Testamento biologico

Di Ignazio R. Marino Venerdì 08 Maggio 2009 18:17 Stampa

Negli ultimi mesi, con la discussione in corso in Parlamento per arrivare ad una legge sul testamento biologico, si parla spesso di sospensione delle cure, autodeterminazione dei pazienti e testamento biologico: temi difficili e controversi che da alcuni anni sono entrati a fare parte del dibattito pubblico.

I progressi compiuti dalla ricerca scientifica e dallo sviluppo delle tecnologie offrono nuovi traguardi e nuove possibilità (si pensi ad esempio ai trapianti di organi e alle terapie che consentono di guarire o di convivere per lungo tempo con malattie che un tempo erano mortali), ma pongono anche nuove problematiche rispetto all’utilizzo delle tecnologie in medicina. I cittadini sono quindi spesso sollecitati a riflettere sulle implicazioni legate all’evolversi delle
malattie, sempre più curabili anche se non guaribili, e sulle tematiche legate alla fine della vita.
Il dibattito ha investito anche la politica italiana, con grave ritardo rispetto agli altri paesi europei e agli Stati Uniti dove una legge esiste dal 1991, con un percorso legislativo non privo di ostacoli. Il Senato ha infatti iniziato a lavorare sul tema del testamento biologico da oltre cinque anni, con un più intenso impegno a partire dalla scorsa legislatura, anche grazie ad un gran numero di audizioni, convegni, pubblicazioni, approfondimenti, e lo scorso 26 marzo ha approvato un primo testo, che passerà in discussione alla Camera dei deputati.
È però necessario ricordare cosa si intende quando si parla di dichiarazioni anticipate di fine vita, meglio conosciute come “testamento biologico”.
Il testamento biologico è un documento in cui ogni persona capace di intendere e di volere può indicare, nel pieno delle proprie facoltà, quali cure e terapie ritiene accettabili per se stesso e quali invece intende rifiutare, se un giorno si trovasse nella condizione di non potersi più esprimere e privo della ragionevole speranza di recuperare la propria integrità intellettiva. Di fronte all’ipotesi di una malattia terminale, con la certezza di non poter recuperare la coscienza di sé, l’atteggiamento differisce da persona a persona. C’è chi desidera accettare la fine naturale della vita senza essere sottoposto a terapie invasive e collegato a macchinari che, in determinate circostanze, servono solo a prolungare un’inutile agonia. C’è invece chi preferisce usufruire senza limiti di tutte le opzioni terapeutiche messe a disposizione dalla medicina. Trattandosi di decisioni che riguardano il bene più prezioso che ognuno di noi possiede, ovvero la nostra stessa vita, ogni tipo di indicazione dovrebbe essere rispettata.
Non bisogna nascondersi che le decisioni che riguardano le modalità della fine della nostra vita hanno implicazioni etiche molto forti, che riguardano la sfera delle libertà individuali, i valori, la cultura, l’interiorità e il modo in cui ognuno vede e concepisce la propria esistenza, il proprio corpo, la fede in ciò che verrà dopo, o l’idea stessa del dopo.
Quello che si vuole riconoscere con una legge sul testamento biologico è, dunque, il diritto di poter scegliere per se stessi, un diritto che oggi in ambito sanitario si esercita attraverso il meccanismo del consenso informato, accettato da tutti e obbligatorio per legge, secondo quanto sancito nell’articolo 32 della Costituzione che prevede il diritto alle cure, ma non il dovere alle terapie.
Va garantito sempre e comunque il diritto alla libertà di cura come previsto dalla Costituzione, un diritto che esiste in teoria per tutti, ma che non può essere esercitato da chi ha perso l’integrità intellettiva e con essa la capacità di esprimere le proprie volontà. Le dichiarazioni anticipate e il rifiuto dell’accanimento terapeutico altro non sono, quindi, che un allargamento dello spazio di libertà individuale che già esiste e che viene regolarmente rispettato: si prevede in questo modo che una persona possa decidere circa i trattamenti a cui sottoporsi in qualsiasi fase della propria vita, scongiurando il rischio che con la perdita della coscienza dovuta alla malattia, l’individuo perda anche un diritto fondamentale come il diritto alla libertà di cura. Questo principio è contenuto anche nella Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina, firmata nel 1997 da quasi tutti i paesi europei, compresa l’Italia. Già da tempo l’Europa, dunque, ha manifestato l’esigenza di condividere linee di indirizzo etiche comuni sui delicati temi legati alla bioetica e al progresso scientifico, in un momento storico in cui la biologia e la medicina attraversano una fase di rapidissimo sviluppo.
Anche il Codice di deontologia medica prevede che «in ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona».
Si tratta quindi di ribadire ed estendere i diritti già previsti dalla nostra Costituzione, dalla Convenzione di Oviedo e dal Codice di deontologia medica, per arrivare ad una legge di libertà, che dia la possibilità, a chi lo vuole, di lasciare delle indicazioni. Un ulteriore elemento caratterizzante le leggi sul testamento biologico prevede la possibilità di individuare un
fiduciario: una persona di completa fiducia per chi scrive le dichiarazioni anticipate, la cui presenza serva a garantire che le proprie volontà siano rispettate e che sia eventualmente in grado di interpretarle, se dovesse essere necessario.
Perché la legge vada in questa direzione, però, le dichiarazioni dovranno essere rispettate dal medico, e quindi essere vincolanti. Se, come previsto nella legge approvata dal Senato, l’ultima parola sulle terapie da continuare o da sospendere spetterà al medico e se le dichiarazioni anticipate di fatto serviranno solo ad esprimere un orientamento del paziente, il principio della libertà di scelta viene meno. Inoltre, l’inserimento dell’obbligatorietà della nutrizione e dell’idratazione artificiali, attualmente presente nella legge, lede ulteriormente il diritto all’autodeterminazione di ciascuno di noi. Tale impostazione tradisce la Costituzione e implica gravissime conseguenze. Esistono casi in cui l’alimentazione artificiale è consigliata, altri in cui prolunga solo un’inutile agonia. La valutazione spetta ai familiari del paziente e ai medici che li accompagnano in una scelta che va fatta caso per caso e non in base ad una legge uguale per tutti. Quali le conseguenze per i medici? Si troverebbero davanti ad un bivio: violare la legge restando fedeli alla deontologia che impone di non fare nulla contro la volontà del paziente, oppure rompere, in nome di un’imposizione dello Stato, il patto di alleanza terapeutica con l’ammalato.
Alcuni temono il rischio che la libertà di scelta si trasformi in abbandono e nell’interruzione delle cure ai più deboli, ai più anziani, ai disabili. Anche su questo è necessario essere chiari: non si può immaginare di aiutare i più bisognosi limitando la libertà degli individui. La difesa della fragilità non è in discussione e non è una discriminante tra credenti e non credenti, è un dovere del nostro convivere civile. Una buona legge sul testamento biologico dovrebbe insieme garantire a ciascuno di poter scegliere a quali terapie sottoporsi e offrire ai malati inguaribili e alle loro famiglie sollievo e sostegno durante la fase di sofferenza che spesso accompagna i momenti terminali della vita. Per questo è necessario realizzare un programma assistenziale di cure palliative che preveda criteri omogenei di accesso dei malati, requisiti minimi per l’accreditamento, precisi standard assistenziali, criteri di verifica comuni e tariffe adeguate alla sostenibilità della gestione. Nessuno si dovrebbe sentire abbandonato quando soffre e si avvicina al momento della fine. Serve il rafforzamento della rete degli hospice su tutto il territorio italiano – secondo i dati SICP del 2009, in Italia abbiamo 150 hospice, 105 dei quali sono nel Nord e 19 nel Sud – ma serve anche semplificare la prescrizione dei farmaci per la terapia del dolore. Sono argomenti che riguardano tutti i cittadini e dovrebbero essere trattati con forza e celerità.
L’idea su cui bisogna lavorare è quella di permettere che ogni cittadino, se lo vuole, possa scrivere in un documento quali terapie intende accettare se un giorno si trovasse nella condizione di non potersi più esprimere e senza una speranza di recupero dell’integrità intellettiva. Insieme a questa legge non bisogna quindi dimenticare tutti gli aspetti della fine della vita, comprese le cure palliative e la terapia del dolore, affinché ciascuno sia tutelato allo stesso modo: chi desidera interrompere le terapie che considera sproporzionate per se stesso e chi invece intende avvalersi di ogni possibilità messa a disposizione dalla medicina in qualunque condizione si troverà.