Il Brasile nei BRICS

Di Francesca D'Ulisse Mercoledì 20 Settembre 2023 15:04 Stampa
Il Brasile nei BRICS Illustrazione di Emanuele Ragnisco

«Adesso l’America è, per il mondo, nient’altro che gli Stati Uniti: noi abitiamo in una sub-America, un’America di seconda classe, difficile da identificare. È l’America Latina, la regione delle vene aperte». Con queste parole Eduardo Galeano negli anni Settanta evidenziava la marginalità del continente latinoamericano nello scenario globale, quasi una “non identità” che era evidente fin dalla sua denominazione, perché nei paesi terzi riferirsi all’America significava riferirsi solo agli Stati Uniti e non all’intero continente. Sono passati cinquant’anni da quella frase e l’America Latina, seppur a fatica, è riuscita a ritagliarsi un suo spazio nel mondo anche grazie all’opera politica e allo sforzo economico di un paese tra tutti: il Brasile.
Il Brasile è stato il protagonista più attivo nei processi di integrazione regionale – il solo modo per contare davvero in un mondo Gzero – con il Mercosur, l’Unasur, la CELAC e, ogni qualvolta è stato governato da presidenti illuminati, si sono registrati progressi economici e politici in tutta la regione. Ma il Brasile non guarda solo all’America Latina: per dimensioni continentali, per popolazione, per prodotto interno lordo, per tradizione diplomatica, la sua proiezione esterna travalica i confini regionali, inserendosi a pieno titolo tra le principali potenze del Sud globale che chiedono una interlocuzione da pari a pari con il cosiddetto “Occidente”. E in questa nuova realtà geopolitica, l’appartenenza al gruppo dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) riveste un ruolo rilevante nei numeri e nel dialogo politico tra i cinque paesi.
Acronimo nato da una intuizione di Jim O’ Neill di Goldman Sachs nel 2002 (allora solo BRIC), quindi in un contesto di banche di affari per indicare paesi in cui fosse conveniente investire e che presentassero prospettive economiche interessanti, solo successivamente, nel 2009, i quattro paesi BRIC (il Sudafrica venne integrato nel 2011 completando così i BRICS), crearono un foro di discussione alternativo al G7 e parallelo al G20 in cui il Brasile, allora a presidenza Lula, avesse un suo indiscusso protagonismo, essendo capace di portare anche le altre potenze del consesso a sperimentare ambiti di intervento estranei alla ragione sociale del foro. Nato, come abbiamo visto, come blocco economico, i BRICS si stanno infatti sempre più ritagliando un ruolo politico nel dialogo e nel confronto tra potenze.  I PROFILI COMMERCIALI ED ECONOMICI
Per capire in che modo il Brasile viva la sua appartenenza ai BRICS vale la pena cominciare dal fronte economico. Secondo i dati del Ministério do Desenvolvimento, Indústria, Comércio e Serviços (ministero dello Sviluppo, dell’industria, del commercio e dei servizi), nel periodo gennaio-maggio 2023 (l’inizio della terza presidenza Lula), l’export del Brasile verso i paesi BRICS è cresciuto del 5,8% rispetto allo stesso periodo del 2022. Le importazioni sono diminuite dell’8,9% rispetto allo stesso periodo del 2022, con un superavit a favore del Brasile di 16.453 milioni di dollari. Sempre considerando i primi cinque mesi dell’anno in corso, la quota parte dell’export verso i paesi BRICS ha rappresentato il 32,32% del totale delle esportazioni del gigante latinoamericano; le importazioni dai paesi BRICS rappresentano il 27,21% del totale dell’import brasiliano. Numeri di tutto rilievo specie se confrontati con le partite commerciali degli Stati Uniti o dell’Unione europea. Gli Stati Uniti, nel periodo gennaio-maggio 2023, hanno rappresentato il 10,4% della quota di esportazioni del Brasile e il 16,5% della quota delle importazioni, attestandosi a secondo partner commerciale del paese sudamericano. Numeri un po’ più consistenti per la bilancia commerciale dell’Unione europea, che rappresenta, sempre nel periodo gennaio-maggio 2023, il 13,89% dell’export brasiliano e il 19,7% della quota dell’import del paese.
Il commercio con i BRICS è, se valgono questi numeri, una realtà di assoluto valore e di grande importanza per la bilancia commerciale del Brasile. È all’interno dei BRICS, però, che i dati si fanno più interessanti e si ha la vera dimensione della proiezione internazionale del paese in quel blocco sul fronte economico. La Cina riceve il 93% dell’export brasiliano all’interno dei BRICS, seguita dall’India con il 3,9%, dal Sudafrica con l’1,8% e dalla Russia con l’1,6%. Poche variazioni, per quanto riguarda il vertice, per le importazioni per paese: ancora una volta, la Cina occupa il primo posto (76%), seguita dalla Russia con il 12% e dall’India con l’11%. Se consideriamo il totale dell’export brasiliano (quindi non soltanto i paesi BRICS) la Cina ne assorbe il 29,9% nel periodo gennaio-maggio 2023, e pesa per il 20,7% dell’import, confermandosi anche per questi primi cinque mesi dell’anno come il primo partner commerciale del Brasile. La sfida per il paese latinoamericano nei confronti del gigante asiatico è quella di attirare sì investimenti ma, soprattutto, di superare la fase dell’export di materie prime. I dati del ministero brasiliano menzionato sono al riguardo eloquenti: nei primi cinque mesi dell’anno in corso, il 46% dell’export brasiliano verso la Cina è costituito dalla soia, seguita dagli oli crudi di petrolio e altri minerali bituminosi che pesano per il 19%, e poi dal ferro per il 16% e dalla carne bovina per il 4,7%.
Se queste sono le dimensioni dell’interscambio commerciale, non deve stupire, allora, che uno dei primi viaggi all’estero del neopresidente Lula, dal 12 al 15 aprile, sia stato proprio in Cina (dopo una visita di Stato in Argentina – una consuetudine per l’inquilino di Planalto visitare il vicino latinoamericano dopo l’elezione – e una negli Stati Uniti). Questa visita, come vedremo, si inserisce a pieno titolo nel complesso, ricco e articolato rapporto Brasile-BRICS.
Lula ha infatti “festeggiato” i primi cento giorni di governo con una imponente (per numeri della delegazione e per risultati) missione in Cina. La prima giornata a Shangai è stata segnata da due appuntamenti: il primo è stato l’insediamento di Dilma Rousseff a presidente della New Development Bank (Nuova banca di sviluppo) dei BRICS. L’istituzione, nata nel 2014, si pone come contraltare del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale – che a detta dei BRICS sono controllati soprattutto dagli Stati Uniti e dagli alleati occidentali – e ha come obiettivo il finanziamento di progetti di sviluppo nei paesi che aderiscono al blocco. La Banca ha finora approvato 99 progetti nei BRICS per più di 34 miliardi di dollari principalmente su infrastrutture, e la maggior parte di questi crediti è andata al Brasile, ad esempio per il progetto della metropolitana di San Paolo.
Alla cerimonia di insediamento, il presidente Lula ha tenuto un discorso forte, patrocinando l’uso della propria moneta nazionale nelle transazioni tra i paesi della Banca e non solo, e ha aggiunto: «chi ha deciso che debba essere il dollaro la moneta?», sancendo di fatto un asse Sud-Sud nella governance economica internazionale che è parte della sua visione multipolare del mondo. Lula ha inoltre criticato gli ostacoli che incontrano le economie emergenti all’interno del Fondo monetario internazionale o della Banca mondiale ed è tornato a chiedere l’ampliamento della Banca dei BRICS ad altre economie, dicendosi certo che Dilma Rousseff darà impulso a questa richiesta. Ha poi continuato: «La Banca dei BRICS rappresenta molto per tutti quelli che sognano un mondo diverso, per quelli che hanno coscienza della necessità dello sviluppo e che, pertanto, hanno bisogno di denaro per fare investimenti». Dilma Rousseff nel suo discorso ha descritto la Banca dei BRICS come la banca del “Sud globale”, volta a lavorare non solo con gli attuali membri ma con molti altri paesi in via di sviluppo. Ha poi aggiunto che è sua intenzione ampliare l’uso della moneta locale degli integranti la Banca, privilegiando i mercati interni con l’obiettivo di costruire alternative finanziarie solide.
Tutto ciò per confermare che il Brasile utilizza la platea dei BRICS per riaffermare la sua visione di governance economica internazionale, la necessità di riformare gli organismi finanziari internazionali e di arrivare a una de-dollarizzazione dell’economia. E i BRICS offrono a Lula e al suo governo la platea ideale per questo tipo di rivendicazioni, che sono poi quelle del Sud del mondo nei confronti del predominio del Nord. La presidenza brasiliana della Banca dei BRICS è un segnale molto forte di impegno del Brasile nei confronti della costruzione di un nuovo ordine economico internazionale in cui i paesi in via di sviluppo possano avere un ruolo e un peso più rilevante soprattutto in considerazione del fatto che i pesi tra paesi sono molto cambiati rispetto all’epoca in cui quelle istituzioni hanno avuto la luce. La presidenza brasiliana della banca dei BRICS ricorda un po’ l’operazione FAO del giugno 2011, preparata con grande anticipo da Lula, quando José Graziano Da Silva, padre del programma Fame Zero in Brasile, venne eletto direttore generale dell’organismo delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. In quel caso, il Brasile metteva sul piatto della bilancia anni di lotta per debellare la fame, con successo peraltro (fame che è tornata prepotentemente alla ribalta nel quadriennio di Bolsonaro), e proponeva al voto dei paesi membri della FAO un uomo che era stato l’artefice del successo brasiliano su quel dossier. Un riconoscimento ex post del lavoro portato avanti dal Brasile, quindi. Con Dilma Rousseff presidente della Banca dei BRICS, Lula guarda al futuro con l’obiettivo di ridisegnare i rapporti di forza tra potenze nel campo economico. Forse, una missione più difficile stavolta, viste le ritrosie delle potenze occidentali, “The West”, a concedere spazi di manovra e di iniziativa ai paesi in via di sviluppo, “The Rest”. Un lavoro ex ante, in ogni caso, di cui potremo apprezzare i risultati nei prossimi anni.
A questo rinnovato rapporto Sud-Sud, Brasile-Cina, Brasile-BRICS si riferisce anche la seconda tappa della giornata di Shangai: la visita della sede dell’impresa cinese Huawei, che lavora in Brasile da più di venti anni, è impegnata nello sviluppo del 5G e del 6G e che nel 2021 ha vinto un bando di gara per l’implementazione di queste tecnologie nel paese sudamericano. Sì, proprio la Huawei che è bandita dagli Stati Uniti perché la Commissione per le comunicazioni federali l’ha inclusa nella lista di imprese di telecomunicazione e tecnologia considerate rischiose per la sicurezza nazionale. Anche questa visita – che qualcuno ha considerato un piccolo sgarbo agli Stati Uniti – risponde alla stessa logica: il Brasile e con esso i BRICS decideranno l’implementazione di tecnologie necessarie ed essenziali per il proprio progresso e il proprio sviluppo, anche su materie considerate sensibili, senza farsi dettare l’agenda da qualcun altro (sottinteso gli Stati Uniti), ma sulla base di logiche economiche, e politiche allo stesso tempo, di puro interesse nazionale. E questo vale per tutte le scelte strategiche del paese.  IL DIALOGO POLITICO NELL’ALLEANZA
Se questa è l’agenda economica del Brasile nei BRICS, non meno importante è il capitolo politico. Per Brasilia, la relazione con i BRICS è parte della costruzione di un mondo multipolare, senza però essere una scelta ideologica.
Anche in questo caso, ci aiuta a capire quale sia la posizione di Brasilia e quale apporto possa dare l’appartenenza ai BRICS per raggiungere gli obiettivi prefissati, la missione in Cina di aprile e soprattutto il bilaterale con Xi Jinping, in particolare i colloqui sul dossier “guerra in Ucraina” e sui possibili scenari di pace. Colloqui ancor più rilevanti perché riguardano direttamente uno dei paesi parte dei BRICS con cui Brasile e Cina hanno continuato ad avere rapporti. «La Cina e il Brasile sono i due maggiori paesi in via di sviluppo e mercati emergenti negli emisferi orientale e occidentale e in qualità di partner strategici condividono ampi interessi comuni». Queste le parole di Xi Jinping al suo omologo brasiliano, aggiungendo che la relazione «solida e costante» fra Cina e Brasile «è destinata a svolgere un ruolo importante e positivo per la pace, la stabilità e la prosperità». «Il dialogo e il negoziato sono l’unica via d’uscita dalla crisi ucraina e Cina e Brasile incoraggiano tutti gli sforzi per risolvere pacificamente la crisi», hanno continuato i due leader. I due capi di Stato hanno invitato più paesi a «svolgere un ruolo costruttivo nel promuovere la soluzione politica della crisi ucraina e hanno deciso di mantenere la comunicazione in merito». Parole che Lula ha ripetuto anche in occasione della sua visita a Roma (20 e 21 giugno), ribadendo che bisogna «costringere» Ucraina e Russia a fermare la guerra e a iniziare una trattativa di pace che certamente sarà un processo lungo, in cui ogni parte in causa dovrà cedere qualcosa fino ad ottenere un accordo. E che ha ripetuto al suo omologo sudafricano Cyril Ramaphosa in un incontro bilaterale a latere della Conferenza sul Nuovo patto finanziario globale a Parigi il giorno dopo; Ramaphosa era peraltro reduce da una missione a Kiev e a San Pietroburgo con l’Unione Africana in cui aveva incontrato sia Zelensky che Putin.
La posizione del Brasile di Lula alle Nazioni Unite è stata chiara: voto di condanna dell’invasione e ritiro russo dai territori ucraini – a differenza del suo predecessore Bolsonaro che si era sempre astenuto nelle votazioni sul dossier Ucraina – unico tra gli Stati dei BRICS. Il Brasile ha, poi, sempre negato l’invio di armi all’Ucraina. La visione di Brasilia è inequivocabile: non allineamento attivo rispetto alle due superpotenze («non possiamo scegliere né un lato né l’altro»), rafforzamento di un sano multilateralismo più rappresentativo ed efficace (da non confondere con il multilateralismo “espansivo” della Cina dove le istanze e gli organismi di carattere globale devono ampliarsi sempre più e tutto ciò che implica settarismo e protezionismo deve essere combattuto), riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, riaffermazione dei valori della democrazia e del rispetto per i diritti umani, lotta al cambiamento climatico e per la giustizia sociale. E questa piattaforma è quella che il Brasile offre alla discussione dei paesi BRICS trovando spesso sponda nei restanti quattro partner e che probabilmente proporrà ai paesi del G20 nel 2024 quando ne avrà la presidenza.  CONCLUSIONI
Proprio perché l’appartenenza ai BRIC non è una scelta ideologica per Brasilia, concludo riflettendo su una frase di un articolo di Monica Hertz e Giancarlo Summa, intitolato América latina y la caja de Pandora del unilateralismo de las grandes potencias (America Latina e il vaso di Pandora dell’unilateralismo delle grandi potenze), apparso sulla rivista “Nueva Sociedad” a maggio del 2023, in cui si legge: «A sud del Rio Bravo non esiste nessun equivalente dei valori asiatici o della autenticità africana. Esiste, al contrario, una lunga tradizione di lotta per la difesa dei diritti umani e, citando Hanna Arendt, per il diritto ad avere diritti». È proprio così, e questo vale a maggior ragione per la relazione con i paesi BRICS.
Se dal punto di vista economico, i rapporti tra le cinque potenze del blocco possono essere più o meno solidi e proficui (e lo sono per il Brasile, come abbiamo visto), è dal punto di vista politico e valoriale che la relazione, a mio avviso, non trova piena soddisfazione. Sarebbe l’Europa il candidato “naturale” di una rinnovata partnership politica e strategica con il Brasile e con l’America latina tutta. Ma non l’Europa della doppia morale sulle guerre, o quella incapace di vedere nel suo “Estremo occidente” un partner con cui disegnare gli scenari strategici dei prossimi trent’anni su un piano di parità, o l’Europa preda del neoliberismo e della sua dottrina nefasta di lasciar fare al mercato che ha acuito quelle diseguaglianze che la globalizzazione avrebbe dovuto livellare, o l’Europa che vorrebbe imporre ai paesi del Mercosur il contenuto di una carta addizionale che, a detta dei brasiliani, allo stato attuale è “inaccettabile”. Abbiamo lasciato solo il Brasile negli ultimi anni (l’ultimo Vertice UE-Brasile risale al 2014; l’ultimo Vertice UE-CELAC, prima dell’appuntamento del 17 e 18 luglio 2023, risaliva al 2015) e altri paesi hanno occupato lo spazio lasciato libero. Il tempo per riannodare il dialogo, interrotto certamente dalla pandemia e anche dalla distanza politica con il governo isolazionista di Bolsonaro, non è molto e le occasioni per consolidare il legame con il paese più importante del Sudamerica non ci saranno in eterno. Se non vogliamo che la Cina da primo partner commerciale si trasformi anche in primo partner politico e strategico per Brasilia dobbiamo agire subito, prima che l’Europa diventi davvero irrilevante, poco interessante e subalterna per una certa parte del mondo che si riconosce nelle “vene aperte”.