Le sfide per l'America dei democratici

Di Massimo D'Alema Giovedì 25 Marzo 2021 16:39 Stampa

Il 30 giugno 2004 si svolse, nella sede della Fondazione Italianieuropei, un seminario a porte chiuse tra alcuni consiglieri del candidato demo­cratico alla presidenza americana John F. Kerry e alcuni esponenti della sinistra riformista europea. Tra gli europei ricordo Antonio Guterres, attuale segretario generale delle Nazioni Unite, Dominique Strauss-Kahn, il presidente di Policy Network Roger Liddle, oltre a Giuliano Amato e io. Tra gli americani John Podesta, ex capo di gabinetto di Bill Clinton e presidente del think tank democratico Center for American Progress, Ronald Asmus, consigliere di politica estera di Kerry, Will Marshall e Tony Blinken. Quest’ultimo è oggi il nuovo segretario di Stato americano nominato dal presidente Joe Biden. L’introduzione di Blinken – all’epoca giovane e brillante studioso – fu particolarmente interessante. La pubblicammo nel numero di settembre 2004 della no­stra rivista. La riproponiamo oggi perché ci sembra un documento di grande interesse per comprendere l’approccio e il background cultura­le del nuovo responsabile della politica estera americana.

Il tema di allora era, come oggi, quello di come riannodare un rap­porto positivo tra le due sponde dell’Atlantico dopo le lacerazioni che si erano prodotte per “l’unilateralismo” del presidente Bush e la guerra in Iraq. La risposta di Blinken – come potete leggere – era molto chiara e, in fondo, non dissimile rispetto alla imposta­zione con cui il segretario di Stato si presenta oggi al confronto con il nostro continente. L’America dei democratici tornerà a essere un partner leale dell’Europa, tornerà a rispettare i suoi alleati e si ricollo­cherà nel quadro del sistema mondiale multilaterale. Tuttavia sarà un alleato esigente nei confronti degli europei e chiederà un impegno assai maggiore e più coerente nella prevenzione dei pericoli per la si­curezza e nella lotta per affermare i nostri comuni valori democratici e difendere i diritti umani. Il tema del confronto di allora riguardava esattamente il modo in cui esercitare la leadership americana e occidentale nel mondo, il modo in cui sostenere una espansione della democrazia e rafforzare un ordine mondiale fondato sulla egemonia dell’Occidente e cioè di quel particolare rapporto tra economia di mercato e principi liberal­democratici che si è affermato nelle nostre società. I democratici, in polemica con l’ideologia e la pratica neocon ponevano l’accento – pur senza escludere in linea di principio l’uso della forza – sul soft power dell’America e dell’Occidente (secondo la definizione di un celebre libro di Joseph Nye). Nello stesso tempo era forte l’accento sulla col­legialità e corresponsabilità tra la potenza militare e tecnologica ame­ricana e la potenza civile dell’Europa.

Sono trascorsi da allora molti anni ed è naturale domandarsi in quale misura quella impostazione, che viene pure per aspetti fondamentali riproposta, possa essere valida oggi. Molte cose sono effettivamente cambiate. Anzitutto è venu­ta meno la convinzione, rivelatasi illusoria, che il mondo andasse unificandosi intorno ai valori dell’Occidente. Non è così. Mai come in questo momento il mondo ci appare irriducibilmente multipolare e l’egemonia occidentale e la stessa leadership americana sono apertamente sfidate da altri poteri: potenze globali come la Cina e la Russia, potenze regionali come la Turchia o l’Iran. È anche evidente che il rapporto di forze è mutato e che il peso relativo del mondo occi­dentale dal punto di vista economico, ma anche geopolitico e militare, si è ridotto. Ci troviamo così in un inedito scenario, diverso anche da quello del mondo bipolare e della guerra fredda in cui visse a lungo la mia generazione. Perché comunque nel mondo di allora vi era un ordine e una capacità relativa delle grandi potenze, mentre oggi tutto appare più confuso e la pluralità di con­flitti e di tensioni può portare pericolosamente sull’orlo di nuove e più vaste tragedie. È stato un anziano statista americano, Henry Kissinger a dire qualche mese fa che se la nuova Amministrazione non troverà un modus vivendi con la Cina c’è il rischio di una guerra mondiale. Forse è un’affermazione esagerata, ma data l’autorevolezza della fonte non prenderei sottogamba l’allarme che viene lanciato. Sino a oggi e nel tempo della Amministrazione Trump gli Stati Uniti, seguiti in parte e malvolentieri dall’Europa, hanno reagito alle sfide e alle tensioni crescenti inasprendo la tensione e la conflittualità su tutti i fronti. Guerra commerciale e sabotaggio tecnologico con la Cina; sanzioni crescenti verso la Russia; aspra contrapposizione verso il mondo islamico: sia verso quello sciita rappresentato dall’Iran, sia verso il mondo sunnita della Fratellanza Musulmana che appare oggi guidato dalla Turchia e dal Qatar. Molto spesso in questi conflitti l’Occidente si presenta come difensore dei diritti umani, dei valori democratici e delle regole del diritto internazionale nei confronti di regimi autocratici e aggressivi. Ma noi sappiamo che questo è vero fino a un certo punto perché accanto a questi valori ci sono in gioco rilevanti interessi economici e comprensibili esigenze di potenza che poco hanno a che vedere con i valori e con i principi.

D’altro canto, in un mondo lacerato dai conflitti prevale la dinami­ca del rapporto amico/nemico più che l’idea kantiana del primato del diritto e dei valori. In questo modo incespica spesso la coeren­za dell’Occidente e quindi si appanna la nostra credibilità. Per fare qualche esempio: difficile sostenere che le autocrazie del Golfo difenda­no la democrazia e i diritti umani nello Yemen; difficile sanzionare l’annessione della Crimea e festeggiare quella di Gerusalemme come se non si trattasse di due palesi violazioni del diritto in­ternazionale. Infine, non possiamo chiudere gli occhi sul fatto che la più massiccia violazione dei diritti umani oggi in atto nel mondo è rap­presentata dal trattamento subito dai migranti, lasciati affogare nel Mediterraneo o congelare tra le montagne, messi nelle mani di bande di assas­sini e torturatori, negando loro quel diritto all’asilo e alla protezione sancito dalle convenzioni internazionali e dai nostri principi e valori: difficile negare che tutto ciò avviene con la sostanziale complicità del mondo occidentale.

L’internazionalismo dei democratici si troverà a doversi misurare con queste contraddizioni avendo accanto un’Europa che è stata sino a oggi troppo debole e divisa per dare un contributo davvero determi­nante. Certo c’è da sperare che il nostro continente, che ha ritrovato nel dramma della pandemia, almeno in parte, le ragioni della coesio­ne e della solidarietà, si metta in grado di essere davvero per gli Stati Uniti un alleato efficace e autorevole.

Qualche giorno fa, in un dialogo con Hillary Clinton, il segretario Blinken ha usato in relazione alla Cina una espressione interessante e intelligente. Ci ha spiegato che per gli Stati Uniti si tratta di com­binare nello stesso tempo la sfida sistemica, la competizione econo­mica e la necessaria collaborazione per assicurare la pace e affrontare insieme le grandi sfide globali. Questo sembra essere un approccio realistico. In fondo ci troviamo di fronte a un problema non diverso da quello che fu affrontato dai nostri padri nel momento più dram­matico della guerra fredda. Si tratta cioè di avviare una svolta nel senso della coesistenza pacifica, sapendo che tuttavia in un mondo multipolare in cui il problema va oltre quello della coesistenza tra due grandi poteri, la questione si pone in modo assai più complesso e richiede una strategia articolata e perseverante. In fondo, sembra a me che nel disgelo dalla coesistenza sia anche più facile far avanzare gli ideali democratici e il rispetto dei diritti mentre la rigidità delle contrapposizioni eccita i nazionalismi e rafforza i regimi. Si tratta di una sfida assai complessa in cui davvero ci sarà bisogno dell’Europa, della sua civiltà e della sua cultura. È molto importante che ci sia oggi sull’altra sponda dell’Atlantico una classe dirigente americana che di ciò è consapevole e con la quale potremo affrontare queste sfide.