La transizione incompiuta della democrazia cilena

Di Laura Fotia e Andrea Mulas Giovedì 15 Dicembre 2022 09:58 Stampa
La transizione incompiuta della democrazia cilena ©iStockphoto/Mesut Ugurlu

È il 21 dicembre 2021 quando Gabriel Boric, classe 1986, candidato delle sinistre raccolte nella coalizione Frente Amplio, vince il ballottaggio alle elezioni presidenziali con il 56% dei consensi (pari a 4,6 milioni di voti) e viene eletto presidente della Repubblica del Cile contro il candidato dell’ultradestra, José Antonio Kast, che si ferma al 44%, ribaltando l’esito del primo turno. Il successo inaspettato, ma politicamente pianificato da Boric, rompe lo schematismo tradizionale dei due grandi blocchi (centrodestra e centrosinistra) della politica cilena, sia per la formazione culturale del neopresidente, sia perché quest’ultimo rappresenta il simbolo della generazione che è cresciuta sin miedo (senza paura) e che ha contestato i governi di centrosinistra che tra il 1990 e il 2010 hanno guidato la lunga transizione democratica. Boric presenta ai cileni un programma di riforme radicali incentrato sui diritti umani, attenzione per l’ambiente, dignità dei lavoratori e parità di genere.

 

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