Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti

giornalista, già senatore del Partito Democratico.

Sei quesiti per gli IRI-entusiasti

Evocare l’IRI, sia pure con l’aggiunta dell’aggettivo “nuovo”, è una presa di posizione politica che ormai ricorre spesso in casa cinque stelle e anche, sia pure in modo più prudente, in casa PD. È un’evocazione non supportata né da una decente analisi delle alterne vicende dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale (1933-2001) né da un approfondimento del significato di quell’aggettivo “nuovo” con cui si vorrebbe evitare l’accusa di antistoriche nostalgie. Viene in mente Francesco Cossiga quando criticava gli euro-entusiasti non perché lui fosse contrario al progetto europeo, ma perché gli entusiasmi acritici difficilmente portano buoni risultati.

Doppio esproprio tra stato e mercato

La caduta del muro di Berlino, prologo della fine dell’Unione Sovietica, segna la capitolazione dello Stato dominus dell’economia. Eppure, l’economia continua ad avere bisogno dello Stato: della sua potenza. Le cronache del protezionismo avvertono che, alla fine del secondo decennio del XXI secolo, la politica vuol comandare l’economia tanto nel paese, gli Stati Uniti, dove il free trade era una religione, quanto nel suo principale sfidante, la Cina. Il Leviatano non viene più percepito come un mostro.

Sul rapporto tra competenza e buon giornalismo

“Italianieuropei” mi chiede come sia possibile ricostruire la credibi­lità della competenza in un tempo, il nostro, nel quale larga parte dell’opinione pubblica delegittima il sapere. La domanda è dettata dalla preoccupazione che l’incompetenza al potere, versione con­temporanea del sonno della ragione, generi mostri. Oltre trent’anni di lavoro in quotidiani e settimanali e una legislatura in Senato mi darebbero, secondo la rivista, una expertise adatta a individuare il contributo che il giornalismo può offrire alla nobile causa.

La Sinistra di fronte all’obsolescenza del suo approccio al reale

Nella sua storia secolare la sinistra occidentale ha seguito diverse idee guida, di variabile consistenza: la collettivizzazione della proprietà dei mezzi di produzione, la pianificazione generale, la programmazione democratica, lo Stato imprenditore e il welfare pubblico, e poi la liberalizzazione dei movimenti dei capitali, delle merci e, meno, delle persone, le privatizzazioni delle partecipazioni statali e del welfare, l’impresa come generatrice di valore per gli azionisti, la scoperta della concorrenza. Le prime di queste idee guida appartengono alla radice comunista della sinistra, altre a quella socialdemocratica, altre ancora sono state riprese dalla cultura politica della destra e dall’ideologia liberista e fatte proprie da una sinistra in crisi d’identità da trent’anni. Potremmo disquisire sull’impatto che tali idee hanno avuto sulle persone e sulle istituzioni politiche.

Le ragioni della nostra Waterloo

Quale può essere il commento della sinistra sulla sua Waterloo del 4 marzo? E quali lezioni ne può trarre? La risposta alla prima domanda si articola nell’analisi dei cambiamenti della politica e della società, indotti dalla tecnologia, dall’economia e dalla politica stessa. La risposta alla seconda domanda si articola anch’essa su due piani. Il primo è costituito dal posizionamento e dalla leadership dei partiti della sinistra, il secondo dalla azione di governo possibile per la sinistra, ma mi verrebbe da dire per la politica democratica in generale. L’analisi non può non partire da un fatto incontestabile: il risultato elettorale del PD e di LeU cala una pietra tombale sul ceto politico che si era formato nella prima Repubblica alle scuole, un tempo concorrenti, della DC e del PCI. Questo risultato completa la rottamazione dei partiti di massa novecenteschi, iniziata nei primi anni Novanta con la critica radicale del parlamentarismo, sottesa al referendum di Mario Segni, e con le inchieste giudiziarie di Mani pulite o, per essere più precisi, con la gestione politica di quelle inchieste da parte delle classi dirigenti ex comuniste ed ex democristiane.

Cassa depositi e prestiti, il nuovo Centauro

Negli ultimi anni l’Italia industriale si è trovata a scontrarsi con alcuni dei suoi limiti più grandi: la debolezza del capitalismo nazionale, incapace di difendere e di far progredire i pochi grandi gruppi privati rimasti in mano ad azionisti italiani; la mancanza di un sistema di grandi imprese private e pubbliche capaci di intervenire nel segno dell’interesse nazionale e nel rispetto dei bilanci; un sistema finanziario concentrato ma debole, che non ha saputo promuovere la crescita e il consolidamento dei gruppi maggiori. L’unico in grado, almeno sulla carta, di mettere in campo una certa capacità di investimento azionario è lo Stato. Stato che però non potrà reimparare il mestiere dell’azionista se non individua un soggetto con la personalità giuridica adatta a esercitare quel mestiere. Un tale soggetto potrebbe essere individuato nella Cassa depositi e prestiti; una nuova Cassa che si potrebbe paragonare a un Centauro: pubblico nelle finalità, privato nel rigore gestionale, pubblico e privato nelle fonti di finanziamento, un po’ banca e un po’ holding.

Il tradimento dei numeri indiscussi

Il culto delle proiezioni numeriche e delle statistiche, diffuso in ambito economico e sociale negli ultimi trent’anni, è servito spesso a camuffare dietro un’aura di attendibilità scientifica una deliberata mistificazione delle fonti. Una mistificazione finalizzata a placare le tensioni che scuoterebbero l’opinione pubblica di fronte a una più realistica consapevolezza del contrasto di interessi tra le diverse fasce della popolazione e tra nazioni ricche e povere.

Industria dell'informazione ed economia. Il "buco" del secolo ai tempi di internet

La grande crisi segna una grave sconfitta anche per l’industria dell’informazione, condizionata dalla Scuola di Chicago, non meno che per i ceti di governo, quelli di sinistra compresi. Ma neppure dalla rete è venuta un’informazione migliore, perché i blog, senza industria, sono muti. L’indipendenza dei media resta cruciale, specialmente in Italia. Ma non sufficiente.