La ricostruzione del partito è decisiva per uscire dal declino sociale e democratico.
Il settore manifatturiero, nonostante la contrazione registrata negli ultimi anni, continua a essere essenziale per lo sviluppo economico di un paese. Alcuni aspetti critici, come la propensione all’esportazione, la produttività, la dimensione aziendale e l’innovazione tecnologica incidono profondamente sulla sua evoluzione. In particolare, in Italia l’alto numero di PMI rischia di influire negativamente su questo settore e sulla sua predisposizione a investire nella ricerca e nell’innovazione, soprattutto in quella radicale, che comporta cioè un vero e proprio cambiamento del paradigma tecnologico. L’Industrial Compact e Horizon 2020 rappresentano, da questo punto di vista, delle strategie positive che, se ben attuate e accompagnate da finanziamenti adeguati, potrebbero portare grandi vantaggi alle nostre imprese.
I sistemi di welfare che si sono sviluppati nel Novecento erano basati su presupposti di crescita stabile che ne hanno determinato le caratteristiche principali. La crisi, le trasformazioni economiche e produttive in atto – dalla globalizzazione alle innovazioni tecnologiche, ai cambiamenti demografici – hanno fatto venir meno tali principi fondanti, rendendo necessario e urgente, in tutti i settori, ma soprattutto in quello manifatturiero, un adeguamento del welfare che coniughi l’universalità delle regole novecentesche con l’esigenza di adattare gli istituti di sicurezza sociale a un contesto in continuo mutamento e a forme di lavoro sempre più diversificate e flessibili. In particolare, si dovrebbero prevedere delle regole volte a incoraggiare il ricambio generazionale, ad ammortizzare i rischi connessi alle trasformazioni industriali e ad accompagnare i lavoratori nei periodi di transizione. Una politica del lavoro e del welfare adeguata deve però essere anche coerente e organica, caratteristiche delle quali sono privi gli ultimi provvedimenti italiani in materia.
I modelli industriali più virtuosi sono caratterizzati da una sempre maggiore interdipendenza tra servizi e manifattura, che contribuisce a migliorare le prestazioni economiche e innovative di entrambi i comparti. Migliori servizi alle imprese e un loro maggiore utilizzo contribuiscono inoltre a incrementare la capacità complessiva dell’intero sistema economico di innovarsi. Alla luce di ciò, le politiche industriali dovrebbero adottare un approccio trasversale alla manifattura e ai servizi che, in un’ottica di sistema, sia volto a innalzare la quantità e la qualità delle interdipendenze tra il settore dei servizi alle imprese e i settori utilizzatori.
La produzione industriale del nostro paese è ormai scesa a livelli precedenti al 1990, dimostrando così il carattere inequivocabilmente strutturale della crisi economica che l’Italia sta attraversando. È pertanto necessario spostare l’attenzione dalle riforme strutturali alle riforme della struttura, cercando nella capacità di trasformare le risorse a disposizione, nella ridefinizione del modello insediativo e nell’esportazione dello stile di vita italiano nuove strategie di politica industriale. L’opzione green e la costituzione di una rete di città di media dimensione come base per la generazione di competenze e capacità imprenditoriali da diffondere su tutto il territorio sono in questa ottica due ambiti molto promettenti per ridare finalmente lustro e visibilità al made in Italy.
Di fronte ad alcune significative trasformazioni dell’industria – come la delocalizzazione delle attività manifatturiere in paesi emergenti e la conseguente perdita di importanti patrimoni di competenze produttive –, alla crescente competizione di Stati come la Cina e alla necessità di uscire da una lunga fase di recessione, alcune economie avanzate hanno avviato politiche industriali volte a ristrutturare e rimettere in moto il sistema produttivo nazionale e ad agganciare le nuove traiettorie tecnologiche. Nonostante la loro eterogeneità, tali politiche presentano alcuni assi di intervento comuni, come la creazione di nuovi istituti di ricerca e tecnologia, l’incremento dell’efficienza e sostenibilità dei processi produttivi, la formazione di ingegneri e tecnici specializzati e l’aumento degli investimenti, ma esse richiedono soprattutto un’azione sinergica fra gli attori coinvolti e la definizione di una chiara visione politica.
L’universo della manifattura contemporanea italiana ospita presidi produttivi di alto valore, realtà d’avanguardia che realizzano standard tra i più avanzati. Sono però esempi virtuosi che non generano effetti sistemici e non riescono a trasmettere sollecitazioni innovative a soggetti con cui non siano direttamente collegati. Cosa fare per provare a correggere questo stato di cose e impedire che il distacco tra le componenti del mondo produttivo che funzionano e quelle che stentano a sopravvivere si accentui ancora di più?
In Europa la ripresa economica, pur iniziata, è ancora debole. Ciò è vero soprattutto nel nostro paese, che ha subito negli ultimi anni una massiccia erosione della base produttiva, tanto da scendere nel 2013 all’ottavo posto nella classifica dei principali paesi manifatturieri, superato dal Brasile. Eppure la nostra industria manifesta una notevole capacità competitiva in settori altamente innovativi e tecnologici. Quello che però manca, in Italia come in Europa, è una moderna e organica politica industriale che si ponga degli obiettivi di medio-lungo periodo e che sappia rispondere alle sfide di una economia mondiale sempre più globalizzata. Da questo punto di vista l’Industrial Compact, promosso dalla Commissione europea nel gennaio scorso, sembra andare nel verso giusto. L’auspicio è che l’Italia, nel corso del semestre di presidenza dell’Unione, sappia favorirne al massimo l’attuazione.
Negli ultimi decenni il sistema finanziario privato non è riuscito ad assolvere bene alle sue funzioni, generando anzi rischi e situazioni di crisi. Ciò ha attirato sempre più l’attenzione sul ruolo positivo che possono svolgere le banche pubbliche per lo sviluppo, le quali, come nel caso della Germania, si sono mostrate in grado di elargire finanziamenti anticiclici e di supportare una strategia dinamica di crescita. Il ricorso alle risorse pubbliche permetterebbe inoltre significativi effetti moltiplicatori in Europa. Accrescendo, ad esempio, il capitale versato della BEI e riorganizzando il bilancio dell’Unione europea si otterrebbe un significativo aumento dei prestiti e degli investimenti in Europa, cui corrisponderebbe non solo la crescita dell’occupazione, ma anche un declino importante del debito pubblico.