La crisi finanziaria ed economica che stiamo vivendo segna l’inizio di un’epoca nuova della storia del mondo in cui l’azione politica assume, a ogni livello, una dimensione costituente. In ambito europeo si impone quindi la necessità di una nuova fase costituente che segni il superamento dell’Unione come emersa dal Trattato di Maastricht e il rilancio di un processo di integrazione basato sulla collaborazione fra le diverse famiglie politiche europee.
La crisi fi nanziaria ed economica che stiamo vivendo segna l’inizio di un’epoca nuova della storia del mondo in cui l’azione politica assume, a ogni livello, una dimensione costituente. In ambito europeo si impone quindi la necessità di una nuova fase costituente che segni il superamento dell’Unione come emersa dal Trattato di Maastricht e il rilancio di un processo di integrazione basato sulla collaborazione fra le diverse famiglie politiche europee.
“Habemus Papam” è il magistrale racconto di una duplice crisi: quella della scienza da un lato, quella della religione dall’altro. In entrambi i casi, il regista sembra suggerire che la via d’uscita risiede nell’accettazione di un limite: il limite della scienza di fronte alla fede e quello, di portata ben più “rivoluzionaria”, del papa di fronte al compito del quale è stato investito. Un’ammissione di inadeguatezza che è prima di tutto un’ammissione di umanità; e una crisi che, letta secondo le categorie gramsciane, può tradursi in uno stimolo positivo per la società tutta.
Lo scritto di Togliatti che pubblichiamo qui di seguito è il testo, riveduto dall’autore, di una conferenza tenuta a Torino per un ciclo di sette lezioni intitolate “Il Risorgimento e noi”, organizzato dal Circolo della Resistenza, dall’Unione culturale (Amici del Museo del Risorgimento) e da La Consulta.
L'espressione “società civile” è una delle più frequentate dal linguaggio politico e da quello comune. Nell’uso corrente designa la sfera delle attività professionali da cui attingere nuovo personale politico incontaminato dalle degenerazioni che caratterizzerebbero i membri dei partiti organizzati: inaffidabilità, cinismo e corruzione.
Il contributo intende fornire un’analisi di lungo periodo del comportamento delle socialdemocrazie europee di fronte alle sfide poste dalla globalizzazione a partire dagli anni Settanta del secolo passato. Il saggio indaga nel contempo le cause della crisi di consenso in cui le socialdemocrazie attualmente versano avanzando l’ipotesi che derivino da un deficit di iniziativa nella guida dell’unificazione politica dell’Europa.
“Passato e presente” era il titolo della collana storica dell’editore De Donato di Bari. Diretta da Paul Corner, Franco De Felice e Gianenrico Rusconi, la collana si pubblicò tra il 1979 e il 1983. Fu ideata da Franco De Felice e costituì la proposta storiografica più innovativa nel panorama editoriale italiano di quel periodo. Le sue caratteristiche principali furono lo sforzo di fondere, in una nuova visione della storia politica, gli apporti della storia sociale e di altre scienze umane, di saldare storia nazionale e storia internazionale, di ridefinire la periodizzazione e il concetto stesso di storia contemporanea. Pubblichiamo qui la “Bozza” del progetto della collana, finora inedita, che Franco De Felice, immaturamente scomparso il 31 agosto 1997, elaborò nel settembre del 1977.
La creazione del Partito Democratico è un’impresa densa di sfide che non è retorico definire di portata storica. La prima è quella di unire in un’unica formazione politica le correnti del riformismo, un fatto inedito nella storia d’Italia. La seconda origina dal modo in cui si concluse il lungo dopoguerra, dissolvendo, in Italia, fatto unico in Europa, l’intero sistema dei partiti. La terza discende dalla incongruenza del sistema politico che ne è seguito, il quale costituisce forse il principale ostacolo alle riforme che sarebbero necessarie per fare del paese un attore più incisivo (e più rispettabile) dell’integrazione europea. Tant’è che la costruzione del Partito Democratico si configura come un momento decisivo della ricostruzione del sistema politico; e questo, per l’asimmetria e l’ineludibile interdipendenza dei due processi, rende ancora più arduo il compito dei suoi promotori. La quarta sfida consiste nella necessità di inserire la creazione del nuovo partito in un processo di rassodamento dell’intelligenza italiana, indebolita da una trentennale deriva del sistema informativo, dell’industria culturale, dell’organizzazione dell’università e della ricerca.
Per il suo duplice profilo di principale figura del comunismo italiano e di dirigente autorevole, per più di trent’anni, del comunismo internazionale, la vicenda personale di Palmiro Togliatti si presta in modo esemplare a ripensare la storia del comunismo sovietico nel Novecento. Lo confermano tre libri molto diversi fra loro, usciti l’estate scorsa: «Togliatti e Stalin», di Elena Aga-Rossi e Victor Zaslavsky; «Sul memoriale di Yalta», di Carlo Spagnolo; e «Togliatti nel suo tempo», a cura di Roberto Gualtieri, Carlo Spagnolo e Ermanno Taviani.1