Alessandro Campi

Alessandro Campi

insegna Scienza politica all’Università di Perugia.

Sconfitta politica o battuta d’arresto? Il senso del risultato del centrodestra

Sonora sconfitta politica o semplice (persino salutare) battuta d’arresto? Fine dell’onda lunga nazional-populista (determinata dall’ascesa a Palazzo Chigi del pragmatico e anti ideologico Mario Draghi) o temporanea crisi da disaffezione (causata dalla scelta di starsene a casa compiuta soprattutto dai propri elettori)? Il centrodestra è uscito abbastanza male – numeri alla mano – dall’appuntamento delle amministrative, ma il trionfalismo dei suoi avversari rischia di essere prematuro. Proviamo a vedere perché.
Il voto ha confermato quel che si sapeva, anche a livello di politica comparata. La parte di paese che risponde meno alla propaganda identitaria della destra è quella delle aree urbano-metropolitane.

Il declino della leadership nell’epoca delle democrazie populiste

La sostituzione della leadership con la followership è una delle trasformazioni politiche più importanti tra le molte che, negli ultimi due-tre decenni, hanno investito le democrazie contemporanee e, all’interno di queste ultime, il ruolo degli uomini di potere, dei capi di governo e di partito. Tradizionalmente, il leader in senso politico è colui che guida e indirizza il popolo e che riesce a farsi seguire dai cittadini grazie alle sue competenze, al suo programma d’azione, alla sua forza visionaria e alle sue capacità retoriche. Nell’accezione consueta, il follower (seguace o adepto in senso politico) è invece colui che obbedisce al capo partito e che aderisce, emotivamente e attraverso il voto, alle sue indicazioni o formule propagandistiche.

Le cause della crisi del progetto europeo

La crescita del sentimento antieuropeo, testimoniata dalla forza che hanno ormai raggiunto nei diversi paesi del continente i partiti che lo interpretano e lo cavalcano elettoralmente, difficilmente potrà essere arginata senza prima aver preso coscienza dei numerosi fattori – storici, culturali, economici e naturalmente politici – che sono alla base di tale crescita. È infatti la crisi del progetto di unificazione europea, per come esso si è sviluppato nell’arco degli ultimi quindici anni, all’interno di un contesto storico radicalmente mutato rispetto a quello in cui si era originato, ad aver determinato l’aumento della disaffezione/delusione dei cittadini nei confronti dell’Europa, non viceversa. Bisogna dunque partire dalle cause, non dagli effetti o dai sintomi.

Rossobruno

L’alleanza o convergenza o sintesi tra il “rosso” e il “nero” – tra gli op­posti radicalismi prodotti dalla modernità post Rivoluzione francese – è stata la grande tentazione-illusione ideologica del Novecento: da un lato ha partorito formule, scuole e orientamenti di pensiero d’ec­centrica originalità (dal nazional-bolscevismo al nazi-maoismo, dal fascismo di sinistra al socialismo nazionale, dalla rivoluzione conser­vatrice all’anarchismo di destra, dal socialismo prussiano al sovrani­smo di sinistra), dall’altro ne sono scaturiti esperimenti politici tanto arditi quanto spesso velleitari e votati a un tragico fallimento.

Perché è di destra l’uomo che ha sconfitto Berlusconi

Tra gli effetti prodotti dal risultato elettorale c’è anche la fine del centrodestra (pure risultato vittorioso come coalizione) per come lo abbiamo conosciuto nell’arco di quasi venticinque anni. Il sorpasso della Lega a danno di Forza Italia ha infatti determinato il venir meno di uno storico equilibrio di potere, in virtù del quale l’area cosiddetta “moderata” aveva in Berlusconi il suo indiscusso e inamovibile leader. Del centrodestra come formula d’alleanza e come blocco politico-elettorale, del resto, quest’ultimo è stato l’inventore, allorché gli riuscì di mettere e tenere insieme nelle elezioni del marzo 1994, grazie alle sue capacità di mediatore, alla sua forza patrimoniale e al suo oggettivo carisma, il partito nordista guidato da Bossi, all’epoca oscillante tra un programma confusamente federalista e tentazioni pericolosamente secessioniste, e la destra postfascista di Fini, che di lì a poco sarebbe passata attraverso il lavacro purificatore di Fiuggi con l’idea di trasformarsi in un partito nazional-conservatore sul modello di analoghe esperienze europee. Un’aggregazione originale, mai sperimentata prima nella politica italiana, ma destinata da allora in poi a una grande fortuna.

Controrivoluzione

La Rivoluzione francese non è stato un episodio tra gli altri della storia universale, cruento e tragico come spesso se ne registrano negli annali. Ma l’evento – frutto di un profondo e lungo scavo sul piano delle idee e della mentalità collettiva più che di un’esplosione improvvisa di violenza popolare – che ne ha cambiato drasticamente il corso. Essa non ha determinato soltanto la fine di una monarchia secolare o l’avvicendamento al vertice della piramide sociale del ceto aristocratico-feudale con quello borghese-mercantile, ma l’avvento di un nuovo principio di legittimazione del potere, di un nuovo modello di sovranità politica, svincolati da qualunque riferimento sacrale e trascendente; ne è derivato un ordine artificiale e profano che ha scalzato quello naturale edificato nei secoli nel rispetto dei dettami della Scrittura e dell’autorità della Chiesa. Tutto ciò non configura solo un cambiamento radicale negli equilibri sociali e nelle istituzioni, ma un’autentica catastrofe culturale che rischia di condurre al dissolvimento la civiltà europea e mondiale.
È a partire da un simile giudizio storico, intransigente e dogmatico, non privo di accenti apocalittici e di furori misticheggianti, che all’indomani della decapitazione di Luigi XVI comincia a svilupparsi, negli ambienti della nobiltà francese costretta all’esilio dall’estremismo giacobino, la corrente del pensiero cosiddetto “controrivoluzionario”.

Partito pesante o partito leggero?

Quella tra partito strutturato e partito leggero è un’alternativa che rischia di non farci comprendere le difficoltà reali nelle quali, da oltre un quindicennio, si trova la politica italiana. Il vero problema della Seconda Repubblica non è dato tanto dalla scelta tra il vecchio partito-chiesa e il partito “fluido”, quanto dall’eccesso di frammentazione partitica, dalla quale derivano instabilità e ingovernabilità. La nascita del PD e del PDL, passaggio dalla logica delle coalizioni a due grandi partiti a vocazione maggioritaria, rappresenta il tentativo di aprire una nuova fase politica.