Visti a due settimane di distanza, i risultati delle elezioni tedesche del 22 settembre ci dicono che la spinta della destra europea – che sbaglieremmo a considerare esaurita – può essere contrastata con efficacia solo da un’ opzione riformista solidamente consapevole della propria cultura di governo.

 

gli Articoli

Le cose da fare

E l'Ulivo? Sei domande ai segretari dei partiti del centrosinistra

di Redazione

Italianieuropei è convinta che occorra riportare al centro della discussione politica il tema della costruzione di una coalizione di centrosinistra solida e propositiva. Serve un Ulivo capace di incalzare il centrodestra, in sempre più evidente difficoltà, e di preparare le condizioni per un’alternativa di governo. Per questo abbiamo chiesto all’Associazione Artemide e ad un gruppo di sindaci del centrosinistra – tra quelli eletti o riconfermati alle elezioni dello scorso maggio – di indirizzare ai segretari dei partiti del centrosinistra una riflessione e una serie di domande sul futuro dell’alleanza dell’Ulivo.

 

Pensare la politica

Una casa per tutti i riformisti europei. Lettera aperta al PSE

di Giuliano Amato e Massimo D'Alema

Cari compagni del Partito del socialismo europeo, è trascorso ormai un decennio da quando prese avvio quel processo che, in breve tempo, ci avrebbe portato al governo della grande maggioranza dei paesi europei. All’inizio degli anni Novanta erano in molti, e non solo tra i conservatori, a preconizzare una crisi rapida e definitiva per le forze del socialismo europeo. Dopo la nostra prolungata sofferenza degli anni Ottanta – questo era il nucleo essenziale del ragionamento – il collasso dei regimi autoritari all’Est avrebbe consacrato l’egemonia conservatrice in Europa e sepolto le prospettive di una ripresa di consensi per la sinistra. Ognuno di noi sa bene che non è andata così. E ognuno di noi ricorda che proprio allora la sinistra europea iniziò invece a ritrovarsi, nella specificità delle diverse realtà nazionali, intorno all’urgenza di imprimere una svolta ai propri programmi politici.

Il Caso Italiano / I Conti

I conti che non tornano

di Paolo Onofri

«Stiamo realizzando il contratto con gli italiani». Proviamo a riassumere sinteticamente l’azione di governo nel corso dei primi cinquecento giorni della legislatura. Il governo ha affrontato immediatamente alcuni problemi di natura strettamente personale, avviandoli a risoluzione con rapidità ed efficienza; ha risolto altri di natura molto settoriale (abolizione dell’imposta di successione sui grandi patrimoni, rientro e regolarizzazione dei capitali esportati con condono fiscale incorporato, a bassissimo prezzo) con scarsi vantaggi per la collettività e semmai consolidando le disuguaglianze di reddito e patrimonio. Ha aumentato a 516 euro al mese la pensione di meno di un milione e mezzo di pensionati, dei quali poco meno della metà ne riceveva già circa 480.

Il Caso Italiano / I Conti

Il nuovo inizio è già finito

di Pier Luigi Bersani

Le difficoltà del governo nel campo dell’economia e della finanza pubblica hanno origine nella pur efficace impostazione ideologica che garantì a Berlusconi una campagna elettorale vittoriosa. L’idea del nuovo inizio, l’idea del balzo miracolistico avevano bisogno di una linea economica funzionale e coerente. Ecco allora, perfettamente utile allo scopo, una ricetta volontaristica, giocata tutta sulle aspettative ed in grado di ospitare ogni promessa. Tenere alti gli obiettivi, allentare qualche briglia, promuovere qualche misura d’avviamento forzando sulle coperture: al resto avrebbe pensato la ripresa americana. Corollario indispensabile allo schema erano la negazione di ogni dato dissonante (a metà 2001 le vicende del mondo si vedevano già abbastanza chiaramente) e l’aggressività nella gestione politica (ciò che non torna, è di responsabilità altrui).

 

Il Caso Italiano / I Sondaggi

La concentrazione demoscopica

di Alessandro Amadori

I sondaggi di opinione fanno parte del più ampio ambito, economico e metodologico, delle ricerche di mercato e demoscopiche. Si tratta di un mercato piuttosto limitato in Italia, il cui valore totale non supera i 500 milioni di euro (solo per fare un esempio, in Francia per sondaggi e ricerche si spende più del doppio). I maggiori istituti italiani di ricerche di mercato sono una cinquantina, quelli comunque significativi sono in tutto un centinaio, ma di essi all’incirca una decina si occupa anche di ricerche politiche e di sondaggi elettorali. Nel 2001, gli investimenti nelle ricerche di mercato in Italia, come segnala ASSIRM (uno fra i principali operatori del settore), sono andati parzialmente in controtendenza rispetto alla diminuzione dei budget pubblicitari.

Lo Specchio

Osservatorio sul centro sinistra

di Giacomo Sani e Paolo Segatti

Nell’anno e mezzo trascorso dalle elezioni del 13 maggio 2001, molte sono state le valutazioni sullo stato di salute dell’ Ulivo e le proposte per il suo rilancio. Al dibattito hanno preso parte osservatori ed esponenti politici di parte diversa e non è mancata la voce di settori non marginali dell’elettorato di centrosinistra. I giornali e la televisione, come loro compete, hanno raccolto le diverse opinioni, e così facendo hanno contribuito a costru i re una delle immagini dell’Ulivo, forse la più incisiva tra quelle che giungono agli elettori. Ma quale è il profilo dell’immagine che emerge dai media, quali sono i suoi contenuti? Per rispondere al quesito abbiamo pensato che fosse utile vedere come la stampa si è occupata dei casi dell’Ulivo in un periodo particolarmente caldo della sua vita. Accanto a questa prima linea di ricerca, e sempre con l’intento di tentare di capire come l’Ulivo viene visto da altri soggetti piuttosto che come si percepisce attraverso i suoi esponenti ed elettori, abbiamo raccolto i pareri sullo stato dell’Ulivo espressi da un piccolo ma qualificato campione di studiosi di materie politologiche, presenti nelle nostre università.

 

Dopo l'11 Settembre

Lontani ma vicini. Le opinioni pubbliche di Europa e Stati Uniti sulla politica internazionale

di Pierangelo Isernia

Americani ed europei si stanno progressivamente allontanando gli uni dagli altri? Dopo più di cinquant’anni di sodalizio, ci stiamo dunque avvicinando al «divorzio» tra Europa occidentale e Stati Uniti? Negli ultimi mesi, questo tipo di domande ricorre con sempre maggiore frequenza nel dibattito tra politici, osservatori e studiosi di entrambe le sponde dell’Atlantico. Apparentemente, non sembra esserci dubbio sul fatto che i temi sui quali americani ed europei dissentono siano cresciuti di numero e di rilevanza politica. In questo dibattito (cfr. Everts, 2001; Daalder, 2001; Kagan, 2002) le posizioni divergono su tutto - la portata della frattura, le cause, le conseguenze e come affrontarle - tranne che sul punto di pa rtenza: la convinzione cioè che Stati Uniti e paesi europei siano sempre più diversi. Ma è effettivamente il caso di dare questo punto di partenza per scontato?

 

Policy Network

Nuovi elettorati, nuove strategie

di Philip Gould

Negli ultimi dieci anni le regole della politica sono cambiate radicalmente, ma fino a qualche tempo fa sono stati in pochi ad averlo notato. Nel 1992 il terreno politico si stava già rinnovando in coincidenza con la fine della guerra fredda, il delinearsi del concetto moderno di globalizzazione, e l’inizio della rivoluzione di Internet. In Gran Bretagna, i laburisti subivano il trauma della sconfitta. Negli Stati Uniti, Bill Clinton vinceva le elezioni presidenziali grazie ad un nuovo programma politico progressista adatto al quadro dell’economia globale e a una strategia elettorale inedita. Non si trattava solo di tecniche originali ma soprattutto di valori, impegno, e della determinazione a risollevarsi dopo più di un decennio segnato dalla umiliante, e apparentemente inevitabile, avanzata dei repubblicani.

 

Due mesi di Politica

Governare (bene) l'immigrazione per sconfiggere il razzismo

di Giovanna Zincone

E' bene partire dalla constatazione empirica che non esistono politiche di immigrazione capaci di risolvere le tensioni e i problemi che il fenomeno inevitabilmente comporta. Ci sono però provvedimenti e comportamenti pubblici destinati ad aggravare le inevitabili difficoltà ed altri che, al contrario, possono attenuarle. Parto dalla pessimistica osservazione iniziale per cercare di capire poi quali errori sono stati fatti e si continuano a fare e quali si potrebbero evitare. A sua volta l’osservazione pessimistica si può scomporre nella rilevazione di due, almeno parziali, fallimenti obbligati che dovremmo almeno contenere: il mancato controllo delle frontiere e la mancata integrazione. Primo parziale fallimento: nessun paese si è dimostrato capace di far entrare soltanto il numero di immigrati stabilito secondo le proprie decisioni pubbliche.

 

Due mesi di Politica

Il riformismo all'opposizione

di Nicola Rossi

Da qualche tempo un nuovo luogo comune si è impadronito della sinistra: l’idea che negli anni più recenti essa si sia occupata troppo di economia e poco, troppo poco, della società. Troppo di Maastricht, dell’ e u ro, del risanamento delle finanze pubbliche, del funzionamento dei mercati e poco, troppo poco, dell’immigrazione o delle condizioni di lavo ro. È un’analisi superficiale e sbagliata e, almeno per quanto riguarda la sinistra italiana autoconsolatoria. Se solo si fosse voluto – questa è l’idea – si sarebbe potuto correggere il tiro; e comunque è bene farlo ora, subito, prima che sia troppo tardi. Purtroppo non è così semplice. Non si tratta, infatti, di passare da un tema all’altro: abbiamo di fronte, piuttosto, due questioni apparentemente distanti se non contraddittorie, ma nella realtà strettamente connesse.

 

Versus

Una riforma per la giustizia: puntare sull'efficienza

di Gian Carlo Caselli

Non è facile – di questi tempi – pensare un intervento in tema di riforme per la giustizia. Forse ha ragione Carlo Federico Grosso, il quale va ripetendo che oggi meno si cambia meglio è, perché qualunque cambiamento rischia di essere solo peggiorativo. Sia come sia, è certo che dalla crisi della giustizia non si esce con «aggiustamenti» o piccoli interventi. Bisogna pensare e intervenire «in grande», abbattendo anche antichi nostri tabù. Provo a fare alcuni esempi, senza «levigarli» più di tanto

 

Versus

Una riforma per la giustizia: separare le carriere

di Antonio Landolfi

Come uscire dalla crisi della giustizia in un paese come l’Italia che ha visto negli ultimi decenni perpetuarsi normative emergenziali, tentativi di riforme abortiti nello scontro micidiale tra un super-ego giustizialista e un garantismo peloso e a singhiozzo, che emerge quando ci sono in ballo interessi specifici, per dileguarsi quando l’opinione benpensante invoca «legge e ordine»? L’unica possibile via d’uscita è quella di mantenere la barra ferma e dritta sulla rotta tracciata da una tradizione autenticamente garantista che ha forti radici nella tradizione democratica italiana, prima e dopo il fascismo, le cui iniziative condussero a grandi progressi nel diritto positivo e nell’esercizio della giurisdizione, oltre a lasciare il segno in numerose battaglie giudiziarie.

Le Storie

Attacco angloamericano alle forze dell'Asse

di Giosuè Calaciura

La città bruciava deturpata senza riuscire a capire da che parte c’era entrata in quella guerra moderna dove non si vedeva mai il nemico, di scannatine nordiche, di marce lunghe al passo dei cingoli dei carri armati, di conquiste strategiche e nodi ferroviari, territori ampi per avanzare e per ripiegare. Qui i soldati venivano a farsi i bagni di mare e di sole perché non c’era nulla da conquistare se non la disgrazia millenaria e l’indifferenza. I militi stanziali stavano seduti tutto il giorno al limite delle trazzere di campagna e guardavano passare gli scecchi da soma caricati a nespole rubate giunte a maturazione solo per istinto naturale nei feudi di nobili morti per disabitudine all’indigenza, e non potevano imporre l’altolà a qualcuno perché erano animali addestrati a tornare a casa da soli secondo itinerari di sentieri stabiliti.

Europa Europe/La destra al governo in Europa occidentale

Come abbiamo cambiato il Partito popolare europeo

di Italianieuropei intervista Karl Lamers

Da molti anni portavoce di politica estera del gruppo parlamentare CDU/CSU, e oggi vicepresidente del PPE, Karl Lamers è stato durante lo scorso decennio la figura più autorevole del centrodestra tedesco per tutto quanto riguardava i rapporti con il conservatorismo europeo. In questo suo ruolo, egli ha di fatto disegnato l’operazione di allargamento dello spazio politico e culturale del Partito popolare europeo realizzata nella seconda metà degli anni Novanta. Quell’operazione che ha permesso al PPE di superare i tradizionali confini democratico-cristiani, aggregando tutto ciò che si opponeva al consenso allora incontrastato della sinistra. Italianieuropei lo ha intervistato, in un colloquio che muove dal senso di quell’operazione per giungere agli odierni equilibri tra le grandi famiglie politiche europee.

Europa Europe/La destra al governo in Europa occidentale

Dal partito popolare al partito conservatore europeo

di Mario Caciagli

Il Partito Popolare Europeo, «federazione dei partiti democristiani europei», come ancora si definisce, è stato fondato nel 1976 in vista delle prime elezioni del Parlamento europeo, quelle del 1979. Il PPE conta attualmente – il dato ultimo è del luglio 2002 – 52 membri, dei quali 24 effettivi, 18 associati e 10 osservatori. I membri effettivi sono i partiti dei 15 Stati dell’Unione europea; gli altri partiti sono associati o osservatori, indipendentemente dal fatto che gli Stati ai quali appartengono siano o meno candidati ad entrare nell’Unione europea. Fra i partiti dell’Unione uno è diventato da effettivo a osservatore negli ultimi due anni: si tratta della Südtiroler Volkspartei, che forse ha preso le distanze dal PPE contando sulla formazione di una federazione dei partiti etno-nazionalisti che potrebbe non tardare a costituirsi.

Europa Europe/La destra al governo in Europa occidentale

Il Partido Popular spagnolo. Dal neofranchismo al centrismo riformista

di Francesco Raniolo

Negli ultimi anni è cresciuta la familiarità dell’opinione pubblica italiana con il Partito Popolare spagnolo e il suo leader, Aznar. Occasioni mondane a parte, si tratta pur sempre di uno dei primi e più fidati alleati di Berlusconi. Un punto di riferimento isolato nel panorama delle cancellerie europee di fine anni Novanta. L’affinità elettiva è però ancora più profonda. Il «centrismo riformista» di Aznar, il «liberismo sociale» di Berlusconi, il «conservatorismo compassionevole» di Bush e, ora, l’«umanesimo cristiano» di Stoiber, rappresentano il cuore ideologico e retorico della controffensiva neoconservatrice al programma neo-laburista di Blair e dei leader socialdemocratici e socialisti europei che sono ancora, o sono stati nel decennio scorso, al governo. La risposta della «nuova via» neoconservatrice alla «terza via» socialdemocratica.

 

Europa Europe/La destra al governo in Europa occidentale

Dal neofascismo al nazionalpopulismo. La parabola dell'estrema destra europea

di Marco Tarchi

Il populismo è spesso considerato sinonimo di estrema destra. O la sua variante attualizzata, più presentabile di quella classica. Chi sostiene questa interpretazione enfatizza le analogie esistenti fra i programmi di formazioni come il Front national, la FPÖ, i Republikaner, il Vlaams Blok, il Partito del Popolo danese, la lista Pim Fortuyn, l’Unione di Centro svizzera, la Lega Nord, e quelli dei movimenti ascrivibili all’orbita neofascista, sottolinea le frequentazioni estremistiche giovanili di qualche leader populista o crede di poter individuare maîtres à penser che fungano da raccordo culturale fra la vecchia e la nuova estrema destra e ne spieghino, nel contempo, l’evoluzione strategica.

 

Europa Europe/La sinistra al governo in Europa centrorientale

Perchè la sinistra vince in Europa centrorientale?

di Marco Piantini

La recente serie di sconfitte della sinistra in vari paesi dell’Unione europea contrasta apertamente con i successi ottenuti da partiti aderenti alla famiglia socialista in paesi chiave dell’Europa come Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca. Qui di seguito autorevoli esponenti della sinistra di governo di questi paesi intervengono su alcune delle ragioni dei loro successi elettorali, su specifiche dinamiche nazionali e di più vasta portata. Leszek Miller, primo ministro polacco, e Vladimír Špidla, primo ministro ceco, sono anche leader di partiti aderenti al Partito del Socialismo Europeo.

 

Europa Europe/La sinistra al governo in Europa centrorientale

L'esempio di Praga

di Vladimir Špidla

Il nuovo governo di coalizione insediatosi a Praga dopo le elezioni dello scorso giugno – il primo che dopo molti anni possa contare su una maggioranza parlamentare – ha impostato il proprio programma su quella che noi consideriamo la priorità fondamentale della Repubblica Ceca: l’ingresso nell’Unione europea. Il Partito socialdemocratico guida la coalizione, dopo il netto successo registrato alle elezioni, e governa sulla base di un accordo di legislatura insieme ai democratico-cristiani (con cui condivide gli orientamenti sociali) e ai liberali dell’Unione delle libertà (con cui condivide l’attenzione alla società civile e al ruolo dell’educazione nello sviluppo sociale ed economico).

Europa Europe/La sinistra al governo in Europa centrorientale

La Polonia e la nuova Europa

di Leszek Miller

Quando un anno fa, nel settembre del 2001, la sinistra polacca vinse nuovamente le elezioni legislative sembrò inverarsi quella regola non scritta per la quale se in Europa occidentale il pendolo della politica si sposta verso destra in Europa centrorientale succede esattamente il contrario. Oggi, in ogni caso, è possibile tentare una prima valutazione del modo in cui il nostro programma è in corso di realizzazione. Al di là dell’ovvia constatazione secondo cui è molto più facile costruire un programma elettorale che non metterlo in pratica, la verità è che sul nostro cammino sia di politica interna che estera abbiamo incontrato difficoltà del tutto impreviste. Dal governo di destra che ci ha preceduto abbiamo ereditato una Polonia in condizioni ben peggiori di quanto ci attendessimo: calava ciò che doveva crescere e cresceva ciò che doveva calare.

Novecento

Pensare l'Europa

di Salvatore Veca

Il saggio di biagio de giovanni è appassionante, denso e complicato. Appassionante perché si misura con alcune grandi questioni che affollano l’agenda di un’Europa possibile in una fase storica come quella attuale, in cui sembra essere in gioco la capacità stessa dell’Unione di essere attore politico globale in un mondo contrassegnato dal fatto della globalizzazione. È denso perché de Giovanni concentra in un’ampia introduzione e in sei lunghi capitoli il precipitato di una vasta serie di riflessioni che hanno carattere filosofico, intrecciate a un tentativo di interpretazione che mira a tenere insieme in modo coerente la storia dell’idea di Europa e la storia dei fatti che sono salienti nella lunga vicenda che è alle nostre spalle. È complicato perché il lettore è costantemente costretto a passare dall’ambito della storia delle idee a quello della storia delle pratiche e delle politiche, dallo spazio dei modi di pensare l’Europa a quello dei modi di fare l’Europa e, soprattutto, dei modi di farsi dell’Europa; e tutto questo su archi temporali a volte molto lunghi a volte contratti con un effetto un po’ da capogiro, come se uno fosse trascinato su un carrello lanciato a gran velocità in una giostra che gira vorticosamente.

Le Idee

Lo Stato spongiforme e il vuoto del capitalismo europeo

di Giulio Sapelli

Molto si discute oggi sull’emergere di una «nuova destra europea», che porrebbe in discussione in forma non episodica i governi pluriennali delle sinistre e che fonderebbe il suo dominio politico su nuovi «blocchi sociali». La riflessione sulle «basi sociali» della destra che avanza in Europa deve essere spregiudicatamente diretta a disvelare il meccanismo di dominio che sorregge il nuovo nucleo di classi politiche che si sono insediate nella cuspide degli apparati statali europei e che si apprestano a usare per consolidare il loro potere. Tuttavia l’espressione «blocco» o «base» sociale della destra mi lascia perplesso. Innanzitutto per un motivo politico generale: al governo di molte nazioni europee non vi è una «destra», né nel significato latinoamericano del termine, ossia populistica, né una destra liberista, ossia thatcheriana. Vi è un aggregato composito di forze: un’aggregazione d’interessi politici che sono raccolti attorno a compositi interessi alto e medioborghesi e di spezzoni assai estesi di ceti operai, con il collante di eterogenee classi medie.

Le Idee

Il grano di Liberaterra. Dai beni confiscati alla mafia una risorsa per lo sviluppo

di Giovanni Colussi e Rosa La Plena

Sempre più spesso i beni confiscati alle organizzazioni criminali salgono agli onori delle cronache. Un giorno è la notizia che un patrimonio di svariati milioni di euro è stato sequestrato ad un importante gruppo criminale. Poi è la volta di una confisca, altri beni che vanno ad aggiungersi al patrimonio dello Stato. Valori che magari erano stati sequestrati in una delle tante indagini della metà degli anni Novanta seguite alla stagioni delle stragi. Ma non sono solo notizie di sequestri e confische che giungono in questi mesi. Si parla di riutilizzo di questi beni, si vedono in televisione campi che prima erano patrimonio di famosi boss, che oggi vengono coltivati da giovani riuniti in cooperative. Sembra questa una stagione propizia per pensare ai beni confiscati alle mafie in modo nuovo, più completo e consapevole. È ora quindi che questo tema esca dal recinto delle cronache giudiziarie o dei fatti di costume e venga percepito per quello che è: una grande opportunità per fare sviluppo e insieme lotta alla mafia degna di comparire nei primi posti dell’agenda politica.

Archivi Del Riformismo

La conquista di ogni giorno. A proposito di Fernando Santi e dei socialisti nella CGIL

di Marco Gervasoni

Curioso destino quello dei leader del sindacalismo italiano del Novecento. Tanto conservano un minimo livello di notorietà i capi politici del socialismo e del comunismo, da Turati a Nenni, da Togliatti ad Amendola, quanto restano più sfocati i nomi di un Bruno Buozzi o di un Di Vittorio. Tutto ciò nonostante l’importanza del contributo del sindacalismo che, nell’età giolittiana e poi in quella repubblicana, non fu certo inferiore, nell’alfabetizzare politicamente le masse (e persino nel nazionalizzarle), a quello dei partiti politici.