Un elemento sembra accomunare le critiche sollevate tanto negli Stati Uniti quanto nelle principali economie europee in merito ai sistemi fiscali adottati: tutte mirano al perseguimento e al raggiungimento di una migliore distribuzione di reddito e ricchezza come presupposto della ripresa di un processo di crescita duraturo e sostenibile. Se questo è l’obiettivo condiviso, occorre allora interrogarsi su quali interventi possono essere messi in campo per raggiungerlo.
Tutti i paesi sviluppati hanno fatto registrare, dall’inizio della crisi, un aumento delle spese per la protezione sociale. Invece di considerare questo fenomeno come fisiologico e quindi da non contrastare, si è reagito con scelte di rigore e con proposte di riforma che vanno in senso contrario rispetto a quello che ha guidato la costruzione del welfare state in Europa e che, piuttosto che migliorarla, hanno aggravato la situazione. Il recupero di un’ispirazione non liberista potrebbe, al contrario, contribuire sia al superamento della crisi sia a realizzare un sistema di protezione che torni a essere fattore di progresso sociale.
Secondo la visione economica liberista, l’assenza di vincoli all’azione individuale in un contesto di piena concorrenza può consentire il prodursi di una crescita pressoché infinita. In questo quadro, in cui gli assetti distributivi e produttivi migliori dovrebbero prodursi spontaneamente, nessuna funzione positiva viene attribuita all’intervento politico, alla sua azione redistributiva, al suo tentativo di realizzare forme di coesione sociale, elemento imprescindibile di ogni società sviluppata.
Secondo la visione economica liberista l’assenza di vincoli all’azione individuale in un contesto di piena concorrenza può consentire il prodursi di una crescita pressoché infinita. In questo quadro, in cui gli assetti distributivi e produttivi migliori dovrebbero prodursi spontaneamente, nessuna funzione positiva viene attribuita all’intervento politico, alla sua azione redistributiva, al suo tentativo di realizzare forme di coesione sociale, elemento imprescindibile di ogni società sviluppata.
Nel Trattato di Maastricht il debito pubblico è definito come «il debito lordo di tutte le attività di tutte le unità che rientrano nelle pubbliche amministrazioni». All’interno del debito complessivo la suddivisione correntemente adottata distingue fra monete e depositi, titoli a breve termine, titoli a medio e lungo termine e altre passività. In Italia, a fine 2010 il debito pubblico ammontava a 1843 miliardi di euro corrispondenti al 119% del Prodotto interno lordo, per larga parte concentrato in titoli a medio e lungo termine (il 77% del totale); la vita media residua del debito in tutte le sue componenti era di quasi otto anni.