Domenico Cerabona

Domenico Cerabona

è direttore della Fondazione Giorgio Amendola.

La parabola di Boris Johnson

«Attento a ciò che desideri, perché potresti ottenerlo» diceva Oscar Wilde. Raramente questo aforisma risulta tanto azzeccato come nel rapporto tra Boris Johnson e la premiership. Come abbiamo cercato di raccontare su questa stessa rivista,1 quella di arrivare a Downing Street come il suo idolo Winston Churchill è stata per Johnson una vera e propria ossessione, per ottenere la quale non ha lesinato azioni avventate e attacchi spregiudicati ai propri avversari politici. Una tattica che ha contrassegnato tutto il suo agire politico e che aveva sempre pagato, anche grazie all’appoggio delle élite inglesi (stampa in primis) che consideravano una sua ascesa all’ufficio più alto del paese come un dato di fatto: si discuteva del quando, non del se.

 

Una analisi della sconfitta del Labour

Nel mese di giugno l’associazione Labour Together ha pubblicato il suo tanto atteso rapporto sulle elezioni politiche britanniche del 2019. L’associazione nasce con l’intento di essere un ambiente “neutrale” tra le tante (e l’un contro l’altra armate) correnti del Labour, e all’indomani della storica sconfitta elettorale dello scorso anno ha messo insieme quindici tra parlamentari, ex parlamentari, associazioni, esperti, militanti e giornalisti per analizzare quello che era andato storto nella campagna elettorale conclusasi con il peggior risultato laburista dal 1935. Tra i membri della commissione spicca il nome di Ed Miliband, ex leader del Labour e ora ministro ombra per il Commercio.

Keir Starmer, una pagina nuova per il Labour

Come altre volte cerchiamo di partire dai dati. Keir Starmer ha stravinto il congresso del Partito Laburista britannico arrivando primo in tutte le fasi del tortuoso sistema di elezione del leader che il Labour si è dato a partire dal 2015. Si è assicurato il maggior numero di firme all’interno del gruppo parlamentare, il maggior sostegno tra le sezioni locali del partito e ha ottenuto l’appoggio di quasi tutti i grandi sindacati affiliati.

Labour, una sconfitta da leggere con la mappa

È inutile nasconderlo: il risultato delle elezioni del 12 dicembre è stato per Jeremy Corbyn un disastro, in termini di seggi il peggiore per i laburisti dal 1935. Tuttavia, in termini di voti assoluti (10,2 milioni) e di percentuali (32,2%) non è stato così negativo se si pensa che nel 2005 Tony Blair, con 9,5 milioni di voti e il 35%, ottenne 355 seggi e una maggioranza schiacciante in Parlamento. E soprattutto bisogna considerare che nel 2015 Corbyn ereditò da Ed Miliband un partito al 29%, con circa un milione di voti in meno (oltre che con circa la metà degli iscritti, mentre oggi il Labour veleggia verso quota 600.000, di gran lunga il partito con più iscritti nella sinistra occidentale).

Boris Johnson, il leader della spregiudicatezza

Dopo che Boris Johnson è stato nominato leader del partito conservatore e, di conseguenza, primo ministro della Gran Bretagna, molti commentatori lo hanno definito il “Trump inglese”. Certo, questa impressione è favorita dalla grande intesa che pare esserci tra i due e dalle sperticate lodi che il presidente americano ha rivolto a Johnson su Twitter. Eppure questa similitudine rischia di essere decisamente fuorviante, Johnson e Trump non potrebbero essere più diversi se si esclude la passione per una capigliatura bizzarra.
Trump infatti si è imposto sulla scena per il suo essere un personaggio assolutamente alieno alla politica e all’establishment, in particolare quello dei partiti.

Brexit, un’equazione a troppe incognite

Il 5 maggio 2015, a due giorni dalla chiusura della campagna elettorale delle elezioni politiche, David Cameron pubblicò un tweet diventato poi tristemente famoso: «Britain faces a simple and inescapable choice – stability and strong Government with me, or chaos with Ed Miliband». La narrazione conservatrice alla luce dei sondaggi dell’epoca mirava a rappresentare una coalizione di governo composta dal Labour guidato da Ed Miliband e dagli indipendentisti scozzesi dell’SNP come pericolosa: un governo del genere avrebbe gettato il Regno Unito nel caos.

I Miliband, la storia del Partito Laburista

Ralph Miliband è stato uno degli intellettuali britannici più influenti della seconda metà del Novecento. Nato a Bruxelles nel 1924, da famiglia di polacchi ebrei trasferitisi in Belgio, nel 1940 fu costretto a scappare in Gran Bretagna con la famiglia per sfuggire alle persecu-zioni naziste. Di lì a poco si iscrisse alla prestigiosa London School of Economics e cominciò la sua carriera accademica. Anche per via delle peripezie familiari le sue idee politiche divennero via via sempre più radicali, tanto da diventare uno dei più importanti studiosi mar-xisti del paese e un punto di riferimento intellettuale per la sinistra britannica.

Il coraggio di navigare in mare aperto

Qualche mese fa sull’“Economist” è stato pubblicato un articolo molto interessante sul Partito Laburista e in particolare sulle idee delle sue due figure più carismatiche: il leader Jeremy Corbyn e John McDonnell, il ministro ombra dell’Economia e storico amico e alleato di Corbyn. Il pezzo dell’“Economist” suona quasi come un campanello d’allarme per la destra britannica. Si evidenzia infatti come,mentre tutti i critici e gli oppositori si concentrano sulle proposte laburiste in tema di politiche monetarie e fiscali, quello che è davvero “preoccupante” e rivoluzionario della cosiddetta “Corbynomics” sono le riforme strutturali proposte.

David Cameron: ricco, predestinato, fallito

Questa è la storia di un predestinato, di un giovane rampollo di buona famiglia, che è diventato uno degli uomini più potenti del mondo in pochissimo tempo e che sembrava pronto a trasformarsi in uno dei più importanti primi ministri della storia della Gran Bretagna. Invece, nel volgere di pochi mesi, è diventato un vero e proprio reietto, che sarà ricordato per aver condotto il suo paese in un baratro. Parliamo di David Cameron, ex leader conservatore e primo ministro di Sua Maestà dall’11 maggio 2010 sino al 13 luglio 2016. Ma andiamo con ordine.

Il giovane David nasce a Londra il 9 ottobre del 1966, da una ricchissima famiglia: il padre è un celebre investitore della City, mentre la mamma fa parte di una antichissima e nobile famiglia inglese. Cameron può vantare così una discendenza diretta da niente di meno che un re di Inghilterra, Guglielmo IV (il nonno della più famosa regina Vittoria).

Brexit: incognite e variabili in campo

Per parlare di Brexit, a oltre un anno e mezzo dal referendum che ha sancito l’abbandono dell’Unione europea da parte del Regno Unito occorre subito dire una cosa: se si rivotasse oggi il risultato sarebbe quasi sicuramente identico a quello del 23 giugno 2016. Le ragioni sono piuttosto banali: la motivazione che ha spinto la maggioranza degli elettori britannici a votare per il leave aveva poco o niente a che fare con la permanenza all’interno dell’Unione europea. Una ricerca dell’Università di Warwick rivela che «la qualità dei servizi pubblici forniti è sistematicamente correlata alle percentuali di voto del leave. In particolare i tagli effettuati nell’ambito del recente piano di austerità attuati nel Regno Unito (per volere dei governi Cameron, nda) sono fortemente associati alle percentuali in favore del leave».