Massimiliano Panarari

Massimiliano Panarari

insegna Marketing politico all’Università di Roma LUISS “Guido Carli”.

Il nuovo cleavage tra sovranisti ed europeisti

La politica dell’età contemporanea in Europa si è organizzata, come noto, intorno ad alcune fratture sociali (indagate dalle teorie dello sviluppo politico). Quelle da cui sono nati i partiti che hanno strut­turato i sistemi politici per come li abbiamo conosciuti, tra alti e bassi, sostanzialmente fino ai giorni nostri, e che hanno fornito la spina dorsale della politica razionale della modernità post-illumini­stica. Con la teoria dei cleavages, gli scienziati politici Stein Rokkan e Seymour Martin Lipset, nella seconda metà degli anni Sessanta, hanno spiegato la genesi e lo sviluppo delle formazioni partitiche incrociando due dimensioni in base all’asse del conflitto politico (territoriale o funzionale) e alla rivoluzione (nazionale e industriale), da cui hanno tratto origine le fratture centro-periferia, Stato-Chiesa, città-campagna e capitale-lavoro.

Edonismo

L’età postmoderna è, senza ombra di dubbio, il regno dell’edonismo. Di una tipologia e di una qualità assai differenti (se non antitetiche) rispetto all’obiettivo del conseguimento dell’atarassia che ha caratterizzato l’edonismo dell’antichità, quello contemporaneo coincide piuttosto con il “tutto e subito”, in una dimensione di annullamento della profondità temporale, ed è cresciuto di forza e intensità nel secondo Novecento, sino a divenire, con l’ingresso nei fatidici (e famigerati) anni Ottanta, una sorta di slavina inarrestabile.

Villaggio globale

N on sarebbe possibile pensare la contemporaneità senza la rivo­luzione comunicativa, e l’impatto straordinario che ha avuto sull’Occi­dente, rafforzandone inizialmente la centralità, sia sotto il profilo poli­tico − basti pensare alla messa in scac­co della rivoluzione organizzativa, di molto precedente, e principale mo­tore politico del movimento operaio e sindacale per oltre un secolo e mez­zo − sia sotto quello economico, so­ciale ed epistemologico.

Quel nesso inestricabile tra scienza e politica

A proposito di Marcel Mauss e del «riformismo» delle scienze sociali della Terza Repubblica

È ampiamente nota, anche in Italia, l’opera antropologica e di teoria e metodologia delle scienze sociali di Marcel Mauss, che ne fa uno dei fondatori dell’etnologia in quel fecondissimo crogiolo della cultura europea che fu la Francia della Terza Repubblica a cavallo tra i due secoli. Un periodo che possiamo considerare come l’autentico laboratorio della sociologia e delle scienze umane moderne, luogo di incontro di quella grande cultura borghese, che costituisce uno degli apporti più peculiari della Francia alla storia e alla civiltà del nostro continente, con i fermenti di innovazione e trasformazione verso un mondo meno iniquo provenienti dal socialismo e dal movimento operaio, il quale andava acquisendo organizzazione e rappresentanze. In poche parole, le radici stesse e le origini ante litteram del «modello europeo».

 

Quell'America liberal che ci piace tanto

Se all’indomani del tragico e fatidico 11 settembre, come aveva titolato «Le Monde», l’intero Occidente si era sentito «tutto americano» come un sol uomo, per i progressisti è diventata impellente, più di recente, una nuova e ulteriore identificazione: quella che non troppo tempo fa Timothy Garton Ash ha emblematicamente sintetizzato, affermando che «siamo tutti americani blu ora», dal colore del Partito democratico ancora adesso, almeno parzialmente, sotto shock, dopo la sconfitta elettorale, e orfano di un leader. Or dunque, il quesito fondamentale è: esiste veramente un’«Altra America»? Qualcuno dice che è soltanto un’idea, la proiezione di una lista di desiderata tipicamente europei che c’entra poco o nulla con la prima (e unica) superpotenza planetaria odierna, int enzionata a fare e disfare, e a rimodellare l’ordine mondiale all’insegna di un «Nuovo secolo americano», in maniera – per usare un eufemismo – quanto meno sbrigativa, preoccupandosi assai poco dei propri partners e men che meno dell’Unione europea.

 

Lavoro intellettuale come passione politica. A proposito di Pierre Rosanvallon

Probabilmente la migliore delle definizioni è quella che ci rimanda alla figura di un prestigioso e grande intellettuale europeo riformista, nel senso più alto e profondo del termine. Un uomo di cultura cosmopolita, conosciuto in tutto il mondo e, al tempo stesso, profondamente francese. Il quale vive nella capitale di una nazione la cui sinistra palesa ancora, per immarcescibili ragioni storiche, non poche difficoltà e resistenze a riconoscere la piena dignità della visione politica cui si ispira la rivista che ci ospita e del cui comitato editoriale Rosanvallon rappresenta un autorevole membro.

 

Elogio della manipolazione politica

È invalso da tempo (soprattutto in un paese come il nostro di «santi, poeti, navigatori e… sportivi», purtroppo il più delle volte passivi) applicare la metafora calcistica a ogni pie’ sospinto e a ogni ambito della vita quotidiana. Abitudine che, notoriamente, non risparmia neppure la politica. Se, per una volta, si prova però a cambiare disciplina sportiva, appare per molti versi evidente come la politica postmoderna assomigli a un tennis court assai più che a un campo da calcio.

 

L'invenzione dell'opinione pubblica

«Opinione pubblica», quante volte ci capita di leggere o di usare comunemente e con familiarità questa espressione, perfetto esempio di quanto uno dei maggiori storici della contemporaneità, Eric J. Hobsbawm, non avrebbe, invece, esitato a definire l’«invenzione di una tradizione»? Un concetto per noi alquanto «scontato», ma dalla genesi lunga e complessa, che trova un affresco magistrale nel libro – da riscoprire e rileggere – dello statunitense Walter Lippmann intitolato «L’opinione pubblica», un autentico classico, pieno di intuizioni geniali e pionieristiche e attualmente un po’ trascurato, degli studi sulla comunicazione e la formazione delle «visioni del mondo» poste all’origine delle società contemporanee dell’Occidente.

 

Un riformista integrale

Oggi che la sinistra democratica e progressista italiana avverte significativamente il bisogno di rinsaldare le proprie radici e di ricostruire in maniera precisa la galleria dei propri padri fondatori, sembra giunto il momento di riscoprire una figura, per troppo tempo ingiustamente negletta o confinata ad un ambito locale, la cui opera ha influenzato profondamente l’epopea nazionale del socialismo riformista. Ovvero quella del «socialista galantuomo» Camillo Prampolini, artefice ed inventore del «modello emiliano» nella versione del «metodo reggiano»: un paradigma di riformismo applicato e realizzato che, pur mostrando attualmente qualche crepa, rimane certamente uno dei contributi più importanti offerti dal nostro paese alla storia del movimento operaio e progressista internazionale.

 

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