Il dramma nucleare in Giappone: perché non si ripeta in Italia

Written by Italianieuropei Wednesday, 16 March 2011 15:47 Print
Il dramma nucleare in Giappone: perché non si ripeta in Italia Photo: IFRC

Il dramma in Giappone ha riportato alla ribalta la questione nucleare. La crisi giapponese è dovuta a una concatenazione di eventi eccezionale, ma non impossibile e in un paese come l’Italia, con un elevato rischio sismico, il nucleare non dovrebbe essere un’opzione. 

 

La tragedia che vive il Giappone dallo scorso 11 marzo tocca tutta la comunità internazionale che ha solo potuto assistere impotente allo svolgersi di una successione di catastrofi naturali seguite dal suo tragico corredo di distruzione e di morte. Il mondo intero ha potuto constatare la capacità del popolo giapponese di affrontare con calma e in modo sereno l'avversità. Per questo popolo non proviamo solo compassione, ma anche ammirazione. Nel momento in cui vengono scritte queste righe, la tragedia non è ancora conclusa. È possibile che le scosse sismiche si ripetano e il Giappone e il mondo guardano con ansia all'evoluzione della situazione nelle diverse centrali nucleari, che si sa già essere preoccupante, ma della quale non si può conoscere l'epilogo. Nella centrale di Fukushima due reattori hanno visto un inizio di fusione e un terzo, probabilmente, un inizio di fissione. Anche la centrale di Tokai, non lontana da Tokyo, ha problemi di sicurezza e persistono i dubbi su quello che sta accadendo nella centrale di Onogawa.

Le informazioni di cui disponiamo oggi non permettono di capire che cosa stia veramente avvenendo ma, come ha notato molto giustamente l'esperto Mycle Schneider, «abbiamo già conosciuto situazioni difficili in molti reattori nel mondo, ma le teste migliori hanno sempre potuto concentrarsi nella gestione della crisi. Qui è completamente diverso: attualmente ci sono sette reattori in situazione di emergenza nucleare».

Lo scorso 14 marzo, nel corso della sera, il direttore dell’Autorità per la sicurezza nucleare francese aveva dichiarato che l'incidente doveva già avere raggiunto «il livello 5 e forse addirittura 6», e oggi non si può escludere il livello più elevato, il 7, corrispondente al disastro di Chernobyl.

I gravi incidenti in corso sono già presentati dai portavoce ufficiali e dai rappresentanti dell'industria nucleare come conseguenza particolarissima di un evento molto eccezionale e del tutto improbabile altrove: un terremoto di magnitudine 8,9 seguito da uno tsunami. È del tutto vero che è stato l’accumularsi di questi eventi che ha fatto scattare la sequenza che ha portato alla situazione attuale: blocco automatico dei reattori al rilevamento della scossa (com’era previsto), reattori che però devono essere continuamente raffreddati mediante la circolazione di acqua. Ma l’interruzione di corrente all'esterno, causata dal cedimento della rete elettrica dopo il blocco improvviso di undici dei reattori presenti nel paese, ha determinato la messa in funzione dei generatori diesel di soccorso in dotazione alla centrale, per azionare le pompe di alimentazione idraulica necessarie al raffreddamento. Lo tsunami, a questo punto, sarebbe responsabile del disastro: i diesel, sommersi dall'acqua, non si sono avviati. Di qui il surriscaldamento del nucleo del reattore con le conseguenze attualmente in corso sui reattori incidentati, il cui esito può essere catastrofico.

Quello che però funzionari e industriali omettono volontariamente di segnalare è il fatto che questa successione di disfunzioni può benissimo verificarsi con il più lieve terremoto o tsunami.

I blocchi programmati o intempestivi di un reattore per incidenti di poco conto, infatti, non sono rari. Nessun problema, purché le pompe di circolazione continuino a essere alimentate normalmente. Ma un’interruzione di corrente sulla rete esterna può verificarsi anche per altre ragioni oltre a un terremoto: incidente su una linea di alta tensione, sabotaggio ecc. Restano allora i generatori diesel. Non c’è bisogno di uno tsunami per farli finire sott'acqua e neutralizzarli. Così in Francia, alla centrale del Blayais sull’estuario della Gironda (vicino a Bordeaux), è bastata la coincidenza di una grande marea e di una depressione atmosferica per produrre lo stesso risultato: interruzione dell’alimentazione elettrica delle pompe e perdita di una gran parte dei dati sullo stato della centrale. L'incidente è stato evitato per un pelo.

Molte altre cause possono provocare guasti sui generatori di emergenza. Così, sempre in Francia, spesso indicata come esempio in materia di sicurezza, si è saputo che una quindicina di giorni fa alcune componenti essenziali dei generatori di emergenza, i cosiddetti “cuscinetti”, erano difettose e avrebbero potuto facilmente provocare il grippaggio dei motori diesel. Si è anche saputo che su trentaquattro reattori del parco nucleare francese il sistema di iniezione di emergenza non funzionava con la precisione richiesta dalla sicurezza nucleare. L‘Autorità francese per la sicurezza nucleare ha scritto che, nel caso di una perdita sul circuito primario, «il nucleo del reattore non poteva essere raffreddato correttamente», ammettendo in questo modo la possibilità, su quei trentaquattro reattori, di un concatenarsi di incidenti successivi analoghi a quelli che oggi si verificano sulla centrale giapponese. In ogni angolo del pianeta numerosi incidenti, nel corso degli ultimi anni, hanno messo in evidenza questo ”tallone d’Achille della sicurezza nucleare“: il verificarsi simultaneo di eventi che, presi uno per uno, non avrebbero conseguenze negative, ma che insieme possono scatenare una catastrofe. Possono esserci più cause che provocano un incidente grave, cause di natura differente, e il rischio maggiore è in gran parte legato alle possibilità di combinazione di queste diverse cause in una dinamica fatale: cedimento materiale, errore umano, aggressioni esterne accidentali, atti dolosi, terrorismo... Eppure Three Miles Island e Chernobyl avevano dimostrato che la concomitanza di eventi a priori improbabili poteva verificarsi e risultare fatale.

Il rispetto che si deve alle vittime delle catastrofi e il dovere dei responsabili politici ed economici è di comprendere perché si sia verificato l’impensabile e che cosa si possa fare per limitare o eliminare il rischio che questi fatti si ripetano. Non si può impedire un terremoto ma, come hanno dimostrato i giapponesi, si possono imporre norme antisismiche che limitano i danni agli edifici. Si possono evitare i rischi inerenti alle attività umane, limitandole e vietandole, e questo rientra nell'ambito delle scelte della società, che le società democratiche devono fare democraticamente.

Oggi sappiamo che le diverse tecnologie in commercio per la produzione di energia nucleare non garantiscono del tutto che non si verifichino gravi catastrofi, così come non offrono soluzioni durevoli per le scorie radioattive, le quali hanno per certo una nocività potenziale di vari millenni. La dissimulazione di questi rischi è un attentato alla democrazia, come la scommessa su soluzioni future per i problemi che lasceremo alle generazioni a venire è un crimine contro di loro.

Il dramma del Giappone avviene nel momento in cui l’attuale governo italiano vuole concretizzare la sua opzione nucleare, avendo già compiuto una scelta nei confronti del reattore EPR francese, presentato come più ”sicuro“. Dopo le prime discussioni, che si sono tradotte in alcuni accordi tra EDF ed ENEL, questo reattore, decantato come economico e sicuro, ha conosciuto solo fiaschi nei due unici cantieri in corso (in Finlandia e in Francia). Costi d'investimento alle stelle, ritardi che si contano in anni sul completamento dei cantieri e, ciò che è il colmo per una tecnologia elogiata come più sicura, le tre autorità per la sicurezza nucleare della Francia, della Finlandia e del Regno Unito hanno messo in dubbio l’affidabilità del comando-controllo del reattore EPR.

La scelta a priori – per ragioni difficili da capire – di questa tecnologia è secondaria rispetto alla decisione di adottare l’opzione nucleare e di riconsiderare il rifiuto opposto dal popolo italiano ventisei anni fa. Le ragioni esposte oggi dai nuclearisti sono in parte sempre le stesse: si ridurrebbe la dipendenza dall’estero, diminuirebbe il peso del petrolio. A questi vecchi argomenti se ne aggiungono di nuovi: la riduzione delle emissioni di gas serra e (almeno fino all’11 marzo) la presunta sicurezza raggiunta dal nucleare. Un dibattito documentato e trasparente dimostrerà che queste argomentazioni, in particolare per l'Italia, sono false, tranne per quel che riguarda l’effetto serra, ragione che però si rivela fondata solo nel caso in cui l’elettricità è prodotta da energie fossili, ma che risulta essere sbagliata quando l’elettricità è di origine rinnovabile.

Da un dibattito documentato e trasparente emergerà che, per meglio giustificare il nucleare, il governo italiano ha preso nel corso degli ultimi mesi misure contraddittorie il cui obiettivo reale è bloccare lo sviluppo delle rinnovabili per dare uno spazio maggiore all’opzione nucleare, con la complicità dei grandi operatori industriali italiani del settore energetico. Mentre in molti sanno bene che l’opzione nucleare in Italia sarà sempre rimandata alle calende greche e che nel frattempo tutto andrà avanti come prima per le energie fossili.

Da un dibattito documentato e trasparente emergerà che le linee di fondo della politica energetica italiana, nel quadro dei suoi impegni nel contesto della politica energetica europea, sono: efficienza nella produzione, nella trasformazione, nel trasporto e nel consumo di energia; sviluppo controllato delle energie rinnovabili.

Un dibattito documentato e trasparente, in particolare dopo il dramma giapponese, ricorderà agli italiani che optando per il nucleare, tra tutti i fattori di rischio in comune con i paesi che hanno fatto la medesima scelta, condivideranno con il Giappone anche l’aggravante dell’elevato rischio sismico. Quel lunedì 14 marzo al telegiornale della sera di una grande rete pubblica francese (Antenne 2), un dibattito sul nucleare ha visto contrapposti Daniel Cohn-Bendit e il professor Claude Allégre, geologo, ex ministro e difensore del nucleare. Quest'ultimo, pur sostenendo l‘opzione nucleare per la Francia e la maggior parte dei paesi europei, ha sorprendentemente affermato con la massima fermezza che a causa del rischio sismico «non si dovrà mai fare il nucleare in Italia». Lasciamo a lui l'ultima parola.

 

 

 


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